Salute del Papa, l'incanto svanisce; il «coraggio» del Duca d'Aosta

Salute del Papa, l'incanto svanisce; il «coraggio» del Duca d'Aosta Salute del Papa, l'incanto svanisce; il «coraggio» del Duca d'Aosta tendere da lui i danni morali e materiali subiti. Voi direte che il Duca non poteva avere alcuna colpa per ciò che la sua famiglia ha fatto, ma allora, che colpa hanno i figli di coloro che al tempo della seconda guerra mondiale si sono trovati contro l'Italia? C'è stata una pace, giusta o ingiusta che sia non ha tanta importanza, non capisco perché oggi, a distanza di 50 anni, ogni tanto sbuchi qualcuno che pretende di riscattarsi mettendo in discussione dei trattati internazionali. Queste notizie servono solo ad esaltare delle menti malate. Personalmente, quando mio padre avrebbe potuto avere dei danni di guerra, sono stato io a convincerlo a regalare tutte le nostre terre. Ed avevo solamente 15 anni e non i 90 di qualcun altro. Sergio Zupicich, Falconara (An) Vicepresidente Filiazione italiana del Congresso mondiale Croato il piacere dei «beat» arriva a 60 anni Mi viene irresistibile il desiderio di ringraziarvi per gli articoli sempre interessanti e a volte entusiasmanti che pubblicate su «Società e Cultura» e «Tuttolibri». Sono una pensionata sessantenne che ha sempre letto molto, ma in modo disordinato e senza metodo. Ora, grazie ai vostri articoli, posso dedicarmi al piacere della lettura più consapevolmente e con più sistematicità, ottenendo quindi, grazie a voi, un migliore arricchimento culturale e umano. In questi giorni, ad esempio, mi avete fatto venire voglia di leggere gli autori «beat» che non avevo mai pensato di leggere, perché li ritenevo troppo distanti dalla mia realtà e quindi incomprensibili. Invece un articolo di sabato 14 maggio su William Least Heat-Moon (complimenti signora Mirella Serri) mi ha incuriosita ed entusiasmata tanto che non vedo l'ora di tornare a casa dalla vacanza per cercare in biblioteca, e magari acquistare, i libri di cui mi parlate. Idacarla Barbero, Saluzzo RISPONDE O.d.B. spazio è quello che è. Lei dice che in Italia «è comprensibile, se non proprio giustificabile, una tendenza dei cittadini a discriminare tra fascismo e comunismo, poiché nel nostro passato abbiamo dovuto subire una dittatura nera, mai una dittatura rossa. Ma non è stato così nei Paesi stranieri in generale, dove se ne sono viste e se ne vedono tuttora di tutti i colori e da questa constatazione le viene l'indignazione «per la faziosa discriminazione fra i due estremismi fuori d'Italia...». Egregio signor Del Buono, mi fa molto indignare l'ostruzionismo di molti Paesi esteri contro la lista governativa presentata da Berlusconi, con la speciosa giustificazione della presenza dei ministri «neofascisti», mentre non si preoccupano - e non si sono preoccupati mai - di indagare sull'eventuale presenza di uomini politici di segno opposto! Finché si tratta della nostra Patria, è comprensibile, una tendenza dei cittadini a discriminare tra fascismo e comunismo, ma all'estero mi pare indice di demagogica malafede! Può darmi torto? Ing. Giuseppe Scolari, Verona GENTILE ingegnere Scolari, dico subito che non posso darle torto. Ma, prima di spiegare il perché, debbo chiederle scusa per aver dovuto tagliuzzare la sua lettera per ossequienza coatta alle norme grafiche che presiedono a questa pagina. La domanda del lettore dovrebbe esser lunga, secondo le istruzioni, nove righe e mezzo. Ho cercato di ovviare spezzando le lettere in due, e continuandole nella parte destinata alle mie risposte. Ma mi può capitare di trovarmi in difficoltà quando una lettera, come la sua, richiederebbe appena qualche riga in più per arrivare al punto interrogativo. Quindi, cercherò qui di recuperare quello che lei ha scritto e che io ho dovuto sintetizzare. La tirannia dei grafici non tollera colpi di testa, o di mano: lo Strae comdi supe nieri plessi riorità Purtroppo, gentile ingegnere Scolari, l'Italia postfascista non ha mai saputo (anzi, non ha mai provato a) farsi rispettare all'estero. Dipendevamo troppo dagli americani perché gli altri Paesi stranieri ci trattassero alla pari. Ci hanno sempre trattato come una nazione inferiore e