Il digiuno di Ding e Jiang «Riabilitate i nostri figli»

Il digiuno di Ding e Jiang «Riabilitate i nostri figli» Il digiuno di Ding e Jiang «Riabilitate i nostri figli» Maremoto nella notte, almeno 150 morti Soldati sulla Tienanmen all'alba, subito dopo l'alzabandiera [FOTO EPA] PECHINO. Nel quinto anniversario della tragedia di piazza Tienanmen, i genitori di un ragazzo ucciso a 17 anni, nella violenta repressione delle pacifiche dimostrazioni per la democrazia la notte tra il 3 e il 4 giugno del 1989 a Pechino, hanno iniziato giovedì uno sciopero della fame di due giorni per commemorare quelle morti apparentemente dimenticate. La professoressa Ding Zilin e il marito, Jiang Peikun, ambedue ex docenti di Estetica all'Università del Popolo di Pechino, sono fra i pochissimi familiari delle vittime della repressione che hanno avuto il coraggio in questi anni di parlare pubblicamente del loro lutto. Ambedue hanno pagato perdendo il lavoro e molti amici. In particolare il marito è stato licenziato dopo aver concesso un'intervista ad una radio americana. Ding Zilin dimostra di più dei suoi 57 anni. Malata di cuore, esce molto raramente di casa. In camera da letto conserva le ceneri del figlio, ucci- te secondo dati ufficiali quando l'esercito sparando si fece strada per andare a «riportare ordine» sulla piazza Tienanmen, dopo 50 giorni di dimostrazioni alle quali parteciparono milioni di persone disarmate. Fonti cinesi indicano il doppio o il triplo di morti. Fonti indipenti parlano di 1800 vittime. Ding Zilin è riuscita a rintracciare 84 famiglie di vittime e altre 50 di persone rimaste ferite. La lista contiene i nomi delle vittime, l'età, il luogo del decesso, la condizione della famiglia dopo l'uccisione del parente. La professoressa vuole che la memoria del figlio e degli altri «controrivoluzionari» o «teppisti», come sono fino ad oggi indicati dal governo, venga finalmente riabilitata. Il segretario generale del partito comunista Jiang Zemin, nonché capo dello Stato e delle Forze armate, ha ribadito due settimane fa che la repressione fu una cosa giusta, perché ha garantito la stabilità sociale indispensabile allo sviluppo economico. [Ansa] GIAVA GIAKARTA. Un terremoto di intensità pari a 5,9 gradi della scala Richter ed un successivo maremoto hanno colpito ieri l'estrema punta orientale dell'isola di Giava, in Indonesia, provocando la morte di almeno 150 persone ed un numero imprecisato di feriti. Secondo le autorità locali vi sono ancora numerosi dispersi. Il terremoto ha avuto come epicentro l'Oceano Indiano, 225 chilometri a Sud di Malang, la principale città della parte orientale di Giava. Il maremoto ha devastato cinque villaggi nei distretti di Purwoharjo, Sarongan e TegalaUimo, nei pressi della città por¬ tuale di Banyunwangi, che si affaccia sullo stretto di mare oltre il quale si trova l'isola turistica di Bali, dove non sono state segnalate vittime. La maggior parte delle persone decedute, sorprese di notte nel sonno, sono annegate nel maremoto o rimaste uccise dal crollo delle loro abitazioni. Decine di case sono state distrutte e numerosi pescherecci affondati. Giava e l'adiacente Bali sono situate nel cosiddetto «cerchio di fuoco del Pacifico», una vasta area geografica soggetta a frequenti sismi. A Giava vive il 60 per cento dei 180 milioni di indonesiani. [Ansa] te alle medie superiori, affascinato dall'ideale di democrazia, aveva partecipato a tutte le dimostrazioni. Una foto nella sua camera lo ritrae mentre regge uno striscione che dice «Se voi cadrete noi vi rimpiazzeremo». Otto agenti in borghese presidiano l'abitazione dei due professori. Gli studenti e gli amici che vanno a trovarli vengono interrogati dalla polizia. Trecento persone sono mor¬ so da una pallottola sparata dall'alto di uno dei palazzi a quattro chilometri da piazza Tienanmen. «Gli avevamo detto di non andare - ricorda in lacrima -, ma lui diceva che i soldati erano dei bravi ragazzi. Lo abbiamo aspettato per ore fino all'alba, poi un suo compagno è venuto a informarci». E poi aggiunge: «La morte di mio figlio mi ha fatto uscire brutalmente da un lungo letargo. E' come se il suo sangue mi avesse lavato gli occhi. Ora comprendo meglio la vera natura del partito comunista cinese». Il figlio era stato tra i primi a cadere, nel quartiere di Muxudi, a Nord della capitale, teatro dei primi colpi di fucileria sparati contro i manifestanti. Jiang Peikun aveva già giraro tutti gli ospedali cittadini sperando di trovarlo tra i giovani feriti. Iang Jielian, ottimo studen¬ Tremila uccisi, duemila suicidi, 24 mila scomparsi, 50 mila fuggiti di casa, duecentomila vagabondi

Persone citate: Ding, Ding Zilin, Jiang Peikun, Jiang Zemin, Richter

Luoghi citati: Giakarta, Indonesia, Pechino