Biondi più forza ai pentiti

Il ministro della Giustizia all'attacco: lo show del superboss non cambia la strategia del governo Il ministro della Giustizia all'attacco: lo show del superboss non cambia la strategia del governo Biondi: più forza ai pentiti «La legge sarà cambiata in meglio» « Sibilìi© sui proclami dei boss »Giovanni Galloni a giornali e tv «Non fate da cassa di risonanza» » I invito al governo a raggiungere una sorta di compromesso con la mafia. «Riina è stato furbo: ha cercato di mettere in difficoltà questo governo e di attaccare il pds. Insomma, si è inserito nel dibattito tra maggioranza e opposizione, si è messo a far politica. Però non bisogna fare il suo gioco: è uno che sta in galera e che cerca di accreditarsi. Ma è bene che si calmi: sappia che la legge sui pentiti non verrà abolita come piacerebbe a lui. Da parte nostra non ci sarà nessun cedimento, anzi intensificheremo la lotta alla mafia. Del resto lo ha anche detto il presidente del Consiglio nel suo discorso programmatico». Onorevole Biondi, si deve quindi dedurre che le sparate di Riina sui pentiti spingeranno il governo a innestare la retromarcia e a non cambiare, còme era stato ventilato, la legge sui collaboratori di giustizia? «Le sue dichiarazioni non modificano nulla. Nessuno ha mai detto di voler cancellare quella normativa. Su questo gli italiani possono dormire sonni tranquilli. Ciò però non significa che quella legge sia intoccabile. Vor- Accanto Salvatore Boemi, il procuratore che ha autorizzato l'intervista a Riina. Sotto il giudice di Cassazione Scopellitti, ucciso dalla mafia Il ministro della Giustizia Alfredo Biondi e (foto piccola) il vicepresidente del Csm Giovanni Galloni creerà dei problemi. Rivedere quella legge non significa affatto indebolirla, semmai il contrario. Cercare di razionalizzarla, per evitare errori, rendere più sicura l'acquisizione di una fonte di prova e trovare strumenti adeguati a vagliare l'attendibilità di un collaboratore di giustizia, è un modo di rafforzarla. E di renderla coerente con uno Stato di diritto». E quali punti di quella legge andrebbero rivisti? «Innanzitutto bisogna chiedersi se chi custodisce il pentito deve essere chi lo interroga. Eppoi occorre rispondere ad un altro interrogativo importantissimo: come riuscire a controllare meglio la sincerità del pentito?». A questo proposito, c'è chi sostiene che la sincerità dei cosiddetti «pentiti a rate» sia difficilmente verificabile e che perciò sarebbe un bene se i collaboratori di giustizia non parlassero a spizzichi e bocconi. «In Italia, al contrario di quanto avviene negli Usa, c'è l'obbligatorietà dell'azione penale. Se un pentito fa delle affermazioni il magistrato deve indagare. Ma è chiaro che bisognerà anche evitare che i collaboratori di giustizia si mettano a parlare regolarmente a rate trasformandosi di fatto in veri e propri impiegati dello Stato». portarle, anche se si tratta di affermazioni gravissime e pur sapendo che si mandano messaggi di morte. Detto questo, non c'è dubbio che, di fronte a vicende del genere, il senso di responsabilità dei giornalisti deve aumentare e che occorre riflettere sul fatto che qualcuno manda messaggi e quindi "utilizza" i mass media. Per Arturo Diaconale, leader della componente Sindacato 2000 e direttore de «L'opinione», un eventuale problema di cassa di risonanza «non è della stampa ma delle autorità politiche e giudiziarie, che nel timore di prendere decisioni impopolari tendono a scaricare la responsabilità sui mass media». Mentre Giovanni Faustini, presidente dell'Ordine nazionale dei Giornalisti, afferma: «Più che appellarsi alla responsabilità della stampa, il vice presidente del Csm meglio avrebbe fatto a pensare alle responsabilità del magistrato che ha la competenza di disciplinare quanto avviene nell'aula di giustizia», [r. cri.] ROMA. Dopo il «comizio» di Totò Riina da un'aula del tribunale di Reggio Calabria, si pone ai mass media il problema di non prestarsi a fare da «cassa di risonanza» a segnali o messaggi della criminalità organizzata? Sì, secondo quanto ha dichiarato ieri Giovanni Galloni, vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura: «Ritengo opportuno», ha detto, «che la stampa si sensibilizzi in questo senso. Sarebbe giusto che gli organi di informazione assumessero un impegno analogo a quello che seppero mantenere in occasione dei "proclami" che i terroristi delle Brigate Rosse lanciavano dalle aule. In quel periodo si convenne che non si doveva dare alcuna pubblicità a quei comunicati». Una presa di posizione che ha incontrato critiche e scetticismo: «I giornalisti fanno il loro dovere», ha replicato il presidente della Federazione della stampa Vittorio Roidi, «e se in aula un imputato del calibro di Riina dice certe cose è dovere del giornalista ri¬ Maria Teresa Meli

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