Il guastatore infinito di Alessandro Baricco

Esaltato, demoni2zato, messo all'indice, lo scrittore italiano più discusso torna a dividere dopo anni di silenzio Esaltato, demoni2zato, messo all'indice, lo scrittore italiano più discusso torna a dividere dopo anni di silenzio PAPINI Il guastatore infinito Ne discutono Asor Rosa, Pampaloni, Luzi e Baldacci RI ITORNA, dopo un lungo silenzio, lo scrittore che la cultura italiana ha più di ogni altro rimosso. Il più J osannato e il più detestato mentre era in vita, il più ignorato dopo la morte. Ritorna - sarà un caso, proprio oggi? - Giovanni Papini. Era stato il protagonista di tutti i movimenti letterari nel primo Novecento, il terribile «Gianfalco», dissacrator di sé e di sue cose: futurista in fiammeggiante contesa con Marinetti, vociano in affettuoso antagonismo con Prezzoli™, scopritore di Kierkegaard in funzione antipositivista, profeta del pragmatismo contro i nipotini di Hegel, blasfemo per sfuggire a ogni ipoteca religiosa. E poi, dopo la clamorosa conversione del 1919, l'alfiere di un cattolicesimo tanto intransigente nei principi quanto frondoso nel linguaggio, corteggiatore corteggiato del fascismo conciliazionista; fino a ricevere, lui, il «rospo scontroso», come amava definirsi, la feluca dell'Accademia d'Italia. Papini è un nome che, fino a pochi anni or sono, non si poteva neppure pronunciare, nei salotti perbene. «Chi cita Papini è squalificato», abbiamo sentito dire da un serio docente, nei corridoi di una facoltà di lettere. Il solo che, ingenuamente, parlava di lui - e riusciva perfino a farlo pubblicare, nel nostro Paese - era Borges. «E' lo scrittore italiano contemporaneo che mi interessa di più», disse una sera a Milano, lasciando allibiti i suoi ospiti. E ora Papini ritorna, con il suo libro più famoso, Un uomo finito, l'autobiografia intellettuale che diede alle stampe nel 1913, fotografia di una crisi culturale e grido di rabbia contro il mondo. Lo recupera l'editore fiorentino «Ponte alle Grazie», con un saggio di Giorgio Luti sull'importanza storica del libro e una serie di documenti raccolti dalla nipote dello scrittore, Anna Paszkowski, per renderlo leggibile oggi, illuminando personaggi ed episodi lontani. Altri libri seguiranno. Già l'editore Giunti ha messo in programma Gog, satira del 1930 sul mondo moderno, in una collana diretta da Enzo Siciliano. Che senso ha l'operazione Papini oggi? Per Alberto Asor Rosa, un senso molto ambiguo, collegato al momento politico. «Il rosario si viene sgranando», osserva amaro. La cultura vociana, ricorda, ha avuto due facce: «Dopo decenni in cui, giustamente, era stata valorizzata quella positiva, che faceva capo a Jahier, Slataper, Boine, adesso si sta recuperando quella negativa». E crede di intuirne il perché. «C'è un ritorno di culto per la finzione, per il carattere illusionistico, dell'immagine, se non proprio per la menzogna. E questo mi sembra coerente con quanto avviene oggi». Lo storico della letteratura non nega le qualità intrinseche dello scrittore. «Io non lo respingo tutto. Ci sono delle cose importanti nel personaggio che non si esauriscono in quella parte negativa». Ma rifiuta, intera, la sua lezione. Papini è stato un cattivo maestro, come alcuni sostengono? «Lui e Prezzolini sì, non c'è dubbio». E le qualità letterarie di Papini aggravano, non attenuano il giudizio. «Un uomo fini- H ERTE cose le trovi solo nelle pagine locali dei giornali. Finisco ad Agrigento e apro La Sicilia. Cronache di Trapani. Sotto l'annuncio dell'apertura del nuovo Auditorium (da segnalare per una caratteristica che a me sembra irresistibile: i posti a sedere sono 999. Non uno di più, non uno di meno. Sembra un prezzo da supermercato), sotto l'annuncio dell'Auditorium trovo un titolo indimenticabile. Testuale, su cinque colonne: Giuseppe emette petali. Mi fermerei qui, ma per