Cancan all'Inferno

ORFEO E ORFEO E Cancan all'Inferno che dovrà così restare nell'Olimpo. Nella partitura di Offenbach ci sono pagine ben note: ad esempio il galop degli dèi con cui si conclude il primo atto, il cancan all'inferno, preceduto da un minuetto di gusto settecentesco (l'allusione è alle danze contenute nell'Orbo ed Euridice di Gluck), la romanza di John Styx «Quand j'étais roi de Béotie» e soprattutto il «duetto della mosca» in cui Giove corteggia Euridice facendo il verso della mosca, con uno di quei tratti di eccentricità che erano caratteristici di Offenbach e che conferivano un tocco surreale alle sue operette. In Orphée aux enfer-, d'altra parte, esistono anche elementi satirici molto precisi: l'Olimpo e i rienze nel settore, ma ti vengono subito in mente quei posti tipo lager, o stadio cileno, quelle cose lì, dove una fetta di umanità fa l'anticamera per qualche odioso orrore. Quando d'improvviso si accendono dei lugubri altoparlanti e una voce grida «Attenzione!», quello che ti aspetti è che poi dica «Le donne si portino sulla sinistra, gli uomini sulla destra», cose così. Per fortuna, più mitemente, dice di far silenzio e di non scattare fotografie. Il frastuono cala provvisoriamente di qualche decibel. Sgomitando mi guadagno un metro quadro vagamente libero. Dato che contro quel casino bisogna pur fare qualcosa mi infilo le cuffiette e attacco il Walkman. Baglioni. No. Annie Lennox. No. Paolo Conte. No. Cerco Bruckner, il mite organista che scriveva musica per Dio: dimenticato. Non rimane che Tom Waits. Vada per Tom Waits. Alzo il volume. Alzo gli occhi. L'hanno risciacquata, la Sistina. Ci hanno restituito il technicolor. spettato: Ruggero Leoncavallo. Al quale dunque riuscì la piroetta artistica dall'opera a questo genere più leggero non riuscita invece a Puccini il quale con La rondine (due allestimenti in questa stagione, a Torino e a Milano) rimase nel sentiero operistico. Steccati abbattuti e generi che si mescolano. E il Carlo Felice non è un'avanguardia sparuta. La sua Reginetta delle rose arriva dal Massimo di Palermo, ente lirico le cui stagioni sono da tutti lodate come le più interessanti d'Italia e che negli anni passati non si è risparmiato sul versante operettistico. Qualche titolo: La granduchessa di Gerolstein, La Belle Hélène, Eva, Monsieur Choufleuri e, con un'incursione nel repertorio in¬ suoi dèi litigiosi e ridicoli non potevano non ricordare ài parigini la corte imperiale di Napoleone III, così come il libertinaggio di Giove non poteva non suonare come un'allusione alle ben note avventure fernminili dello stesso Napoleone; il rovesciamento del mito, in cui Orfeo ed Euridice vengono presentati come una coppia borghese dalla difficile convivenza e in cui la riunione della coppia avviene per imposizione dell'Opinione Pubblica, costituisce una trasparente satira delle convenzioni sociali dell'epoca, che erano imposte all'alta società in parte dal conformismo cattolico instaurato durante il Secondo Impero e in parte dal bigottismo che l'Imperatrice Eugenia non mancava di esibire in ogni occasione (celebre la sua disapprovazione, pubblicamente manifestata in teatro, nel 1867, alla prima rappresentazione di Don Carlos di Verdi, in cui appare un amore vietato e «incestuoso» fra Don Carlo e la matrigna). Fra i molteplici obiettivi della satira offenbachiana, infine, ce ne fu anche uno culturale: Orphée aux enfers venne considerato come una dissacrazione del classicismo che faceva parte della cultura ufficiale parigina e che suscitava l'avversione degli intellettuali progressisti (Baudelaire manifesta a più riprese, nei suoi saggi, un'ironica intolleranza per il classicismo letterario). A questo proposito accadde un episodio curioso: il critico Adolphe Jullien protestò per il tono ironicamente pomposo con cui Giove, nell'operetta, si esprime a proposito dell'Olimpo; ma il librettista Crémieux e Offenbach gli risposero prontamente, comunicando che avevano tolto le parole di Giove direttamente da un articolo «classicista» dello stesso Jullien. Orphée aux enfers, con le sue 228 repliche, ebbe dunque un effetto dirompente nella società pa¬ glese di Gilbert e Sullivan, Il Mikado. Ma non basta, le carte si rimescolano ulteriormente ed ecco avanzare il musical, il cugino americano, che addirittura quest'anno inaugura la venticinquesima edizione del triestino Festival dell'Operetta. Il 15 giugno il sipario si aprirà su Porgy and Bess, nella stessa edizione americana che ha appena debuttato al Bellini di Catania, altro tempio della Urica che si abbandona al moderno. Il programma triestino si completa con altri due titoli più classici anche se poco frequentati: la Giuditta di Lehar e La ballerina Fanny Elssler di Johann Strauss. Di contorno gala, concerti e tre rassegne cinematografiche dedicate a Elsa Merlini, Deanna Durbin rigina del Secondo Impero, ma ciò non scalfì ininimamente il successo dell'operetta. Offenbach venne così a trovarsi in una ambigua posizione, che conservò fino alla caduta di Napoleone DJ: da un lato gli era consentita la più ampia libertà di satira nei confronti della società contemporanea, non esclusa la stessa corte imperiale; d'altro lato, questa stessa società non aveva scrupoli ad accogliere Offenbach fra i suoi bemamini, in nome del divertimento. Lo stesso Imperatore, nel 1860, volle assistere a uno spettacolo interamente offenbachiano in cui, oltre a Orphée aux enfers (i cui costumi erano stati disegnati dal celebre pittore ed illustratore Gustave Dorè), erano inclusi l'operetta Le Violoneux, una scena del balletto La Sylphide danzata da una star dell'Opera, Emma Livry, e la farsa Le Musicien de l'avenir nella quale Offenbach prese di mira Richard Wagner, il cui Tannhauser venne fischiato in quello stesso anno all'Opera (Wagner ricambiò con un libello velenosissimo, in cui la sua antipatia per Offenbach era rafforzata dall'antisemitismo). Con i proventi di Orphée aux enfers, Offenbach non soltanto rime- e Busby Berkeley, il padre di tutti i coreografi di film musicali americani. E per chi volesse una ulteriore prova della rivalutazione ufficiale del genere, ecco la storia de L'operetta scritta da Claudio Casini, il musicologo recentemente scomparso. Essa occupa circa 400 pagine del quarto volume (dedicato ai generi musicali tra recitazione e canto, fino al «musical») della monumentale Storia dello spettacolo musicale in preparazione alla Utet, diretta da Alberto Basso. Ne anticipiamo qui accanto un brano dedicato a Orfeo all'inferno di Offenbach. Sergio Trombetta Offenbach, autore di «Orfeo all'inferno» A sinistra: Gianandrea Gavazzeni che riproporrà a Genova «La reginetta delle rose» di Leoncavallo dio alla situazione difficile dei Bouffes Parisiens, ma acquistò una villa sul mare ad Etretat (la chiamò «villa Orfeo»). La versione comunemente conosciuta dell'operetta, tuttavia, non è quella del 1858 (che d'altra parte venne quasi subito rimaneggiata da Offenbach), ma quella del 1874, realizzata dall'autore nella fase declinante della sua attività, successiva alla fine del Secondo Impero. Nella versione del 1874 furono aggiunti cori e balletti, un'introduzione al primo atto. (...) Nelterzo atto furono inclusi anche la scena dei giudici dell'inferno e il coro di poliziotti. Claudio Casini Un monumento ossessivo a un totemico e rovinoso incubo: il peccato. Non si esce innocenti, da lì. Centinaia di metri quadrati di immagini ti martellano come irresistibili spot rifilandoti in offerta speciale la più subdola delle merci: il complesso di colpa. Svicoli dal Giudizio Finale e finisci da Adamo ed Eva, la mela, il serpente, il castigo. Cerchi rifugio un po' più in là e caschi nel diluvio universale, altro castigo, spettacolare, una pulizia etnica in grande stile. Perfino quel gesto meraviglioso, Dio e l'uomo, le due dita che si sfiorano, icona impareggiabile, stampata lassù sul soffitto, e per sempre in tutti gli occhi cui è accaduto di vederla, perfino lei ha qualcosa di inquietante, sembra già un castigo anche quello, un castigo preventivo, c'è qualcosa in quel Dio che ci impedisce di vederlo semplicemente buono e padre: ha qualcosa dell'animale in agguato, ha dentro un'inquietudine che lo scompiglia. Non è un Dio felice,

Luoghi citati: Catania, Etretat, Genova, Italia, Milano, Torino