«Pacciani aveva una pistola uguale a quella del mostro» di Vincenzo Tessandori
«Pacciani aveva una pistola uguale a quella del mostro» Processo di Firenze, un nuovo testimone aggrava la posizione dell'agricoltore «Pacciani aveva una pistola uguale a quella del mostro» FIRENZE DAL NOSTRO INVIATO Nuvole cariche di minacce si sono addensate sulla testa di Pietro Pacciani, ieri per tutta la giornata. E a dispetto del sole accanito che picchiava sull'aula bunker e di quella quota 30 toccata alle nove e mezzo dalla colonnina di mercurio del termometro appeso alle spalle dei giudici dell'assise al posto del Crocefisso. In questo che più di un processo ha l'aspetto di una lunga e tormentata partita a briscola, il pubblico ministero ha calato, se non l'asso, una carta pesante, un «carico». «Ho cose importanti da riferire», ha detto Paolo Canessa con voce piana. Poi ha parlato di due persone fino all'altro giorno sconosciute. «Dicono di aver ricevuto una testimonianza indiretta da una persona già presente nelle carte». E di che cosa vorrebbero riferire i due ai giudici? Di una Beretta calibro 22 long rifle che Pacciani avrebbe posseduto in anni remoti. Come quella usata dal mostro per «firmare» i suoi otto duplici omicidi. Emanuela Consigli e Giampaolo Cairoli sono persone lontane anni luce dal mondo di Pacciani. Imprenditori, abitano in Mugello. Ora riferiscono che un loro conoscente guardacaccia, Gino Bruni, una volta aveva raccontato come Pacciani parlasse del suo delitto, quello del 1951, quando aveva accoltellato un rivale, «come se si fosse trattato di un capretto». E poi, ecco la pistola. Il guardacaccia tirò fuori la sua, anche quella una Beretta calibro 22 LR già esaminata dalla scientifica. «A me l'hanno guardata, a lui no, perché la sua non era denunciata». Quel racconto è di un anno e mezzo fa, forse due, ma Cairoli e Consigli non ne avevano fatto parola, spiegano ora, perché convinti che i giudici ne fossero a conoscenza. Poi, dopo essersi confidati con un amico, l'avvocato Marino Bianco, hanno deciso di deporre. «Quello lo dovete denunciare», ha suggerito Pacciani ai suoi difensori. E intendeva «il Bruni». Come sempre parla con tono che vorrebbe apparire implorante, lo stuzzicadenti all'angolo della bocca e gli occhi pronti al pianto. Ha poi spiegato: «A Vicchio c'era un tale che si voleva approfittare della mi' moglie, Bruni, un guardacaccia. E ora qui vengono a forzare le cose immaginarie per influenzare questa storia. Hanno girato questa gente, comprata, per fargli dire il falso». Poi spiega: «L'avevo trovato abbracciato con la mi' moglie, il Bruni, quand'era andata via di testa: Angiolina aveva già avuto la prima bambina ed era incinta dell'altra. '"Icchè tu fai? Se 'un tu và via t'attacco a qui' chioppo"». Era una minaccia: «Se non te ne vai, ti attacco a quel pioppo». L'altro si era difeso spiegando che semplicemente aiutava la donna a girare «le fascine di fieno». Pacciani non l'aveva bevuta ed era finita a botte. Certo, era stato un colpo tremendo per lui avere scoperto che qualcuno se n'era infischiato della sua fama di duro, insomma che c'era un guardacaccia intraprendente, una specie di Mellors e che la moglie aveva imitato lady Connie Chatterley: il fatto è che lui nei panni di lord Clifford proprio non ci si trovava. Eppure ai carabinieri che indagavano sulla rissa, Angiolina Man- ni non aveva lasciato dubbi e aveva raccontato che col Bruni non si era limitata a un semplice abbraccio ma la cosa era, come si dice, andata più a fondo: «Da circa tre-quattro mesi, più volte tentata, ho avuto rapporti intimi con un certo Bruni di Dicomano per varie volte nella capanna dove vengono custodite le bestie attigua alla casa colonica in cui abito e un paio di volte nello stesso luogo anche con un certo Petroni Nello». Oggi il guardacaccia Bruni ha 85 anni e da tempo è in pensione. A scendere in città proprio non riesce, è malato grave: se sarà il caso la corte si trasferirà in Mugello. Ma cosa potrà ricavare dalla trasferta? I famigliari di Bruni dicono soltanto: «Di questa storia non sa niente». Quando furono uccisi Jens Huwe Ruesh e Horts Meyer, il 9 settembre 1983, qualcuno notò un motorino, forse rosso, una ventina di metri lontano dal furgone dei ragazzi tedeschi. «Di che tipo fosse non me ne intendo, ma era appoggiato al muro della villa dove abitavo», sospira Amelia De Giorgio, una bella signora che adesso abita sui colli fiorentini. E anche Orlando Celli scorse quel motorino, ma accanto al furgone VW prima che venissero scoperti i corpi scorse anu un uomo «abbastanza alto, capelli bianchi, stempiato». Era Pacciani? E' impossibile sostenerlo, non fosse altro per la statura troppo diversa. Due ragazze che facevano footing nei boschi attorno a Mercatale hanno ricordato di avere scorto l'imputato pochi giorni prima dell'arrivo ai carabinieri del plico con l'asta guida-molla di una Beretta calibro 22. Era l'aprile del 1992. «Trovata nel bosco», quella parte di rivoltella, spiegava l'anonimo che aveva mandato il pezzo d'arma ai carabinieri. Tiziana Battoli e Nicoletta Fantappiè ricordano come Pacciani le avesse salutate scherzosamente. «No, non possiamo affermare che in mano avesse qualcosa». Ma aver parlato di quell'incontro fortuito è stato sufficiente per finir di rovinare la 16a udienza a Pietro Pacciani. In un luogo, l'imputato si trovava quando c'era anche una futura vittima: Pia Rontini. La «Vicchio Folk Band», 35 strumenti e 45 majorettes, a fine estate 1983 era andata a esibirsi alla festa dell'uva proprio a Mercatale. E Pacciani, che abitava lì, aveva offerto vino ai suonatori. Ma la Pia c'era? Perché nessuno lo dice, ma un sospetto è che l'assassino scelga non soltanto i luoghi bensì le vittime. Teoria difficile da far quadrare. La Pia c'era, in ogni modo, quel giorno: l'avevano anche fotografata, di spalle, ma riconoscibile per via di quei meravigliosi capelli biondi. Davvero Pietro Pacciani può aver commesso quella serie di omicidi? No, afferma lo psichiatra Francesco Bruno, ieri in aula. «Il mostro uccide per soddisfare la propria impotenza: Pacciani non è affatto impotente». Vincenzo Tessandori Rabbiosa la replica «Mente perché amava mia moglie» PR«m I pm Paolo Canessa Pietro Pacciani e una Beretta cai. 22, lo stesso tipo di quella usata dal mostro
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