dovere di informazione vado avanti. Sommario: A Vita altro fenomeno del ragazzo miracolato. Occhiello. Un medico avrebbe assistito alla fuoriuscita di un bocciolo, dalla bocca del gim>ane. In altre parole: Giuseppe emette petali. Grande. Perché io me lo immagino il redattore trapaneseche cerca faticosamente il verbo: sputa petali?, no, li vomita?, ancora peggio, li espelle? li espettora? Li emette. Come fossero francobolli. toèil primo caso di pentitismo intellettuale del Novecento. E' l'opera di uno scrittore stilisticamente di grande efficacia, come sono spesso questi giocolieri della parola. Ma questo bellissimo stile è a sua volta uno stile della finzione. Piace a Borges? Una relazione c'è, evidentemente». E, per Asor Rosa, una relazione perversa. Di parere opposto Geno PampaIoni, che di Papini non è stato solo lettore attento,, ma anche l'ultimo editore, quando dirigeva la Vallecchi, nella seconda metà degli Anni 50. «E senza rimorsi», dichiara con fermezza. E' vero, riconosce, Papini i nemici se li andava un po' a cercare. «Era arrogante, e forse presumeva di sé più del lecito. Quindi questo rigetto ha qualche giustificazione nell'atteggiamento di Papini stesso. Ma è ingiusto il rifiuto: sia per le qualità dello scrittore, che sono certamente notevoli, sia per l'importanza anche storica di Un uomo finito. E' il libro che ha inaugurato la letteratura autobiografica della crisi: e questo ha un vaiore. Io sono fra quelli che non lo hanno dimenticato». Il maggiore studioso di Papini, Giuseppe emette petali. Se era un verso e l'aveva scritto Montale, era poesia pura. E invece è un titolo di giornale, e allora è comicità pura, cosmica. Con quel Giuseppe, messo lì senza chiarimenti, come fosse un personaggio biblico, e il terzo giorno Giuseppe emise petali, chissà poi perché petali e non fiori, Giuseppe emette un fiore, in effetti è tremendo, meglio petali, Giuseppe emette petali. Eppemcttepet. Un artista. Lui, il redattore. Chissà se almeno per un attimo la tentazione l'ha avuta di mandare tutti al diavolo e titolare canagliescamente: gli spunta un fiore in bocca. Comunque. Era di un'altra cosa che volevo parlare. Una di quelle che trovi solo nelle pagine locali dei giornali. Un'altra. E' accaduta a Palermo: e sembra, nella sua sintetica perfezione, una di quelle favolette illuministe che in una vicenda appa- Luigi Baldacci, divide nettamente le due stagioni dello scrittore: «C'è un Papini molto vivo e interessante, fino al '19, ricchissimo di provocazioni; e un Papini successivo, irrecuperabile». Baldacci ama «il personaggio che ha mosso molto le acque» agli inizi del secolo, ricorda quanto ha fatto per il pragmatismo, per il futurismo, la partecipazione a Lacerba, la polemica con Boccioni. Lui ha cercato di riportarlo sulla scena, in un Meridiano Mondadori del 1977, a cui sarebbe dovuto seguire un secondo volume: mai più messo in programma dall'editore. Sul Papini dopo il 1920 Baldacci è molto severo. «La conversione gli ha fatto malissimo, perché ha portato a galla tutta la retorica implicita nel primo Papini. Libri come Le lettere di papa Celestino Violi diavolo oggi non avrebbero più udienza». Per Pampaloni non è giusto gettare via nemmeno questo. «Certo, ci sono cose mediocri, come Italia mia. Ma proprio nell'ultima parte della sua vita Papini, incarcerato dall'impossibilità di parlare, ha dato le Schegge, fra le cose più belle da lui scritte». Un uomo della grande stagione fiorentina, come Mario Luzi, è più cauto. «Il personaggio è da prendere con un certo criterio vigile», osserva. Luzi ha collaborato al Frontespizio, di cui Papini era stato il nume ispiratore negli Anni 30, lo ha incontrato varie volte, anche fuori dalla rivista; non si sente un papi- B A R N U M LO SPETTACOLO DELLA SETTIMANA niano. Ma, da scrittore a scrittore, gli riconosce «dei momenti di lucidità incontestabile. Un uomo finito 10 ricordo come un libro di grande, cristallina purezza autobiografica. 