A lezione dal Professor Solzenicyn

«L'impressione più forte che ho provato? Trovarmi in mezzo a gente che parla russo» «L'impressione più forte che ho provato? Trovarmi in mezzo a gente che parla russo» A lezione dal Professor Solzenicyn Faccia a faccia con gli studenti: sono venuto per capire Tutto viene annotato in uno spesso quaderno di colore verde con fitte sottolineature avere una società civile di cui sentirci parte. Non ce l'abbiamo ancora. Io uso spesso la locuzione cari amici, anche se non tutti lo sono. Oppure conterranei. Ma né l'una né l'altra mi soddisfano. Insomma questa parola dobbiamo trovarla. E quando l'avremo trovata vorrà dire che avremo ritrovato in parte anche la nostra identità». Lo applaudono con calore e lui scrive senza posa nel suo spesso quaderno verde dai bordi rilegati. Ieri mattina è andato a incontrare gli studenti del «Ginnasio numero 1», la più antica scuola superiore di Vladivostok, e ha subito tirato fuori il quaderno. Le domande, gli interventi dei ragazzi erano tutti piuttosto formali, puzzavano di preordinato, di pilotato, lontano un miglio. Solzenicyn ha fatto finta di stare al gioco. A tutti ha chiesto nome, cognome e patronimico e ha scritto sul suo quaderno. La data in alto a destra e sotto una calligrafia fitta e ordinalissima. Finito il tutto ripone il quaderno, che ha già molte pagine scritte, in una borsa di pelle grezza che affida al figlio Stepan. Borsa a soffietto con molte tasche e un risvolto dove so¬ Kriuchkov, capo del Kgb, scrive personalmente a Gorbaciov che il fisico dissidente «è, rimane e sarà sempre un pericolo per l'Urss». Nove mesi prima s'erano svolte le prime elezioni «democratiche», Sakharov era stato eletto deputato e stava trasferendo in politica militante vent'anni di opposizione al potere. Scrive Kriuckhov al capo del Cremlino: «Manifesta disprezzo nei confronti delle proposte dell'autorità». Commenta la Bonner: «Gorbaciov fu costretto a liberarlo per trattare alla pari con i leader occidentali Gliel'avevano chiesto Reagan, Mitterrand, la Thatcher. Anche Craxi, che adesso non è molto popolare in Italia, s'è battuto molto per la sua libertà. Ma Kriuchkov e Gorbaciov temevano Sakharov come dimostra il documento». «Non erano capaci di dire la verità», dice la Bonner mostrando due piccoli documenti successivi alla morte del fisico. Il 18 e il 20 dicembre 1989 il Kgb relaziona Gorbaciov su come s'è celebrato il lutto e scrive che ai funerali hanno partecipato 40 mila persone. «Come tutti hanno visto invece ce n'era mezzo milione; in quei giorni persino la milizia di Mosca comunicò che transitarono per la camera ardente almeno 350 mila persone». Perché mentire in modo così manifesto? Elena Bonner dice di essersi fatta l'idea che il Kgb riusciva ad imporre al Comitato centrale e al Politburò l'interpretazione dei fatti che più serviva alla sua politica: per le spie sovietiche Sakharov era una spia dell'occidente, ^avversario» come viene chiamato nei sue impressioni ancora fresche nella memoria. Quelle ore sono sacre. L'unica persona che ha diritto di infrangere l'isolamento, di aprire la porta, è la moglie Natalia. Gli altri devono attendere che Solzenicyn si alzi dal suo tavolo. Negli incontri di ieri sono fioccate le domande del pubblico indirizzate a lui personalmente. Aleksandr Isaevic ha avuto un moto di stizza, subito soffocato per buona educazione. «Veramente io preferirei che diceste voi cosa pensate ha detto agli studenti - sono venuto piuttosto per sapere da voi come stanno le cose che non per raccontarvi di me». Ma sono rari quelli che trovano il coraggio di esprimersi di fronte all'ospite illustre, o che hanno cose vere da dire. I più lo ringraziano umilmente per essere qui, per essere venuto, le donne gli portano fiori. Qualcuno gli chiede di trarre le prime somme del suo ritorno. Quali differenze ha trovato? Cosa gli piace? Cosa non gli piace? Lui si schermisce: «E' troppo presto, non chiedetemi queste cose, sono appena arrivato». Solo una volta, ieri all'università tecnica, si è lasciato convincere. Ha scosso la testa e no allineate in bell'ordine una mezza dozzina di penne biro dai colori diversi. Deve avere la passione delle biro colorate, come Roy Medvedev, lo storico anche lui ex dissidente, il quale però le porta nel taschino interno e in quello esterno della giacca, con deplorevoli effetti sulla forma della stessa. Ma gli appunti Solzenicyn li prende in nero o blu e le biro colorate - si presume - le usa per sottolineare, evidenziare i passaggi più significativi. Certo è che in pochi giorni ha già riempito un terzo del quaderno. Si alza prestissimo ogni mattina, come ha sempre fatto anche in America, e scrive le sue note per due o tre ore. E al-( la fine del programma di incontri giornalieri, dopo cena, butta giù per iscritto tutte le per un attimo la lunga ruga verticale che gli solca la fronte si è spianata, mentre gli occhi ridevano di un riso infantile: «Volete sapere qual è l'impressione più forte che ho provato? Trovarmi in mezzo a gente che parla russo. Mi giro da una parte e parlano russo, dall'altra anche. Non c'ero più abituato, che stupore, che bellezza, tutti russi! E sento che sono a casa mia anche se da queste parti non sono mai stato. Anzi mi sento come una cellula che è ritornata a far parte di un organismo dal quale era rimasta separata». La gente applaude, telcoperatori e fotografi si agitano, lampeggiano i flash nella speranza di carpire un attimo di commozione che non viene. Solzenicyn non ha attimi di commozione, né lacrime da sprecare. I suoi occhi brillano solo d'ira, lampeggiano d'indignazione quando si scalda infervorandosi nella discussione, rispondendo alle domande talvolta maliziose che qualcuno gli rivolge. A tarda sera Natalia Dmitrievna convoca giornalisti e operatori per trattare una tregua di «almeno un giorno». Lo scrittore andrà a Ussurijsk per visitare alcuni villaggi di campagna. Non vuole essere disturbato da nessuno. Pensa che la gente non possa essere sincera davanti a troppi teleobiettivi. Finisce con un compromesso: gli inseguitori accettano di partire con un handicap di mezza giornata. L'appuntamento è nella città di Ussurijsk alle ore 13, 130 chilometri da Vladivostok, un pugno di chilometri dalla frontiera cinese. Poi ricomincerà la libera caccia allo scrittore, guardie di frontiera permettendo. Giulietta Chiesa

Luoghi citati: America, Italia, Mosca, Urss