Mino: il partito? Una causa persa
Mino: il partito? Una causa persa Mino: il partito? Una causa persa BRESCIA DAL NOSTRO INVIATO La toga, avvocato, la toga... «Uff, 'sto coso qua», la maltratta lui. Ma è la nuova toga, avvocato Martinazzoli: forse è stretta di spalle, oppure son troppo rigide le nappe, oppure più semplicemente è che è nuova, dopo undici anni chissà che fine ha fatto quella vecchia... «L'avranno usata i colleghi di studio. Questa me l'hanno regalata loro, ma è scomoda». Un'occhiata all'aula del Tribunale: «Quante facce nuove, mi sento come una matricola. Oh!?, e che ci fanno qui i fotografi?». Che domanda: flash sul politico che torna a lavorare, un genere che va di moda: «Nel mio caso un'enorme stupidaggine». Alle 8,30 del mattino, nella Brescia che lavora, i processi vanno a cominciare e Francesco Lisciotto, procuratore della Repubblica, non può non rendere omaggio all'ex ministro di Grazia e Giustizia: «(Avvocato carissimo...», «Caro procuratore... ». Entrano i giudici e Mino Martinazzoli si ricorda che nelle aule non si può fumare, maledizione. Quasi cinque ore filate, tre pause per tre sigarette appena. Martinazzoli prende appunti e ascolta la vicenda della sua assistita Emanuela Tosana: la contestata eredità di Luigi Buffoli, ex vicesindaco socialista, finita appunto alla Tosana. Un processo già vinto in partenza. Roberto di Martino, il pubblico ministero, fa capire che alla fine non potrà che chiedere l'assoluzione, con buona pace del parentado del «de cuius». Facile tornare alla toga con una causa così... «Ah, gira questa malignità? Sono abituato a ben peggio». Facile sì, ammetterà alla seconda sigaretta, ma solo perché c'è di mezzo Giuseppe Frigo, il Pìsapia di Brescia, un avvocato che si presenta con autorevoli mustacchi ed è uno dei firmatari del nuovo codice di procedura penale: «Ha fatto tutto lui, io mi misuro per la prima volta con il nuovo codice, le difficoltà tra regola e applicazio¬ ne. E rifaccio l'avvocato». E allora è andata proprio così, come aveva giurato agli intimi: «Torno a fare l'avvocato». Era il 30 marzo, un mercoledì da fine della Prima Repubblica: quel giorno, mentre Bossi era a colazione da Berlusconi, Martinazzoli aveva faxato il suo articolo per II Popolo, l'ultimo: «Da oggi consideratemi un privato cittadino». E per favore, che nessuno si periti di chiedere all'avvocato di tornare al partito popolare, di non lasciarlo al Formigoni. Per tutti, come ieri pomeriggio, la stessa telefonica risposta: «Mi spiace, ma ho già altri impegni». Nessuna nostalgia. Anzi no, forse due: la prima arringa alla pretura di Orzinuovi, metà Anni 50, processo per furto d'acqua nelle campagne, e Giuseppe Quaglia, il Maestro, «iui sì grandissimo penalista». Altri tempi, altri reati. Adesso tira aria da Tangentopoli. Per caso difenderebbe qualche imputato della Prima Repubblica? «Io faccio l'avvocato e ho già parecchi impegni», è la mezza risposta: la signorina Tosana, e poi un delittone e un imputato per traffico d'armi («mi hanno nominato ma non ne so di più»). Alle tv conviene insistere, chissà che audience per un bel Di Pietro-Martinazzoli. Nello studio di via Gramsci, ormai, il pomeriggio è per i fascicoli processuali, con la toga inamidata e nuova appesa all'attaccapanni. «A pensarci bene politico e avvocato sono due professioni che si somigliano, sempre tra vittorie e sconfitte». Se l'avvocato vince il politico perde? «Uff... E' che da penalista ti occupi direttamente delle cose della vita, si resta più coinvolti: questo è il rischio, ma anche il fascino». Berlusconi, Bossi, il governo e la Seconda Repubblica? «Uffff...». Avvocato, e quel che resta del partito popolare lo affida alla clemenza della Corte? Qui si fa proprio triste: «E'come il malato di un brutto tumore. Operi, operi, e la metastasi torna sempre fuori». Una causa persa. Giovanni RiiUrtJ» Bun^». Cerniti SC Assi-oaL ELLE: NOi
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