NON NE POSSE PIÙ' di Gabriele Ferraris

NON NE POSSE PIÙ' NON NE POSSE PIÙ' Storie e linguaggi dei giovani, tra musica e romanzo NON stupitevi se il manuale (il non-libro) di Antonio Gilioli, l'ormai mitico Sfiga, se la conosci la educhi, è arrivato alla sesta edizione, con comprensibile sollucchero dell'editore Leonardo. Il fatto è che viviamo anni di sfiga: il buon Gilioli l'ha capito per tempo, e per tempo s'è attrezzato, fornendo un ragionevole baedeker a chi amerebbe attraversare più o meno indenne i giorni bui prossimi venturi. E' l'ilare pessimismo della ragione, mica ceci. Dote che è mancata a chi si cullava nella serena convinzione - molto Anni Sessanta; molto «c'è un grande prato verde» se ricordate Gianni Morandi - che il mondo non potesse che migliorare, affidato alle cure dei giovani. Supergiovani, direbbero Elio & Le Storie Tese. Giovani notoriamente progressisti. Rivoluzionari, addirittura. Quelli che Alberto Piccinini, bravo giornalista del manifesto, racconta in Fratellini d'Italia: i rapper, i graffitisti, i cowboy informatici, i guerrieri dei rave. La galassia dei centri sociali e dintorni. Leggi Fratellini d'Italia, il libro edito da Theoria (pp.156, L. 16.000) che raccoglie alcuni articoli di Piccinini - investigazioni nelle pieghe del Famoso Universo Giovanile - e lo chiudi con rabbia. O con amarezza. Perché è lo specchio di un'illusione. L'illusione che i «fratellini», tutti i fratellini, fossero il sale di una controcultura di massa, e pronta ad esplodere. Alternativi autoridotti fuori dall'ottica del sistema. Poi ti volti a guardare e non li trovi più: trovi elettori giovani che votano la sicurezza, la destra, l'ottica del sistema. Sfiga, chioserebbe Gilioli. E invece no. Le battute non spiegano. Fratellini d'Italia è anche la fotografia di una sinistra intellettuale e rigorosamente snob che s'era un po' distratta: si beava dei ventimila dischi venduti dalle «posse» incazzate; delle tremila copie del raffinato romanziere esordiente; dei tre milioni di fans di Avanzi. Senza accorgersi che, intanto, gli 883 di dischi ne vendevano due milioni; e Fiorello volava verso i 7 milioni di audience; e persino Gilioli - e ben più di lui il famigerato Giobbe Covatta smerciava vagonate di non-libri. Fratellini d'Italia descrive soltanto una parte della realtà. Bella, ma minoritaria. Promette «mappe, stili, parole dell'ultima generazione» e poi, in 150 pagine, c'è appena un accenno alle «bambine cattive» di Non è la Rai. Fenomeni dirompenti nella loro fatuità - gli isterismi per Beverly Hills, le pubbliche confessioni di Stranamore, le folle del Karaoke - non sono citati, se non nella prefazione; come a dire «vabbé, son miserie umane». E già. Forse lo sono. Certamente lo sono. Ma ti fanno capire quel che è accaduto in questi anni, in questo Paese. Il Mito Televisivo incide sulla vita di milioni di italiani. Fiorello è un portatore sano di ideologie. E ovviamente la sinistra non ha saputo (o voluto?) impossessarsene: fedele al motto «se ha successo è fuori linea», ha considerato con malcelato sospetto persino il convertito Jovanotti, reo di piacere alle masse. Impegnata nel titanico sforzo di recuperare Nietzsche, ha abbandonato alla controparte l'intera razza cecchetta. Meglio sconfitti che inzaccherati, no? Grande strategia. Degna di essere approfondita dallo sfigologo Gilioli. D'accordo: i centri sociali, le posse e i cyberpunk sono le voci di una gioventù che, se vi garba, potete giudicare «migliore». Senza dubbio è interessante e creativa. Però i teenager plasmati dalla tivù - sotto gli occhi di tutti, messaggio dopo messaggio - sono anche altri. E tanti. Hanno eroi glamour. Non sono schizzinosi. Vanno in discoteca e ballano gli 883 o Jovanotti o il «cattivo» Frankie Hi-Nrg: fa lo stesso, purché ti diano il ritmo giusto. Non gliene frega niente dei contenuti. Figurarsi: non gliene frega neppure dei libri. Hanno la televisione, e gli basta. E anche loro appartengono alla fantomatica «generazione x». Ecco perché Fratellini d'Italia resta una lettura stimolante, ma non ritrae - non in pieno, non lucidamente - quella generazione: perché, da noi, quella generazione non si chiama «x». Si chiama «five». Gabriele Ferraris

Persone citate: Alberto Piccinini, Antonio Gilioli, Gianni Morandi, Gilioli, Giobbe Covatta, Nietzsche, Piccinini

Luoghi citati: Italia