Tattarella Cuccia indagato buon segno di Francesco Manacorda

Il numero due del governo a Parigi: si è opposto al nuovo, ha cercato di far rinascere il Centro Il numero due del governo a Parigi: si è opposto al nuovo, ha cercato di far rinascere il Centro Tettarella: Cuccia indagata, buon segno «Siamo alla tabula rasa» so. Poi Tatarella elenca quelli che a suo giudizio sono stati gli errori di Cuccia. «Lo sbaglio di Mediobanca - spiega - è stato quello di opporsi al nuovo, Basta fare un passo indietro e ritornare agli incontri di Cuccia con gli esponenti del vecchio regime alla vigilia del voto: il colloquio con Amato e gli altri. E tanto per essere chiari se Cuccia voleva vedere quei signori e basta l'incontro sarebbe rimasto segreto; invece, è stato reso pubblico, è diventato di fatto una presa di posizione politica. E tutto questo è avvenuto per il 51 per cento su sollecitazione di quelli che ci erano andati e per il 49 per cento di quello che li ha ricevuti, che ha acconsentito». Tatarella parla con il tono di chi sotto sotto si sta prendendo una rivincita ma non lo vuol far vedere. Va avanti: «Invece di muoversi in questo modo, Cuccia avrebbe potuto mantenere una posizione neutra, diventare un riferimento in questa fase di transizione. Ma questa volta il personaggio non si è voluto fare i cavoli suoi: in un Paese in cui si realizzava il bipolarismo, Mediobanca ha tentato di far rinascere un Centro che non c'era più». Ma gli errori che Cuccia deve rimproverarsi non finiscono qui per il numero due del governo. «Oltre a questo - racconta il neoministro delle Poste - c'è stato anche il tentativo di dar vita al terzo polo tv. E' chiaro, infatti, che il problema della vendita di due canali tv, uno della Rai e uno della Fininvest, si è posto perché qualcuno era pronto a comprarli. E questo qualcuno in Italia non può che essere finanziato o appoggiato da Mediobanca. Solo Mediobanca può ideare un'opera- zione del genere. E in questo modo Cuccia si è esposto ancora una volta». Il vice di Berlusconi non lo dice esplicitamente, ma per lui le disavventure di Cuccia possono essere collegate anche alla sua voglia di voler continuare a contare anche nella Seconda Repubblica. A questo punto, però, una domanda è d'obbligo: ma il mago di Mediobanca non era un alleato del cavaliere? «Io - risponde Tatarella - ho sentito Berlusconi dire: "Il rapporto tra noi e Cuccia è indiretto, di secondo grado". Prova ne è che l'idea di investire Mediobanca del problema della collocazione delle azioni Fininvest è stata delle banche, non sua». A sentire questi discorsi spicci e sbrigativi, sembra quasi che per l'uomo di Fini al governo Cuccia non ci sia già più. Ne parla come se fosse una cosa passata, una personaggio da stimare ma che ha fatto il suo tempo. «Per me - dice Tatarella - Cuccia rappresenta l'ultimo Machiavelli di questo Paese. Uno a cui piaceva avere potere non per il proprio interesse, ma solo per il gusto di usarlo. Un personaggio come Andreotti? Per carità. Di Andreotti qualcuno ha potuto anche immaginare che potesse aver dato un bacio ad un mafioso, di Cuccia non può pensarlo proprio nessuno. Casomai se proprio devo paragonarlo a qualcuno faccio il nome di Enrico Mattei». Ma se il vicepresidente del Consiglio pensa davvero che l'uomo di Mediobanca non ci sia più, chi lo sostituirà? «Io non voglio che ci siano dei sostituti. Non voglio che ci siano questi poteri». Augusto Minzolini J ■ L rito quoti diano si è ripetuto E immutabile, diremmo implaH cabile, come tutti i giorni che Dio ha mandato in terra da quarantott'anni in qua: passeggiata per via Mascagni, dove abita in casa d'affitto («Le case sono investimenti delle assicurazioni, non dei privati»), sosta dal giornalaio (Herald Tribune), via Montenapoleone a passo lento e occhi rivolti verso la punta delle scarpe, fino a via Filodrammatici 10, la casa della sua «famiglia», come qualche volta è stato sentito chiamare Mediobanca. Ma non bisogna farsi ingannare, perché l'odierna passeggiata di Enrico Cuccia con codazzo di fotografi e teleoperatori, mentre tutto l'establishment bancario a Roma si avviava in via Nazionale per l'assemblea della Banca d'Italia, pur nella sua consueta silenziosità, vale quanto e più della più prolissa dichiarazione pubblica che il banchiere abbia mai rilasciato: possono fioccare perquisizioni e avvisi di garanzia, possono sparare da sinistra i cecchini del vecchio - comunisti, postcomunisti e sodali cattolici -, possono