11 personaggio si celebra o si denigra secondo una sua idea che possiamo non accettare. Il testo rimane uno fra i libri importanti del Novecento. Purtroppo l'ideologo, il demiurgo che ha inquinato un po' tutto, ha messo un'ipoteca negativa anche su quanto sarebbe stato di buona qualità». Papini, riconosce Luzi, ha sempre diviso i lettori, fra fanatici e intolleranti. Dopo la conversione li ha soltanto scambiati. «Ha acquistato una parte di cattolici e ha perso gli altri». Ma il discredito di cui è vittima «diventa mitologico, per cui non si discerne più all'interno del suo lavoro». Baldacci, che ha passato la vita a cercar di discernere, non può che prenderne tristemente atto. «Papini continua a soffrire di un ostracismo politico fra i più serrati. Ci sono stati brutti episodi nella sua vita. Ma per altri autori, come Ungaretti, il passato fascista non ha avuto lo stesso peso. Papini è stato demonizzato. Il moralismo ha imperato a lungo nella letteratura italiana: e ha colpito soprattutto lui». Lo scrittore, questo moralismo, non ha fatto altro che provocarlo, tutta la vita. Basta leggere alcune fra le ultime pagine di Un uomo finito, dove scende in campo più scopertamente: «Qualunque sia il governo del mondo sarò sempre all'opposizione. L'espressione naturale del mio spirito è la protesta. La mia figura preferita è l'invettiva e l'insulto». E le sue parole «devon essere dure come la pietra forte, devono esser scabre, aspre e spiacenti...». Il rifiuto di tanti critici rappresenta oggi una garanzia: quelle parole, a ottant'anni di distanza, sanno ancora spiacere, come Gianfalco voleva. Giorgio Calcagno Giovanni Papini con la moglie e (foto grande) con la nipote Anna Paszkowski. A destra: Ilaria Occhini, l'altra nipote. Nelle foto piccole: Luigi Baldacci, Asor Rosa e Geno Pampaloni non è che immobilità taciturna nelle tenebre. Io muoio dunque un po' per giorno, a piccole dosi, secondo il modulo omeopatico. Ma io spero che Dio mi concederà la grazia, nonostante tutti i miei orrori, di giungere all'ultima giornata con l'anima intera». «Questo - dice Ilaria Occhini è il Papini che ho conosciuto e che ho amato infinitamente, questo è stato il mio Papini. Mi ha offeso che sia stata creata di lui una immagine falsa, da un'opinione contraria che ne ha stravolta la figura. Un'opinione che è saltata fuori immediatamente dopo la morte di Papini, anzi addirittura nei necrologi dei giornali. E' stata questa opinione, largamente diffusa, a impedire che si conoscesse e si giudicasse la sua opera. Tanto è vero che hanno tentato quasi di cancellarlo dalla storia della letteratura italiana insegnata nelle scuole. E come lo raccontano il Novecento senza Papini? Lui è stato il crocevia di tutte le tendenze, le correnti culturali, i movimenti di pensiero che caratterizzarono l'epoca». [g. e] lo dallo strabordare, perché gli argini del buon senso non riescono più a dargli una direzione. A un pelo dalla catastrofe, il fiume finisce nel mare impersonale della legge, dei «provvedimenti", che tutto raccoglie e tutto svuota nell'Oggettività di una norma e nell'infinita eternità di una burocrazia lenta come una marea e immutabile come una risacca. Marccinico, se si vuole, ma salvifico. Unica via d'uscita, lo si voglia o no. Più ci ripenso più penso che è perfetta. Potrebbe averla scritta Voltaire. 11 quale, probabilmente, avrebbe avuto la dolcezza di completarne la bellezza con un'annotazione in margine: su^ercndo la tenera verità che a scrivere la lettera di protesta non era stato un cittadino qualunque, ma quello della pistola, il commerciantecostretto a vivere con un morto nella memoria e un altarino di fiori freschi davanti al negozio. Alessandro Baricco

Luoghi citati: Agrigento, Italia, Milano, Palermo, Sicilia