Andreotti un giorno da superstar
Nell'omelia il vescovo cita i malvagi e le calunnie Invitato dall'ex senatore Lavezzari con Citaristi e il presidente dell'Inter Andreotti, un giorno da superstar Gran festa a Pavia: «Nella vita mai disperare» IL RITORNO DI GIULIO GPAVIA IULIO superstar, come nell'età dell'oro del potere de. Cartelli, popolo plaudente, il vescovo che officia la messa, le autorità e i vip: il mondo di Andreotti prima delle accuse di mafia. Ieri Varzi, paese collinare in provincia di Pavia, ha vissuto una giornata di festa tutta dedicata all'ex leader, promotore Carlo Lavezzari. Industriale siderurgico, ex senatore e top manager pubblico, Lavezzari ha appena scritto l'autobiografia («Il pane, le ferite, il lavoro») e ha voluto il grande amico Giulio a presentarla. Una giornata che parte con i cartelli, prosegue con una messa all'aperto, la vernice del libro in un mercato coperto e poi tutti a tavola in un ristorante gestito dalle suore del rosario. Andreotti sorride, e ai cronisti che lo assediano dice «fate festa anche voi». Con Andreotti anche sua moglie, al loro fianco un altro amico di lunga data, Severino Citaristi, che dice soltanto: «Fa piacere che ci siano ancora degli amici». La seconda soddisfazione, dopo i cartelli di incoraggiamento, Andreotti la riceve dall'omelia del vescovo della diocesi di Tortona, monsignor Luigi Bongianino, che officia la messa all'aperto in memoria della mamma di Lavezzari. Commentando una lettera di san Giuda Taddeo il vescovo parla dei vari tipi di malvagi ed afferma: «I malvagi sono capaci di colpire anche con la calunnia e con il discredito, di gettare fango sulle persone altrui, Giuda Taddeo dice di non ascoltarli, di non seguirli». Poi Andreotti sale sul palco, davanti al migliaio di invitati tra i quali c'è anche il presidente dell'Inter Ernesto Pellegrini, amico di Lavezzari (e di Giulio). Al microfono ripercorre la narrazione del libro autobiografico di Lavezzari, una vita avventurosa, la classica storia di un uomo che si è fatto da solo, ponendo le basi della sua fortuna negli anni agitati del secondo dopoguerra, episodio centrale l'assassinio della gran parte della sua famiglia nel '45 per mano di alcuni appartenenti ad una formazione di partigiani, puniti poi dai loro stessi compagni con la fucilazione. A chiusura dei suoi commenti, del veloce riassunto del libro, Andreotti osserva: «Nella vita non bisogna mai disperare, perché anche nelle fasi più agghiaccianti, più tiemende, c'è qualche volta un piccolo raggio di sole che torna ad illuminare il corso di una esistenza». Al termine Pellegrini è commosso. «Quando si soffre - dice - bisogna avere degli amici vicino, bisogna credere in qualcuno. Qui c'è un uomo che amo e che stimo, che mi ha aiutato quando ero un signor nessuno, il senatore Andreotti. Voglio ringraziarlo per quello che ha fatto per me, sono diventato cavaliere del lavoro anche grazie ad una sua buona parola». Ultimo a parlare il padrone di casa, Carlo Lavezzari: «Sia Severino che Giulio sono amici miei da anni e adesso sono accusati di cose veramente tremende, di cose infamanti. Io sto con loro». [r. i.l Nell'omelia il vescovo cita i malvagi e le calunnie Per Giulio Andreotti grande festa a Varzi
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