Bacon Beckett misteri d'Irlanda di Marco Vallora

Bacon & Beckett misteri d'Irlanda Bacon & Beckett misteri d'Irlanda E&B» di Nadia Fusini (Garzanti, pp. 128, L. 18.000) non so se sia un contributo critico importante: certo è un libro affascinante. Che Bacon e Beckett si assomiglino o no poco ci interessa; molto ci interessa invece (l'opera di) Bacon e Beckett e chi, nella volontà di comprenderli, in essi (in loro) si annega. Che questo fa la Fusini: lei ama perdersi, cioè andare a frugare lontano e trova aiuto (e che aiuto!) nei due irlandesi. Se Bacon avesse ritratto la Fusini avrebbe disegnato una figura con la sola testa (e accanto una freccetta puntata in basso); se Beckett avesse descritto la Fusini le avrebbe tolto gli occhi. Senza occhi e con il cervello al posto del cuore Nadia, liberata dal senso del pericolo, può inoltrarsi e sprofondare. Cavolo!: mi accorgo che sto parafrasando il suo modo di scrivere, il suo parlare azzardato e metaforico. E' che la lettura del suo libro continua a condizionarmi. di Grandet). La Fusini è convinta che nelle opere dell'arte contemporanea letteratura o pittura che sia - è l'immagine a prevalere. L'artista moderno è una specie di vaso sempre colmo in cui oscure sensazioni, improvvisi trasalimenti, sorde percezioni, terribih' paure si danno convegno: si sfiorano, si evitano, si scontrano e, di tanto in tanto, si coagulano in strane immagini, dotate di una bellezza minacciosa, che salgono in superficie: sono le teste sfigurate di Bacon o i corpi assenti di Beckett. E il lettore o spettatore per vedere il senso che preme in quelle immagini non adopererà, perché insufficienti, gh occhi del corpo ma si servirà dell'occhio interiore che dorme in ciascuno di noi e che, per quel che ci riguarda, gh urh di Bacon e i silenzi di Beckett avranno avuto cura di risvegliare. Il discorso della Fusini è davvero invogliarne: immaginoso come quello dei due artisti di cui è intenta a svelare il mistero, ha il merito di dare corpo tangibile a pensieri impalpabili e apparenza corposa a immagini invisibili. Che sia la scrittura al femminile, di cui si va tanto dicendo? Che sia cioè una scrittura scritta con tutto il corpo e che tu puoi, in uno, comprendere, sentire e vedere? A ascoltare alcune frasi di Nadia Fusini viene proprio voglia di pensarlo (di rispondere di sì). «E' nel volto soprattutto che Bacon dipinge la catastrofe della forma. E' come se dicesse: per dipingere devo lottare contro la rappresentazione. Non è forse la medesima negazione di Beckett, il quale non afferma forse la stessa cosa, quando dice che per scrivere deve mettere a tacere la lingua?». O quest'altra: «Bacon non guarda al di fuori; non ha una reazione fisico-ottica al mondo. Il mondo non è lì perché lo rappresenti; il quadro anzi non rappresenta nulla, è spettacolo di sé, nient'altro». O ancora: «La parola per Beckett, come il volto per Bacon, sorgono così: come una traccia, un tracciato visibile, udibile di un'emozione». Certo io non so se questi sono esempi di scrittura al femminile: quel che sento è che è una scrittura generosa, che si dà - corpo e mente - all'oggetto del discorso: in cambio ottiene (e come materializza) il piacere della conoscenza. E' una scrittura possessiva: che si fa possedere senza ricorso a nessuna precauzione e dunque esponendosi (senza temerlo) al rischio dell'inganno. Elisabetta Rasy Dunque ecco qui davanti a noi un romanzo di Beckett o l'illustrazione di una tela di Bacon. La prima impressione è di smarrimento. Né l'uno né l'altro presentano immagini convenzionalmente Francis Bacon riconoscibili: l'uno, Beckett, scrive di personaggi magari senza gambe che corrono con biciclette magari senza ruote; l'altro, Bacon, dipinge teste (sfasciate) senza tronco o tronchi senza teste comunque sistemati in posture difficili e come in atto di sprofondare sotto il peso della loro carne. Insomma l'uno e l'altro cancellano la figura umana che tanto per l'uno che per l'altro non esiste più, cioè non esiste la sua bellezza. Bacon insiste nel dire che non «vuole una bellezza come maschera», e la Fusini aggiunge che «la bellezza, a pensarci bene, ha i suoi prezzi: raggela la vita». Bacon insegue una nuova bellezza: non sa cosa e dove sia: ma sa «che sarà terribile». Beckett guarda gli uomini e non li riconosce: portano in giro un volto che non è il loro: la compostezza del profilo e l'equilibrio dei tratti - già espressione di «una pace trovata, di un conflitto risolto» - è oggi una pura menzogna. Loro non lo sanno, ma lui lo sa: dentro l'uomo, forse a sua insaputa, alberga «la vergogna, l'informe, il bruto: tutto questo è diventato l'uomo e tutto questo lui, Beckett, proverà a dire». Ma tutto questo non lo si può raccontare con le parole (come magari Balzac raccontava l'avarizia Salvatore Quasimodo: in volume le sue prove d'artista are, quasi tutti incentrati intorno alla parola nodale «cuore». Inconscio, astrattismo, ragioni del cuore. Come giustamente sottolinea Rossana Bossaglia in un saggio di avvicinamento a queste opere atipiche: «Il gesto non è dissacratorio, la provocazione sta piuttosto nel fatto che vuole dimostrare, quanto sia in grado di gareggiare con gli sperimentati modelli dell'arte contemporanea». Sarebbe assurdo cercare le «fonti»: certo il versificatore Quasimodo, dall'orecchio temperato alle «traduzioni» d'autore, vive e respira un china ben individuabile. C'è qui qualcosa della calligrafia zen (che colpirà un altro letterato-pittore come Barthes, ma Quasimodo vede in grande, ama la dilatazione lirica della pennellata), c'è qualcosa dei sogni mescalinici di Michaux, e nell'unico volto spiritico-esasperato forse l'eco espressionistico di Nolde. Ma, ripetiamo, è vano cercare l'ispirazione. Piuttosto più prolifico leggere in filigrana la «calligrafia» subconscia di questo lin¬ guaggio del cuore. Ricorda ancora la Bossaglia: «La linea guizzante, il cerchio, sono motivi dominanti della mano di Quasimodo, tali da costituire una ricorrenza obbligata, da cui il naturale ricorso, da parte di chi guarda, ad un concetto di trascrizione spontanea di pulsioni inconsce (...) confronto fra l'abisso misterioso del cuore e l'abisso misterioso deh'universo, tra l'infinito profondo e l'infinito esteso». Ghiribizzi grafici, volutamente senza alcun riferimento referenziale al mondo o ai significati trasparenti del neorealismo impegnato. Che forse non toccheranno l'epidermide spessa della storia dell'arte, ma che certo ci aiutano a megho capire la personalità complessa e tormentata dell'artistaQuasimodo, che a proposito dell'amico Agenore Fabbri scriveva, autobiograficamente: «La scultura, per lui, è stata sempre una protesta... arriva al simbolo attraverso la dialettica del dolore». Marco Vallora Angelo Guglielmi

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