scendere dalla Vandea del Nord le nuove orde leghiste assatanate, possono perfino materializzarsi sotto le spoglie di Tatarella - i fantasmi un po' lividi del Ventennio. Ma le abitudini della casa non si cambiano, le regole del Salotto Buono e del suo anfitrione non mutano di un'unghia. Messaggio mirato, quello deambulante e rigorosamente silenzioso di Cuccia, perché - al di là dell'avviso di garanzia del procuratore ravennate - è il concetto stesso del Salotto Buono, cui egli ha lavorato tutta la vita anche con Nel mirino di tutti quelli che ha snobbato: cattolici, ex marxisti, leghisti, rampanti Sopra, Enrico Cuccia presidente onorario di Mediobanca Qui accanto, l'ex presidente del Consiglio Giulio Andreotti ospiti di maniere non sempre superlative, che suscita ormai rancori, furie distruttive, sentimenti di odio populista e di classe. Quell'avviso giudiziario, più delle migliaia spiccate in questi mesi, ha suscitato compiacimento, quasi una sottile voluttà nelle menti più lucide del nuovo corso politico. Non che Cuccia non ci abbia fatto il callo: nell'era del Caf imperante una volta Andreotti gli mandò a dire papale papale: «E' uno di quei salvatori della patria di cui abbiamo le scatole piene». 11 mondo cattolico non lo gradiva perché troppo laico e poco sensibile all'autorità della Prelatura, cioè l'Opus Dei, l'organizzazione cui la Santa Sede ha affidato le questioni di potere terreno e di denaro; la sinistra democristiana, De Mita in testa, lo osteggiava perché, alla fine, comandava più lui che tutti i presidenti messi nelle imprese a partecipazione statale e nelle banche pubbliche; i socialisti non potevano soffrirlo perché si sentivano snobbati e vilipesi, almeno finché Salvatore Ligresti non fu accolto nel salotto di Filodrammatici. Perché Cuccia prese sotto la sua ala quel siciliano dal passato dubbio, che perpetuava a Milano la tradizione - tutt'altro che commendevole - dei Virgillito, dei Sindona e degli Ursini? A chi glielo ha chiesto, pare che il banchiere abbia risposto: io in Italia debbo fare i conti col materiale umano che c'è, cioè con tanti «pisquani», locuzione che usa spesso per intendere cialtroni e «Se ci fosse stata una rivoluzione armata, anziché una svolta democratica gli avrebbero dato una botta in testa» A sinistra, Enrico Mattei Qui accanto, il vicepresidente del Consiglio Giuseppe Tatarella Come si spiega a questo punto l'attacco di Sama a Mediobanca? «Penso che serva a buttare fumo negli occhi a molti, anche a persone molto vicine a Gardini». Intende la vedova e i figli? «Sì, ci sono molti conti che ancora non tornano ed in questo modo è facile attribuire la responsabilità a qualcun altro». Torniamo a Mediobanca. Come giudica gli avvisi di garanzia per concorso in falsa comunicazione sociale ai vertici dell'istituto? «La magistratura ha dato un'interpretazione assolutamente inaccettabile del mandato della famiglia a Mediobanca. Afferma che la banca avrebbe avuto la qualifica di gestore perché i mandanti, cioè i Ferruzzi, si erano impegnati a non mutare le condizioni economiche del gruppo. Ma questa era semplicemente una condizione necessaria per avviare un piano di risanamento. E poi per quel che riguarda i gestori l'atto tra i Ferruzzi e Mediobanca parla chiaro: si precisa che la gestione sarà affidata ad amministratori "degni della fiducia" dell'istituto. E' evidente quindi che saranno altri, e non Mediobanca, a gestire il gruppo». Eppure l'avvocato di Sama parla di ben 35 incontri in cui i bilanci delle società Ferruzzi sarebbero stati sviscerati in ogni aspetto, chiaro e meno chiaro... «Se anche Mediobanca avesse intuito l'esistenza di scorrettezze nella redazione dei bilanci, cosa che mi sembra molto difficile, questo non vorrebbe ancora assolutamente dire che ad essa competesse la gestione del gruppo, che è una cosa completamente diversa. Il principio affermato dalla magistratura in questo specifico caso crea una grave stortura nel sistema e diventa un precedente pericoloso». Perché? «Perché se un qualunque istituto bancario ogni volta che si accinge a ristrutturare la finanza di un gruppo corre il folle rischio di assumere le responsabilità tipiche del gestore, nessuno si farà mai più carico di una ristrutturazione. Quanto è accaduto a Mediobanca deve destare grandissimo allarme anche per questo, dato che le aziende in difficoltà oggi in Italia sono tantissime». Francesco Manacorda

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