«Giapponesi ora investite da noi» di Roberto Ippolito
Oggi incontra i colossi del Sol Levante: dobbiamo liberalizzare il made in Italy Oggi incontra i colossi del Sol Levante: dobbiamo liberalizzare il made in Italy «Giapponesi, ora investite da noi» Bernini: «Questo per voi è il momento giusto» IL MINISTRO DEL COMMERCIO ROMA. Davvero graditi. I giapponesi sono i benevenuti. A garantirlo è Giorgio Bernini, il nuovo ministro del Commercio estero, deputato di Forza Italia. Bernini invita i grandi gruppi industriali a costruire stabilimenti in Italia e spera che cadano i vincoli amministrativi alle esportazioni. In questa intervista il ministro svela le sue mosse. Il primo appuntamento? «Oggi (lunedì) incontro una delegazione della Keidandren, la Confindustria giapponese, formata da managers di società come Toshiba, Fuji, Hitachi, Toyota o Mitsubishi, che mira a rapporti più stretti». Se ne parla da anni. Non è scettico? «In effetti i giapponesi non sono molto veloci. Ma ora, con il rallentamento della loro economia, si stanno muovendo verso un'economia più aperta». Cosa propongono? «Il Giappone intende finanziare iniziative che facilitino le importazioni nel suo territorio. L'Italia ha un pesante saldo negativo negli scambi commerciali, anche se nel 1993 il disavanzo è sceso a 946 miliardi e nei primi tre mesi dell'an- no la crescita è vicina al 50%. Quindi qualcosa si muove e non solo per la svalutazione della lira». Cosa vuole ottenere? «Il mercato giapponese è difficile. Vorrei una vera liberalizzazione per i nostri prodotti. Dobbiamo sapere con chiarezza le regole tecniche da rispettare, i requisiti da soddisfare, le procedure da segui- re. Anche per le operazioni bancarie subiamo meccanismi troppo rigidi. Quando si esporta a Tokio spesso si va incontro all'ignoto». Non è solo un problema del Giappone... «Dopo le intese internazionali dell'Uruguay Round, in generale i problemi non vengono dai dazi ma dai vincoli che frenano gli scambi. In alcuni casi le tariffe giapponesi restano alte: il 30% per cuoio e scarpe; non basta essere scesi dal 60%. Per le importazioni di auto giapponesi era stato fissato un tetto di 47 mila unità prevedendo un calo del mercato del 4,9%. Ma la discesa è del 12,8%: il tetto andrebbe ridotto in proporzione alla flessione della domanda». Ipotizza intese industriali? «Siamo in una fase esplorativa. Verificherò eventuali contributi per le infrastrutture e le possibili collaborazioni per le piccole imprese». Porte aperte al Giappone? «Sarebbe opportuno che i grandi gruppi giapponesi si insediassero in Italia. La costruzione di stabilimenti nel nostro Paese significherebbe nuovi posti di lavoro. Il Sud può avere un legittimo beneficio». E le iniziative del governo in Giappone? «Vanno riorganizzate. A Tokio ci sono un ufficio commerciale, un ufficio dell'Istituto per il commercio estero, la camera di commercio italo giapponese, un ufficio Enit, a Osaka c'è un'altra sede Ice, poi ci sono filiali di enti. Avanzerò una proposta di riforma della nostra presenza all'estero. Vorrei presentare un'immagine globale che faccia perno sulla nostra cultura, promuovendo contemporaneamente anche il turismo. Il Giappone è solo il primo caso». In che senso? «Rendere meno frammentarie le nostre iniziative e ottenere che si riducano i vincoli alle esportazioni sono esigenze valide in tutto il mondo. Sono in partenza per Parigi dove domani martedì parteciperò alla conferenza dei ministri del Commercio estero dell'Ocse, l'organizzazione per la cooperazione. Discuteremo sulle ripercussioni del superamento dei dazi. Non basta ridurre le tariffe se l'Italia, per esempio, impiega due anni per autorizzare una costruzione o in un porto straniero alcuni materiali vengono tenuti fermi tre settimane». Discuterete di altro? «A margine si parlerà dell'accesso di Cina e Russia al Gatt, gli accordi internazionali sul commercio. Siamo disponibili, ma va fatta molta strada». Molte aziende italiane sono finite in mani straniere. Come mai non succede l'inverso? «Eravamo in un regime consociativo nel quale interessava soprattutto dividersi la torta italiana. Tranne pochi casi l'internazionalizzazione è stata modesta». Roberto Ippolito
Persone citate: Bernini, Fuji, Gatt, Giorgio Bernini
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