«Quei cadaveri nel lago Ho rischiato d'impazzire»

«Quei cadaveri nel lago Ho rischiato d'impazzire» «Quei cadaveri nel lago Ho rischiato d'impazzire» UNA REPORTER ALL'INFERNO SENTEBBE OLO qualche giorno fa ero in quell'inferno, in Ruanda, inviata dal mio giornale, il «New Vision» di Rampala. Pensavo che difficilmente si potesse provare un orrore più grande, orrore che, qui in Africa, è stato spesso all'ordine del giorno. Ma ho dovuto farmi forza e anche piangere per non fuggire, per non vomitare. Il direttore vuole che racconti il massacro agli ugandesi: mai più una guerra etnica, politica o di qualsiasi altro tipo. E così, mentre scrivo, aspetto di poter ripartire per Kigali. Il Lago Vittoria è una delle meraviglie della Terra, con il verde che si immerge direttamente nell'acqua. O almeno lo era. Quando vi arrivai, inviata per vedere i primi cadaveri che riemergevano dall'acqua, ho pianto sulla mia Africa. Ho visto con orrore corpi di bimbi che potevano essere miei figli, martoriati fino a diventare irriconoscibili. Galleggiavano gambe, braccia, non so se staccati dai carnefici a colpi di machete o dall'avidità dei pesci invitati al macabro banchetto. C'era un uomo senza volto, strappato al lago, senza il braccio destro e la gamba sinistra. Quei capelli bianchi, unica cosa rimasta quasi intatta, mi tormentano ancora la notte. Solo ora, mentre scrivo, capisco il perché: sono uguali a quelli di mio padre. Oppure sono uguali a quelli di un qualsiasi uomo, di un uomo qualunque dell'Africa che si ostina a morire quando avrebbe assolutamente bisogno di conquistarsi un'esistenza appena un po' meno miserabile. C'erano madri, tra quei cadaveri. O, almeno, donne che volevano diventare madri. Era chiaro che il loro ventre non fosse solo gonfiato dall'acqua: portavano in grembo il loro bambino, magari massacrate barbaramente mentre aspettavano di partorire la vita. Ma devo smettere di pensare, per non rischiare di impazzire. Negli ultimi tre giorni il bollettino di guerra peggiora, sembra andare di pari passo con quello meteorologico. La stagione delle piogge quest'anno non dà proprio respiro: piove in maniera sempre più martellante. Le gocce d'acqua sono sempre di più, sempre più pesanti, come il numero di cadaveri e le cataste di morti che si trasformano in montagne sulle rive del Lago Vittoria, a cui le ha consegnate il fiume Kagera. L'ufficiale della National Task Force ugandese, due metri d'uomo bagnato come fosse appena riemerso dall'acqua, mi dice che sulle nostre coste arriva un corpo ogni tre minuti. Il balletto delle cifre è uno stillicidio: il 45 per cento dei corpi «sembra fresco» - mi comunica con la precisione di un professore di matematica -, il 55 per cento è decomposto. Dietro ai numeri si nasconde una tragica verità: cadaveri «freschi» significa appena uccisi. L'olocausto, insomma, non si arresta. Ora i distretti dell'Uganda sui giornali hanno tutti un numero a fianco, aggiornato di giorno in giorno: Kasensero 1257, Dimo 1511, Senyombo 70,... Sono i corpi ripescati. Masaka, Npigi, Kalangala e l'isola Rakai, paradiso dei pescatori, sono stati dichiarati «area disastrata». Almeno 10 mila altri corpi - stimano - sono ancora nel lago, sospinti a Nord dai venti. Un mare di sangue e membra triturate a colpi di machete che conquista la morte anche tra la mia gente, nel nostro Paese che da non molti anni conosce un po' di tranquillità. Conquista la morte portando con sé tubercolosi e Aids, come se non ne avessimo già a sufficienza. Un castigo inflittoci ingiustamente, che si assomma all'ecatombe ruandese. La mia gente ha fame, ma non può più mangiare pesce. Ha sete, ma non può più bere acqua. Non sa leggere i giornali e non ha una televisione per essere informata. Nulla li può fermare dal darsi la morte mangiando carne contaminata e acqua avvelenata, nemmeno i soldati che battono le zone più a rischio. Quando finirà quest'ennesima piaga che ci mantiene in ginocchio? Sheila Kawamara

Persone citate: Lago Vittoria, Sheila Kawamara

Luoghi citati: Africa, Kigali, Ruanda