«lo dannata del gioco»

«Mi accusano di truffa al casinò, ma sono solo una vittima. Ho perso una fortuna, me ne pento» «Mi accusano di truffa al casinò, ma sono solo una vittima. Ho perso una fortuna, me ne pento» «lo, dannata del gioco» Ljuba Rizzoli: la roulette come cura LA SIGNORA DF'L'AZZARDO MONTECARLO ALLA terrazza si vede un paradiso: mare, cielo e quella linea del nulla che è l'orizzonte. Eppure la signora guarda altrove. Occhi sul casinò. Dice: «Da qui, con il binocolo, posso perfino vedere quali numeri escono alla roulette». Poi abbassa lo sguardo perché, dice: «Ho perso tanto e me ne pento». Ma lo rialza subito, perché: «Il gioco è per me uno sfogo e un oblio. Sono morta di dolore più di una volta. Vivo sola, non ho compagni. Mi stanno accanto le anime di quelli che ho perso. Gioco i numeri che amavano loro. Sempre. Non gioco per vincere. Non si vince mai. Gioco per sopravvivere, perché al tavolo verde il tempo passa. Passano quattro ore, passa la notte e non me ne accorgo. Se sto a casa, devo imbottirmi di psicofarmaci. Anche gli psicologi mi hanno detto: giochi, signora». Così Ljuba Rosa vedova Rizzoli ha ripreso a giocare, a farsi del male, a modo suo. Affronta anche un processo, a causa del gioco. Secondo l'accusa avrebbe illecitamente incassato denaro non vinto con la complicità del personale del fallito casinò Palm Beach a Cannes. Si difende con indignazione: «Sono stata messa alla gogna e ferita, dai giornali più che dai giudici. In questo processo sono finita per far da cornice a un quadro. Tre giorni di dibattimento e l'accusa si è sgonfiata. Dicono che facevo puntate tardive, sul "rien ne va plus", ma così si gioca all'italiana. Dicono che ho ottenuto dei privilegi. Se c'erano contestazioni il casinò favoriva me perché ero una cliente affezionata. Tutto lì. Io non sono una colpevole, sono una vittima». Di cosa, signora? «Dei pregiudizi che subisco per il nome che porto e per il vizio del gioco». Come è cominciato? «Una sera lontana a Deauville. Ero con il mio compagno di allora, Ettore Tagliabue. Andammo a un'asta di cavalli, poi al casinò. Ebbi la sfortuna di vincere. Pro- prio così, la sfortuna, perché se si vince, si finisce per prendere il vizio, diventa un'abitudine e un'abitudine è una seconda pelle: non te la togli più. Poi ti capita di sposare un giocatore. E' accaduto a me, con Andrea Rizzoli, anche se tutti dicono che l'ho avviato io al gioco e non è vero. Giocavo già, ma lui era un patito, prima di conoscermi. E' questa la verità. La verità è anche che io non sono né un'arrampicatrice sociale né una mantide. Ho sempre avuto uomini più vecchi di me, è vero, ma io mi aggrappavo a loro, cercavo sicurezza, conforto. Loro giocavano per avere una pausa nel cervello, la trovavano al tavolo verde e lì andavano». E lei, perché ci va? «Per sconfiggere la noia, la nostalgia, perché il tempo passi e io non me ne i.ccorga, per non sentire le ferite che ho addosso, per non stare male. Sono fragile, ho una malattia nervosa, mi sento in perpetuo squilibrio. Stare seduta al tavolo della roulette mi aiuta. E' il casinò la mia clinica. Lì mi calmo. Gioco. Gioco sui numeri, sempre quelli: 0, 3, 7, 12, 18, 26, 28, 29, 32. Sono quelli che amava mio marito Andrea. Non li tradirei mai. So amare solo quello che apparteneva a chi ho perduto». Le portano fortuna? «No, ma non è quello che cerco. Non m'interesserebbe sbancare con un altro numero, vederlo uscire dieci volte di seguito. E poi il vero giocatore è masochista. Perdere provoca una scarica di adrenalina che la vittoria non dà. Sono abituata alla sofferenza. Se vinco mi entusiasmo per un po', ma resto lì e se resti poi perdi. E' nella sconfitta che mi ritrovo. Manco di rispetto a me stessa, mi insulto, ma mi ritrovo, con le mie debolezze e la mia vulnerabilità». E del denaro non le importa? «Non sono mai riuscita a rispettarlo. Lo considero labile, effimero. Non sono una borghese, sono una zingara. Non ho saputo inserirmi nel mondo borghese. Non riconosco i suoi valori. Per me il lusso è l'avventura e il gioco è il più grande lusso del mondo. Per un gioiello o per un amante non si spenderebbero mai le cifre che si spendono per il gioco, per qualcosa che non