Tra Meazza e il Diavolo di Gianni Brera

Tra Meazza e il Diovolo Tra Meazza e il Diovolo Hprincipe della zolla è proposto da II Saggiatore su licenza di Baldini & Castoldi, la casa editrice che sta pubblicando l'opera omnia di Gianni Brera. La leggenda dei Mondiali e il mestiere del calciatore è l'ultimo libro uscito (pp. 272, L. 22.000). Nella prima parte, la storia dei massimi tornei di Eupalla, fra il 1930 e Italia '90. Nella seconda, un manuale scritto (1972) per i ragazzi desiderosi di seguire la carriera pedatoria: vi sono spiegati ruoli, moduli, stili dei campioni (Di Stefano e Riva, Meazza e Pelé). Hanno preceduto La leggenda il romanzo II mio vescovo e le animalesse (delitti mostruosi, nefandezze, turpitudini, il Diavolo, nel podere della Speziana, tra il Po e l'Olona); L'Arcimatto (il meglio della rubrica tenuta per anni sul «Guerin Sportivo»: sport, letteratura, pittura, filosofia, cibo, vino, un autoritratto); Storia dei lombardi (ritratti, descrizioni, nostalgie, memorie d'autore di taglio padano); Derby Milan-Inter andata e ritorno (analisi a caldo, pronostici, pagelle, commenti a freddo sulla sfida fra le due squadre). «erede», eppure lo è, nel senso conradiano: «una dinastia che continua nell'esperienza, nell'educazione, nella concezione del dovere, nella benedetta semplicità di un concetto tradizionale della vita»). «Il rosso è in fresco?» si rivolge all'oste emulando Brera, che fra l'altro tirava stiamo ai rossi - barbaresco di Gaja e di G. (lo avvolgeva nel massimo riserbo, specie in estinzione qual era) e barolo di Oddera. E comunque avvertiva, da antico, saggio paìs: «Non ti formalizzare ai nomi né alle etichette: meglio un onesto plebeo di un nobile degenerato». Così ammaestrando, indusse (miracolo) l'abatino Rivera a osare, almeno nei terreni di Bacco: «Vistolo spugneggiare barbaresco in dosi degne lo promosse vescovo». Certo che Gianni Mura è l'«erede»: attraverso lui non è forse possibile litigare con Gianni Brera? Mettendo nero su bianco che «Coppi si meritò il Tour più di quanto Montale si meritasse il Nobel» scuote l'adrenalina, rinvia ad antiche tenzoni (e le riaccende): di qua gli «Ossi di seppia», di là le «fronde dei sali¬ ci», Quasimodo («Era un arabo che cantava da greco. Un profilo da uccello palustre, due baffi secenteschi per ridurre, penso, l'imperiosa imponenza del becco»). Gli unici ossi su cui il Principe indugia di bloc notes in bloc notes hanno una caratura culinaria: ossi «midoliosi», compagni di tegame dell'aglio, della cipolla, del grasso bolhto. Escursioni da grand gourmet che dettano sublimi profezie: «Può nascere l'Infinito da una buona indigestione». «In letteratura come nello sport - avverte Mura - Brera non soffriva gli abatini, i poeti che non sanno prosare, ovvero scalare la montagna umana. Chi amava? Leopardi, Verga, Arpino. Detestava invece Manzoni, la fregola di sciacquare in Amo i panni lombardi. Lo irritava e, insieme, lo impietosiva il prevosto costretto a ordinare: "Chetati!". Gadda? Tagliò corto: "Non rivendico parentele con quel grandissimo intarsiatore di parole toscane riplasmate che è zio Carlo Emilio. Qualche critico minchione, interessandosi alle mie nugae, ha addirittura trovato che gli sono nipote. Balle. Sol¬

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