Nascono le Hillary italiane di Guido TibergaIndro Montanelli

SuSSEu» Nascono le Hillary italiane Un nuovo ruolo nella Seconda Repubblica: la first lady d'attacco Nascono le Hillary italiane E la moglie di Maroni sfida Montanelli SuSSEu» CHI pensa che le mogli dei potenti dovrebbero restarsene zitte a casa loro può fare fagotto e cambiare Paese. La politica, anche in Italia, sta diventando un gioco di coppia: Emi Maroni che prende a bacchettate le dita di Montanelli; Myriam Miglio che distrugge l'immagine del professore cattivissimo che passa le notti a tramare la secessione: «Ma se crolla come un sasso in un pozzo...»; Maria Pia Dell'Utri che prima organizza un dubbino di Forza Italia per farci giocare la bimba, e poi tira schiaffoni morali ai «comunisti» che parlano di cervelli infantili mandati al lavaggio. Maroni, Miglio, Dell'Utri: un'esplosione al femminile che è quasi una rivoluzione rispetto al passato. Le first lady della Prima Repubblica vivevano nell'ombra dei loro mariti. Qualcuna lontana dalla ribalta, molte altre nel cono di luce del potere coniugale: viaggi, visite più o meno gratuite nei negozi del centro. Per stanarle c'è voluta Tangentopoli: Marinella De Lorenzo e le collane da 20 milioni con cui il re dei farmaci Zambeletti ricordava «per amicizia» il compleanno della signora Sanità. Wanda Pomicino rabbuiata perché gli «amici di famiglia» avevano tagliato la corda dopo la caduta del povero Cirino tradito dalla politica. Lucilla Vitalone offesa dalle corna più che dalle mazzette: «E quella là vorrei vederla adesso che Claudio non conta più nulla...». Forse soltanto Marina Ripa di Meana andava in prima linea con le sue gambe: pellicce bruciate per strada, parolacce declamate in televisione, ambasciate occupate al grido di «salvate le foche». Ma anche lei, in un clamoroso litigio con Stefania Craxi non seppe far meglio che rifugiarsi nel suo cognome di Palazzo: «Ho dovuto denunciarla - disse -. In fondo sono la moglie di un ministro...». Altri tempi. Adesso le first lady che devono agire lo fanno da sole, senza preoccuparsi troppo della ragion politica. Ieri l'ultimo caso: Indro Montanelli scrive un ritratto sorprendentemente positivo di Roberto Maroni. Ma, da par suo, non sa rinunciare allo sberleffo finale. «Il ministro - scrive il direttore della Voce - ha moglie e due figli, uno dei quali si chiama Chelog. E' vero che, in fatto di nomi, uno che si chiama Indro non ha il diritto di stupirsi di nulla. Ma io un antenato in cielo - e sia pure nel cielo dell'India - ce l'ho. Di dove venga Chelog, non ho idea. Direi, a occhio e croce, da uno zoo...». La moglie del ministro, toccata nei pargoli, legge e si infuria: «Sono indignata per il trattamento riservato a mia figlia Chelo (e non Chelog) di 5 anni. Chelo è un nome di origine spagnola, portato, tra l'altro, da una cantante assai famosa («anche ai suoi tempi»), spiega la signora Maroni, perfidina. Poi lancia l'affondo: «Ritengo offensive e gratuite le sue considerazioni in proposito - insiste -. Se proprio non riesce a trovare altre critiche, se deve sfogare i suoi rancori personali verso quella che lei definisce una nuova cupola, se la prenda con me. E non con i miei figli». Una lavata di capo in piena regola, cui Montanelli risponde fingendo di porgere l'altra guancia. «Se questo può contribuire a metterle l'animo in pace le dirò che il mio autista ha dato, con il mio pieno consenso, il no¬ me Indro al suo cane lupo», attacca. Poi la stoccata finale, un autoinvito a cena in casa Maroni, «dove spero che il ministro Maroni spiegherà alla sua gentile, ma forse un po' troppo appassionata signora, che nel mio articolo l'ironia si limitava ai fronzoli». Il ministro, dal Viminale, tace. La consorte, per il momento, anche. Guido Tiberga Marina Ripa di Meana recitava da protagonista Le signore del Polo in campo per mariti e figli Da sinistra la moglie di Maroni Emilia, quella di Miglio Myriam e Indro Montanelli

Luoghi citati: India, Italia, Maroni Emilia, Meana