Viale Mazzini il piano anti-professori di Augusto Minzolini

Il Cavaliere deciso a chiedere le dimissioni del vertice. Ma l'ago della bilancia sarà la Lega Il Cavaliere deciso a chiedere le dimissioni del vertice. Ma l'ago della bilancia sarà la Lega Viale Mazzini, il piano gufi-professori Tettarella: «Devono andarsene». Spunta il commissario sidente del Consiglio a dare il via a un «piano» congegnato da tempo che ha un unico obiettivo, far entrare l'azienda di viale Mazzini nell'orbita della nuova maggioranza. Un obiettivo ovvio, ma che per lui, proprietario del «polo» privato nel sistema televisivo, può rivelarsi arduo: Berlusconi, infatti, in questo modo riuscirebbe a controllare tutte le tv del Paese e nessuno, né gli amici, né tantomeno i nemici, è disposto a concedergli un tale strapotere. Lo scontro, quindi, sarà durissimo e ieri se ne sono viste solo le prime avvisaglie. Ma perché il presidente del Consiglio ha deciso di ingaggiare IRONIA della sorte: in origine era un progetto architettonico ideato per la costruzione di un carcere cileno. «Poi - racconta ridendo Daniela Calastri del Tg2 - non lo hanno voluto nemmeno lì e con qualche modifica è nata la nuova sede Rai». Ovvero Saxa Rubra: quella costruzione imponente e opprimente che dopo l'exploit di Berlusconi sembra proprio una prigione in rivolta. Con i comitati di redazione e l'Usigrai asserragliati dentro, in assemblea. I cronisti del telegiornale della terza rete impegnati in prove tecniche di resistenza. E i direttori dei tre tg sulle loro poltrone a contare i giorni che li separano dalla sempre più probabile defenestrazione. Il presidente del Consiglio ha spiegato che questa tv di Stato a lui non piace. Soprattutto il Tg3 che continua a far la guerra al governo. E a Saxa Rubra l'eco di quelle parole è rimbalzata come una sirena d'allarme. Il sindacato ufficiale - l'Usigrai - non ha perso tempo. Ha chiesto di incontrare il capo dello Stato, i presidenti delle due Camere, i capigruppo parlamentari. E oggi, a mezzogiorno, davanti a Montecitorio, inscenerà una manifestazione di protesta. Nella palazzina dove i sindacalisti sono riuniti, Paolo Giuntella, del Tgl, sbotta: «Questa è sempre la solita storia: la paura dei 'rossi'? Ma dove stanno? Diciamoci la verità: non si può proprio dire che i telegiornali siano antagonisti al governo». Seguono mormorii di assenso. Giorgio Balzoni, leader dell'Usigrai, butta giù un documento: «Il presidente del Consiglio Berlusconi con le sue dichiarazioni sul destino della Rai ci ha fatto chiariamente capire che siamo alla soluzione finale». «Questa non è l'Eiar», bofonchia Balzoni. E nel «manifesto» viene inserito un altolà all'«ennesima pratica spartitoria e lottizzatoria che l'ennesimo capo del governo si appresta a consumare all'inizio del suo mandato». Mentre i sindacalisti discutono, la redazione del Tg3 è in subbuglio. I giornalisti sanno di esse- un tale duello oggi, ad appena un mese dal suo insediamento? Innanzitutto c'è un problema strategico: Berlusconi sa benissimo che si trova a capo di una maggioranza instabile, che per governare dovrà spesso minacciare il ricorso alle urne e proprio per questo si attrezza in tempo per qualunque evenienza. In secondo luogo ha di fronte un'opportunità: il 28 giugno scadrà il decreto «salva-Rai» e la maggioranza e il governo vogliono approfittare dell'occasione del rinnovo del provvedimento per tentare di azzerare i vertici Rai. «Entro fine mese - scommette da giorni Francesco Storace, braccio destro di Fini sulla Rai - questo consiglio di amministrazione farà le valigie». E la stessa cosa dice, sia pure con maggior prudenza, 