Tienanmen l'assedio dei cinque anni

La notte fra il 3 e il 4 giugno '89 i carri armati del regime schiacciavano la protesta studentesca La notte fra il 3 e il 4 giugno '89 i carri armati del regime schiacciavano la protesta studentesca Tienanmen, Passedio dei cinque anni Resta ilpugno di ferro, ma è nata una nuova Cina d'allerta forze armate, polizia, Comitati provinciali e municipali di partito, amministrazioni locali. Secondo la stampa di Hong Kong, il primo ministro Li Peng ha diramato una circolare «urgente e top secret» affinché i Comitati di partito siano in attività 24 ore su 24 per «per garantire sicurezza e ordine e bloccare ogni minimo incidente in qualsiasi località». La settimana scorsa, tutti i giornali hanno dato in prima pagina un discorso dello stesso Li Peng in cui, riecheggiando lo slogan di Deng Xiaoping, si ribadisce che «senza stabilità e sicurezza sociale e politica sarà impossibile avanzare nel¬ le riforme e nello sviluppo». Il capo dello Stato e del partito, Jiang Zemin, nei giorni precedenti aveva di nuovo esaltato la repressione dell'89, ammonendo che «la stabilità sarà mantenuta ad ogni costo». I giornali hanno riferito che è in corso da parte della polizia una campagna su scala nazionale per «assicurare la stabilità nella stagione estiva»; negli ultimi mesi fermati o arrestati «decine di migliaia di criminali, 6500 dei quali solo tra il 1° e il 20 aprile in una sola provincia»; in un solo giorno, duemila arrestati in una sola regione. Atterrito dalla ricorrenza, il regime ha però dovuto mostrare anche una certa flessibilità in vista del rinnovo della clausola di «Nazione più favorita» da parte degli Stati Uniti; e Clinton l'aveva subordinato al miglioramento nella situazione dei diritti umani. Il 23 aprile aveva scarcerato uno dei leader dell'89, Wang Juntao, 35 anni, condannato nel '91 a 13 anni. Ma l'ha fatto passare direttamente dal carcere a un aereo per gli Stati Uniti, con la scusa di mandarlo a curarsi stando vicino alla moglie, che vive a New York. Il 16 maggio ha scarcerato il secondo dei maggiori personaggi dell'89, Chen Ziming, 42 anni, anch'e- gli condannato a 13 anni. Ma lo hanno mandato con la moglie in una località di provincia, praticamente isolato e tenuto sotto stretta sorveglianza. Il 1° aprile era stato riarrestato Wei Jingsheng, il maggiore esponente del dissenso: era stato incarcerato nel '79 per aver affisso sul Muro della democrazia un manifesto in cui, accusando il partito comunista di tirannia, proclamava che la Cina ha bisogno soprattutto della «quinta modernizzazione», cioè democrazia. Condannato a 15 anni, era stato scarcerato nel settembre scorso, ma anziché starsene silenzioso e isolato, come il regi¬ me avrebbe voluto, si era attivamente impegnato per il rispetto dei diritti umani, stabilendo collegamenti con altri dissidenti, incontrando giornalisti stranieri, denunciando la repressione con articoli e saggi su giornali occidentali e di Hong Kong. Wei è stato riarrestato mentre tornava a Pechino da una località di campagna dove si era ritirato per un mese dopo aver sfidato il regime incontrando, il 4 marzo nella capitale, l'inviato di Clinton per i diritti umani, John Shattuck. Il potere è stato particolarmente duro con lui e con Wang Juntao anche perché entrambi Soldati e giovani si fronteggiano nei giorni precedenti il massacro Quando, dopo la strage, cominciò la caccia alle streghe, il nome di Wang era in cima alla lista dei ventuno leader studenteschi «ricercati speciali». L'hanno preso un mese dopo; colpa di un appuntamento con un giornalista di Taiwan, che era tallonato dalla polizia segreta. Wang si è fatto quattro anni di carcere per «sommossa e propaganda controrivoluzionaria». Nella prigione di Qincheng, 30 chilometri