SULLA GIOSTRA DI MOROVICH
SULLA GIOSTRA DI MOROVICH SULLA GIOSTRA DI MOROVICH IA ONIRICA divagaci zione iniziale ✓ una grottesca invasione di decine di mani amputate - potrebbe indirizzare il lettore verso un soggetto a dir poco fantastico o surreale. Ma è un flash di bonario autocompiacimento, un vezzo d'autore prima del tuffo a corpo morto in quella che sarà l'unica componente del racconto, un tormentato inno alla fenomenologia del quotidiano. Il sostantivo del titolo La caricatura potrebbe in ugual misura - nella sua versione plurale - precorrere il frenetico svolgimento di questo sulfureo gioco d'incastri dello scrittore fiumano Enrico Moro vien. Le vere caricature sono infatti quelle dei numerosi personaggi che egli tratteggia con voluto distacco, schizzando soprattutto i contorni esistenziali dell'eterogenea brigata impegnata nell'adempimento del più complesso degli incarichi: quello di vivere. Così non conta più di tanto se Ada perde o vince la gara di nuoto, se Silvia tormenta Manfredo, se il piccolo Aristide rimane vittima di un incidente provocato forse - da Gianna, se quest'ultima cede infine a Bernardo e così via. L'importante è assegnare rapidamente ogni posizione in una scala di valori, forse approssimativa ma senza pause o incertezze. Le storie, d'altronde, potrebbero continuare all'infinito, come sottolinea ironico l'autore con i suoi interrogativi finali. Ma il teatrino chiude quando egli stesso lo decide, poco importa se a metà rappresen tazione o senza commiato. Intanto i personaggi hanno dato vita a una impressionante lista balzachiana o dickensiana dei caratteri, disponendosi a sciogliere intrecci complicati e melodrammatici, ma senza ec¬ cessivo impegno, come se già conoscessero la risposta finale. Da qui l'impressione di scorrere un progetto di romanzo epocale annotato telegraficamente in ogni possibile risvolto, lineare e piatto perché volutamente privo di tutte le insenature ambientali e psicologiche derivanti dall'approfondimento di situazioni e tipologie. Moro vien ha sostanzialmente tratteggiato un vasto feuilleton socio-esistenziale, bignamizzandolo per comodità - o per diletto - in poche decine di pagine, quasi un veloce, sincopato trailer promozionale che dovrebbe invogliare il lettore-spettatore ad alti ritmi, quelli più lenti e dilatati della storia classicamente costruita in un suo rilassato cammino narrativo. Le concessioni al piacere della lettura da camera sono pertanto inesistenti: quando si prende coscienza del quadro d'insieme e si familiarizza coi nomi dei personaggi, è orario di chiusura. Le fisionomie, poi, neanche a parlarne. Rimane la sensazione un po' snervata d'aver sorvolato su qualche particolare, ma non ci sono particolari; o di non essere riusciti, a calarsi nel tempo, ma non c'è tempo. Di aver, infine, eluso qualche evento, e sono davvero tanti, questi: caricature di ogni possibile risoluzione esistenziale. La vita è quindi intesa come luogo adottivo di tutte le modeste memorie quotidiane, fitta di episodi banali ancorché minimi, gli unici a creare - un indizio dopo l'altro - le metamorfosi che consentono al tempo di affidare ogni anonimo individuo al suo limitato destino. w che ha il suo ha- ✓ bitat naturale nelle redazioni dei giornali. Impastata di cronaca più vera del vero, si va facendo metafora di un caos freddamente mimato. Attraverso gli spiragli di un mondo iperrealistico e allucinatorio fa passare il senso di una vita (senza senso), il più delle volte inconsapevole e qualche volta presaga. E' quanto accade nel primo romanzo-romanzo di Oreste Pivetta, già autore di due prove d'altra natura, sempre legate alla cronaca di un benessere ottuso e paurosamente omologato: quasi fatale per un giornalista come Pivetta, cronista, capocronista, inviato e poi responsabile delle pagine letterarie dell'Unità. Appena uscito da Donzelli, il titolo è Tre per due, secondo la ben nota suggestione del risparmio di massa, del regalo a getto continuo, di quella bengodi quotidiana dove «i miracoli si concedono all'ingrosso». La partenza è semplice. Che cosa può essere la vita di una cassiera che si chiami Cecilia, aggiogata alla cassa di un Supermercato, chiuso a sua volta dentro l'enorme casamento vetro e cemento di un Centro Commerciale? Quali sogni le sono concessi tra tanta gente messa lì a recitare il rito di una dannazione che a occhio nudo non si vede? Quale frontiera tra fantasia e realtà? Quale volto o quale fantasma dietro la maschera di un'opulenza ruffiana? Entro uno scenario asfittico di dentro e di fuori (un fuori di periferia urbana grigia di cielo e di asfalto e un dentro tutto colori di merci e di luci al Sergio Pent Enrico Morovich La caricatura Rusconi pp. 118. L. 25.000
Persone citate: Donzelli, Enrico Morovich, Oreste Pivetta, Pivetta, Sergio Pent
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