Nella sezione «nuovi giunti» uomini ammassati come bestie

Nella sezione «nuovi giunti» uomini ammassati come bestie Nella sezione «nuovi giunti» uomini ammassati come bestie IL CRONISTA TRA I DETENUTI B ENVENUTI nel carcere delle Vallette, in questa galera studiata per 720 reclusi che ieri pomeriggio alle cinque ospitava 1704 detenuti, saliti a 1717 nel giro di due ore, la durata della nostra visita alle sezioni. Benvenuti in questo mondo lontano, in questi corridoi di cancelli che si aprono e si chiudono, di porte che sbattono, di uomini in divisa e uomini in tuta, uniti loro malgrado dal fatto di stare comunque dentro. «Benvenuti», allunga la mano il dottor Pietro Buffa, studi di criminologia, il funzionario del ministero di Grazia e Giustizia che ci accompagna in questo nostro viaggio all'inferno. L'impatto con il carcere delle Vallette ha l'odore forte di piscio che si respira nella sezione «nuovi giunti», una specie di zoo umano con un centinaio di persone ammassate come bestie in celle che dovrebbero contenerne al massimo 22. Sono gli ultimi arrestati, e sono tutti in attesa che in uno dei bracci ai piani superiori si liberi una branda per loro. E' un luogo di passaggio questa sezione, ma l'attesa che dovrebbe essere di 48 ore diventa di giorni e a volte di settimane. Le cel- le misurano sì e no due metri per quattro e sono senza servizi, a meno che si voglia considerare come una «toilette» la tazza in comune. L'amministrazione le ha arredate con letti a castello, ma non è stato sufficiente a risolvere il dramma del sovraffollamento: in ognuna di questa celle ci sono due, tre persone che dormono su materassini allungati per terra. La sezione dei «nuovi giunti» confina con quella per i magistrati e gli avvocati. Uno legge la targa sopra le sbarre e immagina di entrare in un luogo particolare, dove si svolgono interrogatori e colloqui, e invece non è così. Ci sono detenuti an¬ che qui. Sessantuno per la precisione, undici dei quali in una sola stanza trasformata in dormitorio, con la solita distesa di materassini sul cemento e gli avanzi del pranzo su una panca. La disumanità è strutturale, nel senso che, come dice la direzione del carcere, «non è voluta». Ma è lì, sotto i nostri occhi, e non la si può cancellare. Naturalmente questo non è tutto il carcere delle Vallette. Ci sono anche i tre blocchi, le 30 sezioni, l'infermeria, il centro di pre-accoglienza e accoglienza per i tossicodipendenti, la comunità. E poi le parti in comune, biblioteca, Campetto sportivo, le aree di cemento trasformate in giardinetti dal lavoro dei detenuti. Alla settima sezione del blocco A, riservata ai detenuti «in osservazione» psicologica e psichiatrica, stava Alfonso Manilio, l'uomo che lo scorso 11 maggio si è impiccato con un cavo della tivù. Cella numero 155, sulla porta ci sono ancora i sigilli dell'autorità giudiziaria. Dallo spioncino si vedono un letto, sigarette e accendino sul comodino, e la sagoma di una persona che dorme sotto la coperta. Una messa in scena. Marullo l'ha organizzata per sottrarsi al controllo - che qui è costante - degli agenti della polizia penitenziaria. Per farla finita senza che nessuno potesse accorgersene per tempo. La sezione dove era recluso Daniel Salis, il giovane che s'è tolto la vita lo scorso lunedì, è la decima del braccio B. E' una sezione qualunque, per detenuti comuni, gente che sta un po' dentro e un po' fuori. La sua cella è la numero 215. Un letto a castello, un paio di poster sulle ante dell'armadietto, una giacca piegata sul materasso. Lui non ha avuto difficoltà ad uccidersi, perché questa non è l'«osservazione», qui il bagno è dietro una porta, e quando Daniel aveva tentato per la prima volta il suicidio si era pensato a un gesto dimostrativo, come ne avvengono a decine ogni giorno. Dopo il ricovero al Maria Vittoria lo hanno rispedito nel suo inferno, lasciandogli addosso la cintura dei pantaloni. Certo, il carcere delle Vallette non è tutto così, non sono solo i rumori assordanti delle televisioni accese nelle celle della prima sezione del blocco B, la peggiore, quella dove stanno i colpevoli di reati sessuali e i detenuti che hanno «incompatibilità» con altri detenuti. Questo carcere è anche la solidarietà della quinta sezione del blocco A, metà degli ospiti malati di Aids e l'altra metà formata da reclusi che hanno accettato di occuparsi volontariamente di loro e dei loro problemi. E' la voglia di vivere della sezione «Arcobaleno», dove si studiano forme di recupero usando la creatività degli ospiti. Sono le tante attività di socialità organizzate dalla direzione del carcere con le associazioni e gli enti locali. Ma giù, nella sezione «nuovi giunti», c'è l'inferno. Può durare soltanto pochi giorni, ma ti segna per sempre. Gianni Armand-Pilon Una casa circondariale-polveriera: 1704 reclusi in celle che possono ospitarne al massimo 720 «Una disumanità strutturale che non si riesce a migliorare» Il direttore degli istituti di prevenzione e pena ha disposto il trasferimento immediato di 40 reclusi

Persone citate: Alfonso Manilio, Cella, Daniel Salis, Gianni Armand-pilon, Pietro Buffa