fuori Pechino, il regime mostrava il suo volto spietato. Wang ha passato molto tempo in isolamento. Le visite non erano ammesse. Poi l'hanno portato nel carcere numero 2 di Pe- Un'immagine di Wang Dan nel maggio dell'89, quando a vent'anni arringava con il megafono i ribelli di piazza Tienanmen e del Grande Vecchio del comunismo cinese Deng Xiao Ping vengono da famiglie dei «mandarini rossi»: il padre di Wei è un alto dirigente di partito, tanto devoto a Mao che obbligava il figlio a imparare a memoria ogni giorno alcune pagine del Grande Timoniere; il padre di Wang è un generale, capodipartimento all'Accademia politica dell'Armata. Il successo delle riforme economiche con il via libera al mercato e all'iniziativa privata, la crescente presenza di stranieri con le centinaia di migliaia di joint-ventures e l'intensificarsi dei contatti con l'estero, hanno cambiato la Cina e i cinesi. Il sistema rimane politicamente autoritario ma i dissidenti, silenziosi dopo la mazzata dell'89, riprendono voce. L'11 marzo, sette intellettuali hanno comunicato alla stampa estera di aver mandato un appello al capo dello Stato, Jiang Zemin, reclamando il diritto alla libertà di parola e protestando per i continui arresti. I genitori di uno studente ucciso nell'89 hanno costituito con i genitori di altre vittime un comitato che chiede formalmente la condanna della strage. Il solo fatto che i dissidenti avvicinino stranieri, che vengano lanciati questi appelli e richiesto, indica che molto sta cambiando. Non è più solo un potere in assedio, ma un potere assediato. Fernando Mezzetti chino, nella parte Sud-Est della capitale. I primi quattro mesi li ha passati in uno stanzino, «un cesso». Poi gli hanno dato una cella più grande e gli hanno concesso di ricevere i genitori una volta al mese e frequentare la biblioteca. Wang ha scritto un libro sulla sua vita in prigione. La versione cinese è uscita a Hong Kong, ora cerca un editore per la versione inglese. L'hanno rilasciato l'anno scorso, a febbraio. «Per me è stata una prova. Ora non temo più nessuna punizione». La prova è continuata: Wang è stato arrestato quando il segretario di Stato Usa Warren Christopher ha visitato Pechino, nel marzo scorso, poi una seconda volta, per aver preparato una petizione per la democrazia. Gli hanno ricordato che criticare il governo è illegale, e che se avesse dato una «brutta immagine» della Cina, ne avrebbe «pagato il prezzo». Ma Wang non si ferma. La scorsa settimana con sei compagni ha rivolto mi appello al governo: riabilitate i condannati politici, risarcite le famiglie dei morti della Tienanmen. Wang crede che il regime stia vacillando, perché «dà segni di nervosismo». E' ottimista: «Un sistema multipartitico si formerà anche qui, quando la gente sarà più ricca e meglio istruita». Per questo è d'accordo con Clinton, che ha rinnovato a Pechino la clausola di nazione più favorita. «Quando i cinesi avranno più denaro, vorranno partecipare alla guida della nazione, e il partito comunista non potrà rispondere sempre di no. La democrazia vincerà. Per questo non ci saranno proteste, il giorno dell'anniversario del massacro. Il movimento sa che una grande manifestazione, in questa fase, sarebbe inutile. Un dissidente o due proveranno a portare cartelli in piazza, ma la gente ricorderà in casa, in silenzio, le centinaia di giovani che sono morti per la democrazia». Wang non sarà tra loro. La settimana scorsa ha lasciato Pechino per un «viaggio d'affari» nella Corea del Sud. «Tornerò solo dopo l'anniversario. Ho deciso così». Mentre ci salutava, Wang ci ha dato il suo biglietto da visita. C'è scritto: «Wang Dan, uomo libero». Sorride. «Forse non adesso. Ma un giorno sì». David Harrison Copyright «The Guardian» e per l'Italia «La Stampa»