esiste, non si tocca, eppure ti fa buttare via una fortuna». Quanto, signora? «Meno dei trenta miliardi che mi hanno attribuito. Molto meno. Comunque tanto». Lei si rende conto che in una sera può aver giocato sulla corsa di una pallina quello che la maggior parte delle persone che leggeranno questa intervista guadagneranno in una vita? «Lo so. Ma vede, quando si entra al casinò ti mettono in mano questa plasticacela che sono le fiches. Noi giochiamo con questi bottoni colorati che ci fanno sentire bambini. E' una cosa patetica, ma è così. Con i soldi non riusciremmo, sarebbe troppo evidente l'amoralità della situazione. Poi, quando esci, ti rendi conto delle cifre che hai rischiato o perso. E la coscienza ti condanna. Io faccio beneficenza per scontare. Aiuto gli anziani. Ma lei vuole che le parli della giocatrice, non del resto di me. Il resto, forse, non interessa a chi legge i giornali. Io sono una giocatrice stanca. Molto spesso guardo e basta. Oggi vedo arabi, turchi e russi, i nuovi ricchi, fare puntate da settecento milioni. Fa impressione. Così, non potrei. Io gioco per sconfiggere la mia nostalgia. Ci riesco sempre di meno. Il passato non torna. Nel passato si andava in gruppo, si arrivava cantando, si andava via senza sofferenza. Ora è solo una terapia. Ora non mi dà felicità. Io non sono più la stessa. Loro non ci sono più. Morti o rovinati. Come diceva il proprietario del Palm Beach accogliendoci all'inizio della stagione: "Questo è un anno duro, i migliori clienti sono morti o rovinati". Era vero. Tutte tragedie silenziose: chi muore scompare, chi si rovina scompare. Gli altri restano lì, intorno al tavolo. Bisogna essere molto solidi o molto fragili per resistere. Avremmo dovuto fuggire davanti a un avviso come quello, invece entravamo ugualmente e giocavamo». Come erano, come sono gli altri giocatori? ((Adesso che li guardo con più at¬ tenzione mi accorgo che sembrano tutti pesci sott'acqua. Si dovrebbe giocare per il piacere di farlo. Mio marito Andrea ne era capace anche se a volte gli prendevano degli autentici raptus. Ma era anche in grado di fermarsi, quando vinceva. Io no, io devo passare la serata, non posso uscire dal casinò finché non è finita. Un altro che non può farne a meno è Attilio Monti. E' capace di giocare dalle sei di sera alle sei del mattino. Fischiettando. E' un giocatore classico, lui. Dice che vince, ma non ci credo: nessuno può farlo. O forse uno solo ci riusciva, che io ricordi: re Fahd. Non usava le fiches. Non si degnava di toccarle. Sfiorava col dito il numero che voleva puntare. Diceva: "Sul dodici, il massimo". Poi si voltava, parlava e non guardava neppure dove si fermava la pallina, se aveva vinto o perso. Si rivoltava e diceva: "Sul trentadue, il massimo". Tutta la sera così. E vinceva. Mi faceva paura. Io, invece, sono una giocatrice semplice, con le mie scaramanzie e i miei riti. Una che non va mai sola, al casinò. Ho bisogno della compagnia giusta, di amici. Ma è sempre più difficile provare le sensazioni che sentivo una volta. Non ci riesco più». Perché non smette? «L'ho fatto. Stavo malissimo. Sono stati gli stessi psicologi a dirmi di riprendere. E' la sua medicina, mi hanno detto. Se abitassi a Voghera forse riuscirei a smettere. Forse sarebbe stato meglio passare lì tutta la vita. Magari un giorno tornerò davvero in Valle Staffora, tra la natura che amo, ma finché vivo in Costa Azzurra, cosa posso fare se non giocare? Non posso certo frequentare il jet set, mi sentirei ancora una bambina che gioca alle signore con le amiche». Stasera giocherà? «Non credo. Preferisco farlo d'inverno. In inverno sento il casinò come il mio rifugio. Le sere di primavera e d'estate non mi ci portano. Resterò qui, a meno che non mi prenda l'angoscia». Gabriele Romagnoli «Come i veri amanti del rischio sono masochista, cerco la sconfitta Se il denaro è una fiche colorata non riesci a portargli rispetto» A sinistra Ljuba Rosa, a destra il marito Andrea Rizzoli. Sotto il casinò di Palm Beach a Cannes, accanto Cap Ferrai dove attualmente vive la vedova Rizzoli

Persone citate: Andrea Rizzoli, Attilio Monti, Ettore Tagliabue, Gabriele Romagnoli, Ljuba Rizzoli

Luoghi citati: Cannes, Montecarlo, Voghera