Quindici anni schiavi al parcheggio
Marocchino in carcere: gestiva lavoro e vita dei giovanissimi posteggiatori abusivi Marocchino in carcere: gestiva lavoro e vita dei giovanissimi posteggiatori abusivi Quindici anni, schiavi al parcheggio Racket in piazza Arbarello Prima hanno finto di non capire: «Non conosciamo la vostra lingua». E gli agenti del 1° Distretto di polizia si sono interrogati su che cosa fare per cogliere la storia da quei ragazzi. Dai 15 ai 17 anni. Tutti marocchini, uno albanese. Erano stati fermati in piazza Arbarello. Baby posteggiatori abusivi: costretti a stendere la mano o vendere spugnette e fazzoletti. Gli agenti li seguivano e li controllavano da giorni: avevano appena arrestato un marocchina di 40 anni che U minacciava e li sfruttava. C'erano le prove che esisteva un racket che sfruttava quei ragazzi stranieri, occhi grandi che nascondevano curiosità e paura. Ora quei ragazzi, piccoli schiavi, a volte «affittati» da zii o fratelli a sconosciuti, erano lì, uno accanto all'altro, su quella panchina di commissariato, lunga quanto la parete, a ridosso della finestra che si affaccia sul cortile del palazzo di via Verdi dove un tempo c'era la Zecca dei Savoia. Un vecchio maresciallo si è seduto accanto a Rahel, 14 anni. Gli ha mostrato una Coca Cola in lattina: «Un sorso?». Rahel ha sorriso. E quel sorriso è stato l'inizio di un lungo racconto. La sua storia è storia di tanti altri minori e ragazzi: «In Tunisia sono rimasti la mamma e altri sette fratelli. Io sono venuto in Italia con mio papà. Lui però adesso è in un'altra città, ma non so dove. Prima di andarsene mi aveva accompagnato da un nostro cugino. Ora lavoro per lui». Rahel vive in corso Regina Margherita, con altri marocchini. Ogni mattina raggiunge a piedi piazza Arbarello: «Lavoro lì». Il rapporto inviato alla magistratura dal dottor Carlo Petrelli, dirigente il 1° Distretto di pohzia, parla di quel suo lavoro: «La piazza è divisa in dieci zone, ogni zona è sotto il controllo di altrettanti ragazzi. Nulla è affidato al caso, tutto è organizza¬ to». Ogni ora qualcuno passa e raccoglie i soldi che hanno guadagnato. La stessa persona li controlla e, a mezzogiorno, distribuisce loro un panino con fette di salame». Quell'uomo è, per la polizia, Maati Rasmaoui, marocchino di 40 anni. Le dottoresse Mucci e Piccirillo, del 1° Distretto, dicono di averlo pedinato per giorni: «Abbiamo raccolto elementi precisi di accusa». Lui allarga le braccia: «Passavo per caso in piazza Arbarello, la polizia mi ha fermato. Non conosco questi ragazzi». In tasca aveva due milioni: «I miei risparmi, non so dove lasciarli». L'accusa è di sfruttamento del lavoro minorile. Si ipotizza un reato più grave: «Sospettiamo che tenesse i ragazzi in stato di schiavitù», scrive il dottor Petrelli nel suo rapporto. E racconta le storie raccolte sulla panchina di legno, addossata alla finestra del commissariato. Safim ha 17 anni, è appena uscito dal Ferrante Aporti, aveva aggredito e percosso un vigile urbano: «Devo versare metà del guadagno, il resto lo spedisco a casa». Mohamed ha 18 anni: «Sono solo, ho otto fratelli in Marocco. Se non raccogliamo soldi, sono botte». Uno dei minori: «Mio papà aveva un debito, non poteva restituire i soldi, mi ha affittato ad un cugino». Posteggiatore abusivo, venditore di spugnette. Piccolo schiavo in una piazza torinese. Ezio Ma scarino Maati Rasmaoui arrestato aveva due milioni in tasca. Alcuni ragazzi sfruttati dal racket dei posteggiatori
Persone citate: Carlo Petrelli, Mucci, Petrelli, Piccirillo, Savoia
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