«Italia ti giudicheremo dai fatti» di Paolo Passarini

A Palazzo Chigi incontro caloroso ma diffidente. E Clinton ricorda: in 50 anni, 53 governi A Palazzo Chigi incontro caloroso ma diffidente. E Clinton ricorda: in 50 anni, 53 governi «Italia, ti giudicheremo dai fatti» • • ■ • • «In Bosnia? Meglio no». Paragone scomodo sulla democrazia ROMA. La Cadillac con le insegne della Presidenza degli Stati Uniti ha varcato nel primo pomeriggio di ieri il portone di Palazzo Chigi e ha scaricato due Bill Clinton. Un Bill Clinton privato e uno pubblico, il primo aperto e caloroso, il secondo freddo e con una punta di diffidenza. Silvio Berlusconi si proponeva di ottenere, se non un'investitura, un riconoscimento. Ha ottenuto un riconoscimento personale, ma un'investitura condizionata. «Giudicheremo dai fatti», ha detto Clinton riferendosi al nuovo corso della politica italiana. Forse non poteva dire di più, ma non avrebbe mai usato un'espressione così dubitativa nei confronti di nessuno dei «precedenti 53 governi italiani», una contabilità richiamata dallo stesso Clinton come per alludere al fatto che tanto in Italia i governi passano in fretta. I collaboratori del presidente liiiliiiiM^H LA CITTA' E L'OSPITE SROMA I', si chiama bagno di folla. E' un obbligo per un Presidente in tournée. Il bagno di folla può essere entusiasmante se si accompagna a grandi contenuti emotivi di massa (l'«Ich bin Berliner» di John Kennedy), altrimenti scivola nella grande manifestazione di simpatia e curiosità un po' cannibalesca: qualsiasi percorso di guerra fra le gomitate pur di toccarlo, pur di poter dire «l'ho visto», «mi ha guardato». , E in questo senso Clinton, specialmente nella piscina umana che si era formata sulla piazza michelangiolesca del Campidoglio, è stato generoso: ha fatto diverse vasche, si è esposto, non ha mollato mai il sorriso, ha fatto, come dicono le plebi capitoline che erano lì a osannarlo, «il piacione», quello cioè che piace e che si concede. E a fare gli onori di casa c'era anche il piacione titolare, Francesco Rutelli, abbronzato a Fregene di week' end, come si conviene a un sindaco che lavora. Anche un reportage giornalistico non può non avere il suo angoletto riservato al bagno di folla. E quindi noi siamo stati lì, con penna e taccuino, stretti come sardine, e abbiamo visto che era veramente un travolgente bagno di curiosità affettuosa quello che irrorava il Presidente americano, il quale non ha esitato ad esporsi oltre gli angusti desideri del servizio d'ordine che aveva occhi di ghiaccio, giacche rigonfie, radiolina all'orecchio e nocche corazzate. Un ragazzo si sgolava: «A Bill!, vie qua, che te volemo applaudì...». D'altra parte, se un Presidente imperiale in visita senza obiettivi politici incalzanti si rifiutasse o si limitasse in questo rito, le sue quotazioni scenderebbero. Quelle importanti, intendiamo: quelle dei fotografi, dei cameramen, della gente alla buona con i pupi in carrozzina che si compera le bandierine da duemila lire e aspetta cuocendo a un sole già assassino. E Bill Clinton, il giovanottone precocemente incanutito, il Presidente ex contestatore cresciuto nei pub londinesi, nelle birrerie di Praga e ovunque si suoni jazz e sassofono, con la voce arrochita e confidenziale da consumato dj della politica, ieri ha fatto il dover suo: secondo un nostro calcolo ha stretto tra le duecento e le trecento mani, comprese quelle sfiorate. Ha avuto successo nel senso che ha saziato e il suo successo romano, di buon piazzamento, decoroso e anche decorativo, non ha raggiunto però vette memorabili. E questo non perché mancasse qualcosa, ma per un eccesso di cose: c'era Hillary a rubargli la scena, è vero; ma c'era anche la bella moglie di Berlusconi che rubava la scena a Hillary: Veronica Lario, essendo bella e notevole, ed essendo ancora un oggetto poco conosciuto dagli italiani, polarizzava da sola un buon trentatré per cento dell'attenzione. Anzi, un fatto nuovo va segnalato: un tempo, quando arrivavano i presidenti americani erano giovani o giovanili e trovavano ad aspettarli coppie barcollanti o singoli babbioni dell'italica nomenclatura, schierati in pompa magna e lontani anni luce da qualsiasi cura dell'immagine. Ieri invece i del Consiglio italiano megafonavano ieri soddisfatti alcuni particolari dell'incontro. Non era un incontro a due, era presente uno stuolo di collaboratori sia di Clinton sia di Berlusconi. Si racconta che il presidente del Consiglio italiano, nel fare gli onori di casa, sia partito in quarta, parlando molto e di tutto mentre Clinton ascoltava in silenzio. Colpito dal silenzio del suo interlocutore, Berlusconi a un certo punto si è interrotto: «Presidente, mi