colpevole, che se l'era cavata chissà come, e siamo sempre stati bersaglio di critiche, a volte, ahimè, ampiamente meritate, ma altre volte aspramente ingiuste e volgari. E' difficile per i Paesi stranieri perder le cattive abitudini, il loro complesso di superiorità. Ma molto dipende dal governo, da chi si è assunto l'onere di rappresentarci e anche, ovviamente, da noi stessi. in questo è disposto a lavorare con l'impegno che ai miei collaboratori e a me viene anche dagli avversari riconosciuto. Pertanto, ogni accusa di voler patteggiare l'eredità resistenziale con la benevolenza della nuova maggioranza per avere più risorse per l'Ateneo, è non solo profondamente ingiusta ma anche logicamente inconsistente. 3) L'Università degli Studi non è un cenacolo culturale in cui persone colte e sensibili parlano di varie umanità, ma è un insieme di studiosi che del metodo scientifico fanno la loro ragion d'essere. Le nostre attività culturali in collegamento con la comunità civile, recentemente avviate, sono svolte nel rispetto delle competenze. La serie «presentazione dell'autore» usa coinvolgere critici letterari nel caso di scrittori mentre chiama storici o scienziati ex professo a commentare saggi storici o scientifici. All'Università si può dire tutto e il contrario di tutto, purché sia rispettato il metodo. 4) Confermo di essere un affezionato lettore di Camon, e di avere preso io l'iniziativa di invitarlo con entusiasmo all'Università per presentare il suo ultimo romanzo che ho trovato non meno bello dei precedenti. E ciò dovrebbe bastare a farmi riconoscere sia la buona fede nel successivo contrasto sul modo di svolgere la presentazione, sia il profondo rammarico con cui prendo atto che i propositi di Camon e miei sono ambedue buoni ma inconciliabili. Quando ho preso visione del testo dell'invito contenente domande come «Serve ancora la Resistenza? Esiste un problema della mancata "purificazione della Germania"? Quale "pacificazione nazionale" è possibile ora?» e quando dai successivi rapporti ho capito che Camon non voleva critici letterari ma solo oratori sulla Resistenza e che l'intero incontro nel suo intento doveva concentrarsi sull'aspetto storico-politico e non sul racconto letterario, ho reagito esponendo a Camon la tesi indicata nelle premesse, dichiarandogli testualmente che non giova all'Università svolgere un miniconvegno di storia senza il necessario corredo di documentazione, di analisi critica, di esperti. Camon mi ha risposto che il vero nodo non è il problema storico ma semmai il problema politico. Al che io rispondevo, tramite il comune amico prof. Tinazzi, visto che ero in viaggio e non avevo potuto rintracciare Camon, dicendogli che se la distinzione tra letteratura e politica prende il posto di quella tra letteratura e storia, il risultato è rafforzato, nel senso che è ancora più inappropriato trasformare la presentazione di un romanzo in un convegno di politica privo di un adeguato supporto di documentazione e di dialettica tra gli oratori ufficiali. Questa è tutta la storia, avviata con entusiasmo e finita in delusione. Chiedo di non trasformare una questione di metodo in una questione di valori. Prof. Gilberto Muraro Rettore dell'Università di Padova Versace: alle parole preferisco il lavoro Il signor Daverio (assessore alla Cultura di Milano, ndr), nell'intervista del 28 maggio, racconta il contrario della verità. Ci siamo incontrati il 19 gennaio 1994 e di fronte ad una idea che ritenevo giusta, ho manifestato una proposta concreta: convocare una riunione formale ed ufficiale con Fiera di Milano, Camera di Commercio, Federtessile e Camera Nazionale della Moda Italiana, per rendere operativa l'idea. Affermai che con l'Istituto della Concessione si poteva realizzare l'opera senza nessun costo da parte del Comune. Un mese fa mi è arrivata una comunicazione, sempre verbale, che non se ne faceva più niente. Per quanto mi riguarda un incontro informale e uno scambio di opinioni, se non sono seguiti da proposte concrete e formali, hanno lo stesso effetto delle parole scritte sulla sabbia. Caro Daverio, direi che è più utile lavorare che parlare. Dr. Santo Versace, Milano Presidente della «Gianni Versace-