La cella-bunker del re di Cosa Nostro

La cella-bunker del re di Cosa Nostro La cella-bunker del re di Cosa Nostro Microspie, intercettazioni e luce sempre accesa LO arrestarono a Palermo la mattina del 15 gennaio 1993. Ma ancora oggi Salvatore Riina, il capo di Cosa nostra, non si ò messo il cuore in pace. Lo caricarono su un elicottero e lo rinchiusero al braccio G-7 del carcere romano di Rebibbia in isolamento totale. Ricevette la visita del superprocuratore antimafia, Bruno Siclari. Rifiutò sdegnosamente di contrattare il «pentimento». Pochi mesi dopo, in una cella dello stesso braccio, venne trovato impiccato un altro capomafia, Gioacchino Gioè, accusato di essere uno dei partecipanti della strage di Capaci. Si ò detto che Gioè fosse sul punto di pentirsi e che fosse stato indotto al suicidio dal «mondo di Cosa nostra». (Un episodio simile è raccontato nel film «Il padrino 2»). Vicino al cadavere di Gioè, una lunga lettera, dal contenuto ancora sconosciuto. Appena ne ha avuto l'occasione, Riina ha cominciato a parlare e la televisione l'ha sfruttala abbondantemente. In maniera arrogante ha cominciato col chiedere al direttore del «Giornale di Sicilia» di intervistarlo. In ogni occasione, e quasi sempre con le stesse parole, ha attaccato i pentiti e chi li «manovra». Si è sempre paragonato ad Enzo Tortora, ha ripetuto più volte il suo rammarico per la sorte del dottor Contrada (sotto procusso per collusione con Cosa nostra) e per quella del giudice Signorino (suicida, dopo esser stato accusato dello stesso reato). Ha dato sempre l'impressione di decidere da solo, senza il consiglio degli avvocati. In 17 mesi Salvatore Riina è stato trasportato da Rebibbia a Palermo, all'Asinara. Più volte è comparso in aule giudiziarie, come imputato o nei confronti con i suoi accusatori (Tommaso Buscetta, Gaspare Mutolo, Giuseppe Marchese). A parte queste occasioni pubbliche, ha potuto incontrare solo i suoi familiari (la moglie Ninetta, i quattro figli, il fratello Gaetano, gli avvocati) ed è sempre vissuto in isolamento as¬ soluto. Nel carcere di Palermo, in particolare è stato sempre in una piccola cella con illuminazione artificiale costante, la posta doppiamente censurata: dalla direzione del carcere e dalla Procura di Caltanissetta. Il cibo se l'è sempre cucinato da solo. Riina, come numerosi altri detenuti per associazione mafiosa, è sottoposto ad uno speciale regime penitenziario, secondo l'articolo 41 bis (legge 356 del 18 agosto 1992) che prevede la «sospensione parziale o totale dei regolamenti carcerari». La legge venne proposta dopo l'uccisione del giudice Borsellino esplicitamente per usa¬ L'ALLARME DEGLI USA LNEW YORK A malavita russa è in piena espansione. I gruppi che la compongono sono almeno 5700, i loro affiliati sono circa 100.000 e la sua «sfera di influenza» si è già estesa a 29 altri Paesi. Fra questi l'Italia a quanto pare è fra i prediletti. Secondo Mikhail Yegorov, responsabile del governo di Mosca per la lotta alla criminalità organizzata, i gruppi di criminali russi che operano in Italia sono almeno 60, quelli in Germania sono 47 e quelli negli Stati Uniti 24. Questi dati Yegorov li ha forniti durante una riunione organizzata dal Senato americano, cui ha partecipato assieme al capo dell'Fbi Louis Freeh e al capo della polizia federale tedesca Hans-Ludwig Zachert. Il problema che ha portato a quella riunione è di quelli destinati a seminare angoscia: la possibilità che i criminali russi possano impadronirsi di anni nucleari e ricattare i governi del mondo. Nell'ex Unione Sovietica, come si sa, ci so- re la «durezza della detenzione» contro i mafiosi ed indurli così alla «collaborazione»: ha ottenuto effetti diversi. Rinchiusi soprattutto nel carcere di Pianosa, alcuni detenuti hanno scelto la via della collaborazione, mentre nel mondo di Cosa nostra le notizie di pestaggi e angherie subite dai boss hanno portato a vari progetti di uccisioni di guardie carcerarie. La catena di attentati - Firenze, Roma, Milano - dell'anno scorso è probabilmente una risposta a questo stato di cose. Per quello che si conosce della psicologia del capo di Cosa nostra, i suoi nemici immediati sono - ol¬ no dalle 30 alle 40.000 bombe nucleari. Pubblicamente nessuno sa dove siano, né come funzioni il sistema per renderle «inaccessibili». Ma quando Boris Eltsin garantì che la situazione era completamente sotto controllo, i governi occidentali mostrarono di accettare quella rassicurazione, sicché un po' tutti si convinsero che evidentemente le informazioni fornite segretamente da Eltsin erano sufficienti e che i governi «sapevano» ciò che i comuni mortali ignorava¬ tre a Caselli, Violante, Arlacchi, i cui nomi sono stati scanditi l'altro ieri - il capitano dei carabinieri «Ultimo» che ha diretto l'operazione del suo arresto; il sostituto procuratore Ilda Bocassini di Caltanissetta; i pentiti storici Buscetta e Contorno; il capo della Dia Gianni De Gennaro, il cognato Giuseppe Marchese che lo ha tradito. Chi potrebbe organizzare la vendetta? I nomi che Riina ha in mente sono quelli di Leoluca Bagarella, il fratello della moglie Antonietta, latitante numero uno; del suo vecchio compagno d'arme Bernardo Provenzano, latitante numero due, delle famiglie Bru-