IL SIGNORE IN GIALLO LASCIA I DETECTIVE
IL SIGNORE IN GIALLO CIA I DETECTIVE IL SIGNORE IN GIALLO CIA I DETECTIVE Orsi: «Sono stufo, non ho più interlocutori » i » Orsi: azio ana colo onime6, L. e di , L. che ggio na il a: il sofon Alberto Tedeschi, direttore dei Gialli Mondadori dal '29, l'anno in cui nascono Sam Spade e il commissario Maigret; a sinistra Gianfranco Orsi che dopo trent'anni lascia il «poliziesco» di Segrate; sopra una copertina del celebre periodico ratissima: l'aveva raccomandata Arnoldo Mondadori in persona in quel '29, quando decise di lanciare i gialli e pescò a Bologna Tedeschi, che a vent'anni conosceva già Edgar Wallace e faceva il piccolo editore, di gialli naturalmente. Quella di Mondadori non fu la prima collana in assoluto: nel '14 c'erano stati ad esempio i Polizieschi Sonzogno. Sherlock Holmes era sbucato nel '10 sulla Domenica del Corriere. Ma Arnoldo voleva sfondare presso il pubblico borghese colto, e ci riuscì. Bontempelli gli scriveva: "Non mandarmi più gialli, se no leggo solo quelli e non ti scrivo più il nuovo romanzo". Tedeschi diceva che la denominazione di gialli derivava da un'idea già sfruttata all'estero. Secondo altri viene dal colore del disegno mandato dall'illustratore inglese Abbey per La strana morte del signor Benson di Van Dine, primo giallo Mondadori. Oppure dicono che l'ha inventata Leonardo SinisgaUi in una recensione». Orsi si divertiva ad ascoltare il suo direttore che rievocava le peripezie del giallo sotto il fascismo: «Prima gli proibirono di parlare di suicidi perché in Italia si poteva sì morire, ma solo per cause indipendenti dalla propria volontà. Poi arrivò l'ordine di non presentare mai un criminale con un cognome italiano: era l'epoca in cui il giallo scopriva la mafia e così i criminali Anastasia o Valachi da noi diventavano Gomez o Longaron. Infine nel '41 il Minculpop decise la chiusura: un genere d'importazione, dicevano. La scusa fu che alcuni studenti avevano fatto una rapina ispirandosi a un giallo». Gianfranco Orsi, 57 anni, pizzetto alla Robert Altman, dice che è come se si svegliasse ora: «Non da un incubo, ma da un'attività che mi ha assorbito fin troppo. La mia vita è rotolata col giallo». Adesso che farà? «Mi disintossico». Come? «Forse scrivendo. Ma non un giallo». Dove? «Ho una cascina del '700 in campagna vicino a Varese. Coltivo l'orto e le rose. E ho la casa di Ostra, bellissimo paese». Ha un rimpianto particolare: abbandonare i lettori: «Ce n'è uno che mi scrive da vent'anni con un inchiostro verde. Alauso De Themali, si chiama. Un anagramma, forse, uno pseudonimo». Ricorda Oreste del Buono, il successore di Tedeschi: «Veniva alle otto e mezzo e alle nove aveva già finito. Mai visto mio lavorare così in fretta e senza correggere nulla. Divertente e cattivello». Un altro rimpianto, a pensarci bene, Orsi dice che l'ha: il giallo è cambiato parecchio negli ultimi tempi. Abbandona gli stereotipi, scova altri ambienti: «Tony Hillerman abita ad Albuquerque e racconta storie ambientate fra i navajos. Ellis Peters e Paul Harding mettono in scena monaci medievali. Umberto Eco deve aver letto Peters prima di scrivere II nome della rosa. Il giallo è diventato un romanzo come gli altri, è nobilitato, tutti gli editori l'inseguono. Prima c'eravamo solo noi. Ho dato anch'io un contributo a farlo crescere, scegliendo certi libri e non altri». Davvero chiuso col giallo? C'è quel negozietto sull 87a a New York... «Al Murder Ink andai un giorno in pellegrinaggio. C'erano vecchi gialli straordinari in una stanza, c'era un gatto e un gran silenzio. Soprattutto c'era una signora giovane e grassa, Dylis Wynn, che parlava e parlava e dava idee intelligenti. Chissà se è ancora lì...». Claudio Al tarocca
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