Allo Stato il «nocciolo duro» dell'Ina di Roberto Ippolito

Ferreo il divieto per i soci privati di superare il 5% del capitale, stop anche ai sindacati di voto. Almeno 8800 miliardi il valore del gruppo PALAZZO-PADRONE Ferreo il divieto per i soci privati di superare il 5% del capitale, stop anche ai sindacati di voto. Almeno 8800 miliardi il valore del gruppo Allo Stato il «nocciolo duro» dell'Ina Per almeno due anni il 49% rimarrà al Tesoro ROMA. I giochi sono aperti. Con la privatizzazione, l'Ina partirà come una public company, una società con un'infinità di azionisti con quote più o meno piccole. Poi lo scenario potrà cambiare, dopo l'offerta pubblica di vendita del 27 giugno promossa dal ministero del Tesoro. E' prevedibile che si formi un nocciolo duro, cioè una pattuglia di soci che si legano fra loro conquistando il controllo. «Il nocciolo duro verrà in seguito, per i primi anni lo Stato manterrà la maggioranza relativa», fa presente Lorenzo Pallesi, presidente della compagnia di assicurazioni, intervistato dalle testate Rai. Avendo deciso di cedere subito fino al 51%, il governo di Silvio Berlusconi lascia il 49% nelle mani del Tesoro. Lo Stato, quindi, almeno nella prima fase resterà un azionista di minoranza ma molto ingombrante: potrà determinare la nomina dei managers. La sua partecipazione non scenderà ulteriormente nei nove mesi successivi al 27 giugno, in base alla prassi seguita per le grandi privatizzazioni e ricordata ieri in un incontro con la stampa tenuto dai direttori generali del ministero Tesoro Mario Draghi e Francesco Giavazzi. Lo Stato «venderà il resto nel giro di due anni e mezzo o più», fa presente Pallesi. I tempi sono condizionati dall'andamento della Borsa, essendo in ballo cifre enormi. Il Tesoro spera di incassare già al primo colpo circa 5 mila miliardi. Il ministro Lamberto Dini è fiducioso: «Ora comincia la presentazione sui mercati nazionali e internazionali. A giugno mi aspetto un responso favorevole. L'istituto presentato sui mercati è una grande compagnia». Secondo Pallesi, attendere l'allargamento della presenza dei privati può essere sfruttato adeguatamente: «Questo darà il tempo a noi, o comunque a quelli che dirigeranno la compagnia, di mettere su un sistema di alleanze: quello che tecnicamente si chiama nocciolo duro». Si tratta di «trovare cioè degli azionisti maggiormente interessati alle strategie di gestione in modo da affrontare il mercato puro nel miglior modo possibile per dare stabilità alla società». Questo processo comincerà all'indomani dell'offerta pubblica di vendita del 27 giugno lanciata dal Tesoro. Qualcosa di analogo è successo per la Banca Commerciale e il Credito Italiano. Per l'Ina, però, il ministro del Tesoro Lamberto Dini ha imposto alcune regole differenti che movimentano la partita, esaltando le possibilità dì partecipazione al nocciolo duro di soggetti diversi dai grandi gruppi che controllano le maggiori aziende italiane. E' vero che il tetto al possesso di azioni è stato fissato al 5% (livello più elevato rispetto al 3% di Comit e Credit). Ma c'è un vincolo in più per determinare quando è raggiunta questa soglia, come è stato precisato ieri nell'incontro al Tesoro. Il 5% si calcola sommando le azioni detenute da un soggetto più quelle in mano a società controllate o collegate o anche (ed è questa la vera novità della privatizzazione Ina) semplicemente alleate. Per la precisione, non possono superare complessivamente il 5% due o più soggetti legati da un patto di sindacato, cioè da un accordo relativo alla vita di una società diversa dall'Ina. In altre parole, chi è già alleato per comandare in una determinata società deve limitarsi ad avere il 5% dell'Ina insieme ai tradizionali amici. Al contrario, possono allearsi fra loro i soci che possiedono singolarmente il 5% ma non sono legati da intese per gestire altre società. I patti di sindacato preesistenti potranno perciò pesare poco nel futuro dell'Ina, mentre potranno emergere nuovi patti relativi alla compagnia. E' così che si profila il nocciolo duro. Per arrivarci, i papabili devono però fare un salto. Dini e i ministri del Bilancio e dell'Industria, Giancalo Pagliarini e Vito Gnutti, hanno stabilito che con l'offerta del 27 giugno i risparmiatori possono ottenere al massimo lo 0,5% delle azioni in vendita e gli investitori istituzionali (come banche e fondi) il 2%. Per mettere insieme il 5% bisogna quindi comprare successivamente azioni sul mercato, al prezzo di mercato. Il prezzo dell'offerta pubblica sarà invece scelto il 25 giugno tra il minimo di 2200 e il massimo di 2700 lire per azione. Al livello più basso, lo Stato incasserebbe 4600 miliardi e l'Ina sarebbe valutata 8800 miliardi. E' poco? Secondo Pallesi no, se si tiene conto che lo Stato ha voluto rendere «appetibile l'investimento»: comprare sarà «molto conveniente». Il prezzo delle azioni sarà uguale per tutti. Solo i dipendenti avranno lo sconto del 10%. Per ogni 10 azioni detenute per 3 anni ne sarà concessa una gratis fino a un massimo di 1200. Roberto Ippolito Lorenzo Pallesi Il ministro del Tesoro Lamberto Dini Venerdì il governo varerà il nuovo decreto sulle privatizzazioni

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