0 presidente della commissione di vigilanza, Taradash: «Se si cambia il provvedimento c'è questa possibilità». L'occasione ha spinto Berlusconi a tentare. Del resto lui ha solo da guadagnare: qualunque risultato, qualunque «armistizio», infatti, per lui sarà soddisfacente visto che lui nella Rai non ha niente. Ecco perché il capo del governo ha dato il via all'operazione sull'azienda di Viale Mazzini che si svolge su due piani. Uno interno, affidato a Letta, che prevede l'arruolamento di tutti quegli uomini Rai che la gestione dei «professori», vicina ai progressisti, ha emarginato: un nome per tutti, Bruno Vespa. E un'altra «istituzionale» che ha come traguardo 1'«azzeramento» dei vertici dell'azienda e che partirà (come annunciato dallo stesso Berlusconi) con una riunione del Consiglio dei ministri la prossima settimana. Due i possibili sbocchi: o un cambiamento dei membri del consiglio di amministrazione o, addirittura, il commissariamento della Rai. Ma quali saranno i passi del governo per raggiungere questo traguardo? Spiega il vicepresidente del Consiglio, Tatarella: «Il problema Rai è urgentissimo. Bisogna ricordare che anche Giuliano Amato aveva pensato al commissariamento, usò un'espressione per dire che era nell'anticamera del suo cervello. Ma io per il momento non mi azzardo a dire una cosa del genere, perché altrimenti griderebbero al golpe». Ma i vertici Rai che fine faranno? «I "professori" - risponde - per dire che si sentono assediati hanno usato un termine bellico che fa pensare alla "gioiosa macchina da guerra" di Occhetto. Su questo punto, però, bisogna fare una riflessione: la tesi giuridico formale sta dalla parte dei professori, perché Napolitano e Spadolini non hanno fatto quelle nomine sul piano personale ma come organismi istituzionali. Chi si trincera però dietro a questa tesi per rimanere fa un'operazione formale non collegata all'emergenza. Ma in uno stato di necessità - se io, per esempio, chiederò che se ne vadano - non mi si potrà rispondere con una tesi formale. Allora perché non sgombriamo il campo dal quesito formale e entriamo nel merito? Togliamo di mezzo l'alibi della norma e quello dell'epurazione, e ragioniamo. Uno, abbiamo Prodi che si dimette: queste dimissioni di Prodi oggi in un sistema maggioritario, a che principio rispondono; due, sul piano formale i «professori» della Rai possono restare: lo prevede la norma; tre, i professori quando si sono insediati hanno invitato gli altri a dimettersi. Quell'invito deve essere interpretato un principio di regola che deve essere attuato anche nel caso loro, sì o no? Unifichiamo questi tre concetti. Se ha avuto più sensibilità Prodi o «i professori»? La sensibilità è un fatto personale e la risposta, come dicono i latini, è in re)). Insomma, per Tatarella, e per Berlusconi, i «professori» avrebbero dovuto già dare le dimissioni per conto loro e non trincerarsi dietro ad un fatto formale. E ora il governo si appresta a chiedergliele nei modi dovuti. Ma per farlo il capo del governo dovrà coinvolgere l'intera maggioranza, a cominciare da Bossi che ieri è tornato a fare le bizze: «Per quanti danni ha provocato la Rai - ha detto -, non sono niente rispetto a quelli che ha provocato la Fininvest. Berlusconi manipola le sue tv peggio della Rai. Bisognerebbe licenziare la Rai, non si capisce più che gioco faccia. Bisogna rompere il duopolio Rai-Fininvest». Così il destino di Demattè e Locatelli è tutto nelle mani di Bossi. Si preannuncia un nuovo scontro nella maggioranza e «i professori» non possono certo fare sonni tranquilli: in fondo per accontentare Bossi basta una rete. Augusto Minzolini