«La vita di Ada ci renderà ricchi» di Francesco Fornari
Il sequestro ideato in discoteca. Il padre della giovane: non parla, è terrorizzata Il sequestro ideato in discoteca. Il padre della giovane: non parla, è terrorizzata «La vita di Ada ci renderà ricchi» Genova, il complice svela ipiani di morte dell'ex fidanzato GENOVA DAL NOSTRO INVIATO «Ho da farti una proposta: è una cosa non tanto regolare che però ci può fare avere dei soldi. Molti soldi». Così, una sera di tre mesi fa in discoteca, sorseggiando un liquore, Mario Corradino ha confidato a Nicolò Fortini il suo insano progetto: sequestrare una sua amica, Ada Vallebona, ricca ereditiera, per realizzare un mucchio di denaro, miliardi addirittura. La «cosa non tanto regolare» non ha scandalizzato il Fortini e i due giovani, da sempre compagni di divertimento, amanti del lusso, del bel vivere ma con poca voglia di lavorare, si sono messi subito all'opera per preparare il piano del rapimento in tutti i dettagli. Meno duro del suo complice, che dopo aver indicato alla polizia il posto dove avevano rinchiuso la vittima si è rifiutato di rispondere alle domande, Nicolò Fortini ha raccontato tutta la storia ai sostituti procuratori Anna Canepa e Valeria Fazio, quasi volesse liberarsi di un peso, cercando nelle parole una forma di espiazione. Nelle ultime settimane i due amici avevano tenuto d'occhio la loro vittima, appostamenti, pedinamenti, controllo delle sue abitudini, degli orari. Dieci giorni fa vanno alla ricerca del covo-prigione e individuano la cabina elettrica abbandonata dell'Enel in località Castelletti, di fianco all'autostrada, all'uscita di una galleria, un posto nascosto fra i cespugli, difficile da raggiungere. Il luogo ideale, un parallellepipedo di cemento, grigio, spettrale, con un'unica porta che i due complici si affrettano a murare con una fila di mattoni, lasciando soltanto una piccola apertura in basso, nascosta da sassi e tavole di legno. Dentro ammassano pacchi di biscotti, bottiglie d'acqua, marmellate, due coperte, fissano una grossa catena ad un gancio nel muro. La prigione è pronta, mercoledì effettuano l'ultimo controllo, il rapimento è deciso per il giorno dopo, giovedì. Fin dalle 21 sono appostati nei pressi dello studio di commercialista dove lavora Ada Vallebona, Mario Corradino sulla Vespa, Nicolò Fortini al volante della Renault Clio dell'amico. Alle 22,30 la giovane donna esce con un collega, si fermano a mangiare un panino in un bar, poi lei si avvia ver¬ so casa. I due balordi la seguono per un tratto, poi la precedono, posteggiano l'auto in via Liri e si appostano nei pressi della sua abitazione, in viale Garbieri. Indossano caschi da motociclista; quando Ada Vallebona arriva, il Fortini si avvicina come per chiedere un'informazione, la donna, abbassa il finestrino e viene colpita con un forte pugno. L'uomo spalanca la portiera, la sospinge sull'altro sedile, le preme un fazzoletto impregnato di cloroformio sulla bocca e sul naso. La vittima si divincola, scalcia, viene colpita selvaggiamente dal Fortini, accorre anche Corradino, ancora pugni, violenti, impietosi, sulla testa, sulla faccia, nello stomaco. Semistordita, la ragazza non reagisce più. Con la sua auto, i due rapitori la portano in via Liri, dove la trasferiscono sulla Clio, poi si dirigono verso il casello di Nervi, imboccano l'autostrada, si fermano all'uscita della galleria Castelletti, nella corsia di emergenza, trascinano la loro vittima sul terrapieno, bloccano un suo ultimo, disperato tentativo di reazione con altri pugni inferii con rabbia, con cattiveria, la trascinano attraverso il varco aperto nella rete di protezione, poi all'interno della vecchia cabina, la incatenano al muro e se ne vanno. Strada facendo gettano in un cassonetto dell'immondizia una camicia sporca del sangue della vittima, un paio di scarpe da ginnastica, anche queste insanguinate, i caschi da motociclista. Un'ora dopo sono nella discoteca «Terme» di Lavagna. Secondo il piano ideato dai due, la donna avrebbe dovuto restare in quella prigione almeno per tre settimane, il tempo neces- sario ai familiari, secondo i loro calcoli, per trovare i tre miliardi di riscatto. Incatenata, al buio, sempre da sola perché i rapitori non avevano previsto di tornare nella «prigione»: l'avrebbero semplicemente dimenticata e alla poveretta sarebbe mancato anche quel piccolo aiuto che, secondo gli psicologi, deriva dalla presenza del carceriere, un minimo contatto umano, per non impazzire di paura. Adesso è in ospedale, terrorizzata. «Mia figlia - racconta Davide Vallebona, il padre, 59 anni, primario di radiologia al San Martino - ha paura, è sotto choc. Non può ancora parlare per una profonda ferita alla bocca, però quando ci guarda sembra terrorizzata. Non mangia, non può inghiottire se non qualche omogeneizzato». Francesco Fornari llllpisl I
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