Stein odio la mondanità di Osvaldo Guerrieri

77W, festa di Riccione Incontro con il direttore della sezione teatro a Salisburgo Stein, odio la mondanità «Sfrutto i ricconi perfare a modo mio» RICCIONE DAL NOSTRO INVIATO Che seduttore è Peter Stein. Nella cornice giovanilistica del Riccione TTW è conteso e vezzeggiato. Lui mostra un'aria ruvida e un sorriso avaro, ma si adatta a tutto, dà retta a tutti, conquista tutti. Questo regista di 57 anni portati con la baldanza di un quarantenne è stato per vent'anni l'anima della Schaubùhne di Berlino. Ora è il direttore del settore prosa a Salisburgo, un festival che dice di odiare, perché schiacciato dalla mondanità: «Non voglio vedere "Don Giovanni" seduto accanto a due puttane appena scese da una Jaguar». E proprio perché si sente fatto di un'altra pasta, eccolo meditare le sue rivoluzioni. Dice: «Una volta Salisburgo non era soltanto musica. La lirica è venuta dopo perché poteva attrarre un pubblico internazionale e ha schiacciato la prosa». Ricorda con orgoglio che, con la sua direzione, la prosa è riuscita a vendere 60 mila biglietti. «Il guaio è il costo dei biglietti: 200 mila lire a poltrona. Ma io ho inventato i biglietti da 40 mila, così riesco a far venire il pubblico vero. Sfrutto i ricconi per finanziare il festival e creare i miei avvenimenti». Questa estate arriverà Ronconi con «I giganti della montagna» interpretati da Jutte Lampe. Dove? «Ho dovuto inventarmi uno spazio, visto che la lirica non cede niente. A venti chilometri da Salisburgo ho trovato una vecchia fabbrica di sale. L'ho ceduta a Luca e al suo cast mozzafiato. Ci sono attrici di fama mondiale che hanno accettato di interpretare parti piccolissime, soltanto per il piacere di essere lì». Spiega che riesce a creare il festival con la seduzione. «Devo sedurre attori e registi perché accettino di venire qui. Ho imparato anche la ruffianeria. Gli austriaci amano il teatro quasi quanto i tedeschi, ma in una forma più pettegola. E allora io chiamo masse di salisburghesi a far da figuranti. Ogni figurante avrà pure una madre, un fratello. Ed ecco che ho il pubblico assicurato». Naturalmente è un'esagerazione. Pochi artisti sono rigorosi e severi come lui. E Stein lo sa. Dice di essere fatto della stessa carne di Ronconi e di Chéreau: «Abbiamo cominciato insieme, respirato lo stesso vento storico, coltivato le stesse convinzioni estetiche. Ho invitato spesso Chéreau a lavorare con me. L'ho fatto per 25 anni, ma senza successo. Soltanto Ronconi ha seguito il mio canto di sirena». Il lavoro collettivo, lo scambio di esperienze hanno sempre segnato la sua vita teatrale. I suoi spettacoli (primo fra tutti l'«Orestea» di Eschilo che lo rivelò in Italia) nascevano da interminabili laboratori. Oggi ricorda: «Ho fatto un teatro d'ensemble e di continuità. Stessi attori, stessa città, mai tournée. Il mio più grande successo è questo, non sono gli spettacoli. E' difficile crederci. Ma noi abbiamo lavorato per 15 anni su Cecov prima di deciderci a farlo. Gli attori premevano, ma io non volevo portare in scena il samovar. Anche gli interpreti più responsabili non si sentivano maturi per Cecov, e allora decidemmo di cominciare a fare qualcosa che ci conducesse a lui. Nacquero "I villeggianti" di Gorkij, un testo debole, ma lo facemmo nella maniera cecoviana. Forse il metodo era modesto, ma funzionò. In quel modo l'attore diventava quasi l'autore, e soltanto così è possibile affrontare Cecov. Per me sono importantissimi, gli attori. Senza di loro non c'è teatro. Ed essi accettavano di lavorare in quel modo, solo per me, con un'esclusiva non sempre gratificante». Per fortuna arrivava la televisione e apriva gli orizzonti, consentiva alla tribù della Schaubiihne di fare esperienze nuove. «Ci davano un mucchio di soldi, 56 a tein nni. ndisce giorni per preparare "Grande e piccolo" di Botho Strauss, ci permettemmo il lusso di andare in Marocco per registrare una sola scena. Edith Clever e Bruno Ganz hanno cominciato a capire qualcosa di camera e di mi^^^^ crofono grazie a quelli sta esperienza». E lei? Lei ha cominciato con la tv. «Era il '67. Lavoravo con quelle telecamere enormi, registravo bobine di 15 chili che cercavamo di non tagliare. La tv tedesca aveva creato un dipartimento per il teatro. Ma lì, in quel dipartimento, in quegli studi, sniffavo la morte. Un giorno hanno detto basta col dipartimento e hanno deciso di affidare il teatro ai teatri, col tramite del regista televisivo, che riprendeva gli spettacoli o col pubblico in sala o ricostruendoli in studio: una figura che ho sempre rifiutato. Il mio teatro me lo filmo da me. La tv utilizzava il teatro per sperimentare nuove tecniche. Anch'io ho dovuto usare tutte le novità, ma le ho buttate via, non servono a niente, contano soltanto inquadratura e luce». Vuol dire che non crede alla tv? «Io non sono contro la tv, la utilizzo, ma ne vedo i pericoli. Il teatro approfondisce un pensiero, un sentimento, la tv non approfondisce niente. Ecco perché è il più grande nemico del teatro: trasforma testi, occhi, cuori in recipienti antiteatrali. Non voglio usare il verbo rincretinire, ma certo la tv riduce i tempi di concentrazione, vorrebbe fornire tutte le informazioni possibili in un unico momento, uccidendo l'aspetto floreale che è in noi». Osvaldo Guerrieri Il regista Peter Stein ha 57 anni. Dice: «La tv non approfondisce niente»

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