scusi, ho parlato troppo?». Clinton ha esitato un momento per ascoltare la traduzione in cuffia e poi gli ha risposto: «Adesso ho capito perché lei ha vinto le elezioni, perché lei è bravo». L'episodio è stato raccontato per testimoniare la corrente di simpatia che si sarebbe stabilita tra i due personaggi e questo è possibile, anche se la frase di Clinton potrebbe significare soltanto la neutra am¬ mirazione che gli americani hanno per gli «schmoozer», i bravi piazzisti. Bravo o no, Berlusconi è stato sicuramente molto pronto nell'individuare l'argomento sul quale mettere l'accento nell'aprire la conferenza-stampa congiunta che è seguita all'incontro. «Voglio cominciare ringraziando il Presidente degli Stati Uniti per avere iniziato dall'Italia la sua visita in Europa, per commemorare la liberazione che gli Alleati ci hanno portato, la liberazione dal totalitarismo fascista e nazista». Ha insistito ancora su questo punto, sostenendo in risposta a una successiva domanda, che «tra i ministri che ho scelto per il mio governo, non c'è,' né ci potrebbe essere, nessuno che non sia profondamente democratico, che non creda davvero e profondamente nella libertà e nella democrazia, che non sia convinto che il totalitarismo debba essere combattuto sempre e ovunqu yr, «Sono stato profondamente impressionato - ha risposto Clinton - dal forte impegno espresso dal primo ministro a sostegno del processo democratico che ha prodotto le ultime elezioni». Ma poi, rispondendo a un'altra domanda sulla presenza di ministri con un passato fascista nel governo italiano, Clinton ha usato un'espressione che è suonata lievemente offensiva. «Innanzitutto - ha risposto Bill - avete sentito anche voi che la prima cosa detta dal primo ministro è che il suo governo è democratico da cima a fondo». «Ma poi - ha aggiunto - nel mondo in cui viviamo, non solo in Italia, ma in Polonia, Argentina e un gran numero di altri Paesi, esistono molti partiti politici che hanno radici in un passato poco democratico. E io trovo uti¬ le, non solo ragionevole, giudicare tutta la gente nei governi di oggi sulla base dei fatti, di quello che dicono e di quello che fanno quando sono al potere». La comparazione dell'Italia a Paesi sostanzialmente del Terzo Mondo o a altri che cercano faticosamente una via verso la democrazia dopo umilianti dittature non è certamente lusinghiera per la vecchia Italia, ma non lo è in particolare per la nuova. Pur ripetendo che la visita è andata benissimo, anche i più stretti collaboratori di Berlusconi hanno dovuto riconoscere che quella di Clinton «non è stata un'espressione felice». Ma è stata pronunciata. L'amministrazione americana, come hanno più volte spiegato numerosi funzionari, non fa una questione di etichette, non intende ingerirsi in fatti interni di un altro Paese, ma non vede con particolare gioia il «comeback», vale a dire la ricomparsa di fantasmi di un passato odioso attraverso i loro eredi. Non ne fa un dramma, anche perché la cosa che più le preme riguardo ai rapporti tra Stati Uniti e Italia è che semplicemente continuino come sono sempre stati. Clinton, sottolineando che «lo scopo assoluto della sua visita è commemorare la riconquista della libertà in Europa», ha salutato la «grande amicizia» tra i due Paesi. In un breve saluto di commiato, Berlusconi ha rassicurato l'interlocutore, dicendo che, su ogni questione dello «scenario internazionale», le posizioni dell'Italia sono «estremamente vicine» a quelle americane. Ma, almeno su una questione internazionale, Clinton ha risollevato un problema che sembrava superato da tempo. Quando gli è stato chiesto come veda l'ipotesi di un intervento militare italiano per favorire la pace in Bosnia, Clinton ha rispolverato la pregiudiziale sui Paesi confinanti che il Segretario generale dell'Onu ha da tempo dichiarato estinta. «In tutta lealtà penso che il governo italiano sia stato molto utile nel sostenere la missione Nato in Bosnia e nel cercare di fare tutto quanto possibile per porre fine al conflitto. E penso anche che la decisione di non chiedere ai Paesi che confinano con l'ex Jugoslavia di mandare truppe sia stata una buona decisione alla luce della necessità di limitare il conflitto stesso». L'amministrazione americana riconosce che «nessun esponente ufficiale del governo italiano ha mai posto problemi riguardo ai confini con l'ex Jugoslavia». Ma, intanto, perché rischiare che si riaccendano vecchi rancori? Paolo Passarini A sinistra Veronica e Silvio Berlusconi Hillary e Bill Clinton La moglie del presidente Usa in piazza Navona (a destra) e (in basso) con il ministro Adriana Poli Bortone, Tullia Zevi e Sofia Loren Sotto, Clinton con un bimbo in Vaticano