Maxisequestro di carne scaduta

Secondo caso in due settimane Era depresso e sconvolto dopo il nuovo arresto per furto Secondo caso in due settimane Era depresso e sconvolto dopo il nuovo arresto per furto Maxisequestro di carne scaduta dell'arresto». L'industriale FeL'inchiesta sulla carne «giramondo» è arrivata ai magazzini doganali in concessione alla società Safim srl di Avigliana, dove, secondo il pm Alberto Perduca, frattaglie prodotte dalla «premiata ditta» Blangino venivano sostituite a carne pregiata. Che stava per essere venduta. I primi controlli della Guardia di Finanza hanno consentito di accertare che parte delle 40 tonnellate stoccate non si può più mangiare. Il magistrato ha chiesto al ministero della Sanità di intervenire. Di mezzo c'è pure una truffa all'Anna. I titolari della Safim, Alberto Crivello, 26 anni, amministratore delegato, e il padre Mario, del 1940, consigliere, hanno ricevuto un avviso di garanzia per concoreo in contrabbando. Nei loro magazzini la Guardia di Finanza ha sequestrato dodici container di carne di proprietà di società off-shore riconducibili ai Blangino. I Crivello stavano per mettere all'asta il contenuto di due di quei dodici container: 1500 scatoloni stoccati dal dicembre 1992 nelle celle frigorifere dei magazzini di Avigliana. La carne - quarti posteriori di bovini, ossia filetto, sia pure di scarsa qualità - proveniva da uno stabilimento di Mureka Sobota, in Slovenia. Dove l'aveva esportata la Barcol Company, ennesima società off-shore, questa volta panamense, con ufficio a Lugano, dalla quale il pm Perduca è risalito ai Blangino. E qui viene il bello: la carne era stata macellata nello stabilimento di Fignataro Maggiore, provincia di Caserta. Carne di bovini slavi fatta passare per nostrana, successivamente acquistata dall'Anna (l'azienda di Stato per l'intervento a sostegno del mercato agroalimentare) per conto della quale il gruppo Blangino l'aveva ufficialmente esportata in Slovenia. La frode nei confronti dell'Aima consiste nell'aver venduto all'azienda statale carne che non poteva esserle ceduta, perché non si trattava di produzione nazionale e per la quale i Blangino ce Blangino avevano pure evitato di pagare il 19 per cento d'Iva (dichiarando che l'importazione era provvisoria). In Slovenia, poi, i quarti anteriori furono cotti e reimmessi sul mercato italiano con nuove esenzioni doganali, mentre quelli posteriori, più pregiati, sono stati trasferiti ad Avigliana in deposito temporaneo come merce proveniente da altro Stato e quindi, per il momento, non soggetta ad imposta. Eppoi c'è il problema delle certificazioni sanitarie: le sole che risultino alla Finanza provengono dallo stabilimento Promulska di Mureka Sobota. In ogni caso i timbri rinvenuti su scatoloni e documenti indicano date di scadenza del prodotto che risalgono ai mesi scorei. Il Gruppo repressione frodi della Finanza aveva già sospettato che alla Safim (magazzini in cui vengono stoccati prodotti alimentari di ogni tipo) si desse una mano al contrabbando e vi aveva già svolto alcuni accertamenti nell'estate scorea. La società lavora su licenza della dogana ed è stata la circoscrizione doganale torinese ad avvisare il magistrato che i Crivello stavano per mettere all'asta i filetti dei Blangino, avvalendosi di un articolo del codice civile che consentiva loro di rivalersi sul prodotto per recuperare le spese di stoccaggio. E' intervenuta anche il gip Silvana Podda. E i finanzieri, venerdì scorso, hanno scoperto che i container sospetti erano ben di più: dodici. Fermo ad Avigliana da più di un anno vi è anche un carico di frattaglie (ufficialmen te carne di qualità) che la Intermeat Trading Limited di Malta aveva ricevuto dal solito stabilimento in provincia di Caserta e aveva rispedito in Italia, via La Spezia, ad Avigliana. In attesa di farlo ripartire per l'estero. Destinazione finale, dopo l'ennesima tournée, il Mar Rosso: bocconi per i pesci. Intanto, grazie all'ipertraffico, i Blangino hanno intascato 50 miliardi di premi Cee per «l'esportazione di qualità». Sempre più difficile la situazione alle Vallette Dice il direttore che nell'inferno delle Vallette sono prigioniere persone colpevoli dì reati, «ma a cui è giusto, comunque, offrire una seconda possibilità». E che in cella finiscono tanti delinquenti, ma anche «un sacco di poveri cristi». Daniel Salis, anni 23, professione camionista, sposato con una figlia, era uno di loro, un povero cristo finito dentro per furto. S'è ucciso in un pomeriggio di questo grigio maggio di pioggia, dopo l'ora d'aria in cortile. E a quelli che avrebbero dovuto avvertire la famiglia, è sembrato tempo perso spingersi fin in via Guido Reni 208. loggio di via Guido Reni, ricorda Daniel come «un ragazzo d'oro, sano, forte, pieno di voglia di vivere e di amore per gli altri». E stringendo nelle mani il fazzoletto intriso di lacrime esprime tutta la rabbia che ha dentro con tre parole: «Qualcuno deve pagare». Pagare per quelle lunghe ore di silenzio seguite alla morte del marito, per la mancata vigilanza su di lui dopo il primo tentativo di suicidio, perché ormai sono passate più di 24 ore e lei non ha potuto neanche andare a piangere sul corpo del suo uomo in ospedale. E' il secondo suicidio in due settimane, alle Vallette. L'11 maggio scorso un altro recluso, Alfonso Manilio, 57 anni, si era impiccato in questo carcere costruito per 700 detenuti che ora, pochi anni dopo l'inaugurazione, ne ospita più del doppio, 1700. La situazione è esplosiva. Difficile al punto da spingere il direttore, Vincenzo Castoria, a chiedere provvedimenti: «Forme alternative di detenzione, o una legge per rivedere i casi di obbligatorietà Gianni Armand-Pilon