Scalfaro: sfido le menzogne del Sisde

Al santuario di Oropa il Presidente replica alle accuse dei contestatori di Piazza della Loggia Al santuario di Oropa il Presidente replica alle accuse dei contestatori di Piazza della Loggia Scalfaro: sfido le menzogne del Sisde «L'incarico a Berlusconi? Dovere» BIELLA DAL NOSTRO INVIATO «No, non qui. Cerchiamo un posto più tranquillo dove poter parlare. Ci vediamo tra cinque minuti»: il Presidente della Repubblica s'avvicina ai giornalisti che l'attendono e lancia l'invito con tono quasi dimesso: parole inusuali per un uomo abituato a distillare in scarni concetti o in messaggi allusivi i propri interventi nel dibattito politico. Scalfaro colora d'eccezione una domenica che sembrava tutta da giocare tranquillamente «in casa» nella cornice del santuario di Oropa, dopo i tafferugli e le contestazioni di Brescia. No, niente tranquillità: il desiderio di «parlare» del Presidente diventa prefazione d'un libro mai aperto. Parla, Scalfaro, entrando con irruenza nelle polemiche e nei dolori che squassano il Paese. E con eguale irruenza fruga nelle polemiche e nei dolori che lo feriscono in prima persona dichiarando «di non aver speso se non per fini istituzionali» i fondi riservati dei Servizi. Nel suo monologo s'affollano i fischi di piazza della Loggia e il caso Sisde, i giornali che «nascondono» certe notizie e il responso delle scorse elezioni, il governo e Berlusconi, il «caso» dei ministri post-fascisti e i rischi della delinquenza, i giudizi internazionali sul futuro dell'Italia. I fischi di Brescia. «Mi domandate se sono preoccupato per quella contestazione? Vi sembro davvero preoccupato?». Ride Scalfaro lasciando correre lo sguardo sui libri antichi che tappezzano le pareti della biblioteca del Santuario mariano trasformata in covo di microfoni e telecamere. «Sabato, mi sono sentito più giovane di 45 anni e mi sono ricordato di quando certa gente con il fazzoletto rosso al collo tentava di salire sino al balcone da dove parlavo per buttarmi sotto». No, quello che colpisce il capo dello Stato è la «turbativa della verità». Rammenta che, recentemente, a Cassino, è stato «subissato da una manifestazione d'affetto incredibile, eppure certi giornali non ne han¬ no scritto». E ancora certi giornali tornano nel mirino per consentire al Presidente d'introdurre un argomento sino ad ora soltanto lambito e che esplode come una bomba. Il caso Sisde. La prende da lontano, Scalfaro. Quasi scusandosi, dice di non aver letto se non i primi capoversi del fondo del direttore di Repubblica: «Ma condivido il suo giudizio sulla contestazione di piazza della Loggia quando, in sostanza, dice: non facciamola troppo grossa». C'è un altro paragrafo di quest'articolo che il Capo dello Stato traduce in spunto per un'arringa d'autodifesa: quello in cui si parla dei giornali che fiancheggiano la maggioranza e che conducono una campagna violenta contro il Quirinale dando voce ai pecula- tori del Sisde: «E così il nome del presidente compare ogni giorno sulle pagine dei quotidiani - osserva Scalfaro alzando la voce - con accuse pronunciate da persone seriamente imputate». Notizie che si reggono su un impossibile equilibrio perché «mettono sullo stesso piano chi aveva il dovere e il diritto di amministrare e chi, invece, quel diritto si è arrogato». La rabbia, ora, è ancora più evidente: «Uno che accusa vale di più delle ripetute dichiarazioni dei magistrati sulla mia estraneità a questa vicenda? Evidentemente sì in certi titoli». Scalfaro guarda, ora, alla posizione di «irresponsabilità» in cui la legge lo pone come Capo dello Stato e che «rischia di diventare una gabbia». Quindi, con tono sprezzante, getta il proprio guanto in faccia a quanti lo chiamano in causa per i fondi riservati. Non ha mai respinto in modo così fermo i sospetti: «Occorre che qualcuno dimostri che chi è stato ministro dell'Interno, non io soltanto, abbia speso una sola lira al di fuori dei fini istituzionali. E io sfido chiunque, al mondo, a trovare una cosa del genere». La richiesta di dimissioni e le accuse di Bertinotti. I dissensi di Brescia aprono un altro fronte in questa «confessione»: il leader di Rifondazione, intervistato anche da La Stampa, ha chiesto a Scalfaro di lasciare il Quirinale. E lui gli risponde, acido: «Mi spiace per quanto va dicendo. Il Presidente è stato eletto con una Costituzione che prevede un mandato di 7 anni». Non sarà certo Bertinotti a farlo alzare dalla poltrona ma solo, eventualmente, «Domineddio con una chiamata d'urgenza». Ci sono ancora frecce contro il segretario di re: «Dice che sono un Presidente vecchio e quindi responsabile di tutto. E' spaventoso: sembra d'essere in Ruanda dove un'etnia è responsabile di non so che cosa e, per questo, dev'essere eliminata». Garante dei fascisti? «Me lo hanno detto a Brescia. Appartengo ad una generazione che non ha mai ceduto al fascismo. C'è chi mi accusa d'aver accettato ministri che non avrei dovuto accettare, eppure una maggioranza tutelata dalla Costituzione mi ha detto di riconoscersi in un'unica persona: Berlusconi». Che cosa dovevo fare?, si interroga il Presidente. Dare retta a Segni che gli chiedeva di non nominare il Cavaliere perché c'era «incompatibilità» con la sua posizione di editore? «Io devo rispettare le leggi - dice Scalfaro e quasi sembra che si stringa nelle spalle -. E una norma che sancisca quest'incompatibilità, non c'è. Anzi: se avessi detto no ad una maggioranza avrei commesso il reato di attentato alla Costituzione». Fascisti e post fascisti. Il Presidente affronta questo tema con una premessa: «Ci vuole serietà nel valutare il problema». E prontamente aggiunge: «Non si può chiedere ad uno della mia età di dare assoluzioni che, del resto, non dipendono da me». Ricorda che è ancora in vigore la legge che vieta la ricostituzione del partito fascista. Ma si domanda: «Possiamo accusare di fascismo persone venute al mondo quando il fascismo era già finito?». Il governo. Gli uomini nuovi che si affacciano alla politica hanno secondo Scalfaro «il diritto d'essere giudicati per quanto faranno». Un sospiro e un'afferma¬ zione: «Io, mi piaccia o no, sono il garante». Mafia e camorra. Viviamo momenti in cui «qualcuno pensa che si possano fare certe cose», dice Scalfaro riferendosi «alle esplosioni in Sicilia e alle preoccupazioni manifestate dai sindaci del Casertano». No, non si faccia illusioni questo «qualcuno»: «La forza della democrazia respingerà qualsiasi tentativo di violenza». Le pagelle di Clinton. A questo punto il Capo dello Stato si alza dalla sedia: «Fine della trasmissione», annuncia. Ma c'è ancora spazio per una domanda: come giudica gli apprezzamenti sul nostro governo fatti dal Presidente americano e quelli che giungono da certi Stati europei? «La democrazia italiana non è in attesa di pagelle in giro per il mondo. E' giusto giudicare i fatti. E i fatti partono dal 1945. Nonostante agitazioni e contestazioni la nostra democrazia non è stata toccata». Renato Rizzo li presidente del Consiglio Berlusconi

Luoghi citati: Biella, Brescia, Cassino, Italia, Ruanda, Sicilia