Chi «vespa» mangia ancora la mela di Giorgio Calcagno

Chi «vespa» mangia ancora la mela Chi «vespa» mangia ancora la mela Uno status symbol per politici senza complessi idea di libertà a basso costo che includeva un baluginio di benessere. Nell'Italia messa in ginocchio dalla guerra, l'uscita della Vespa indicò, per prima, una inversione di tendenza. E fu, sin dall'inizio, una trovata geniale. Come scrive Gian Luigi Falabrino nella «Storia della pubblicità italiana», «era stata progettata dall'ingegnere Corredino D'Ascanio, che doveva della haute: «C'è scritto un nome sul taccuino di papà / la Vespa prima dell'esame non verrà / maturità, maturità...» cantavano i ragazzi che dovevano sfibrarsi sulle traduzioni di Tucidide e i principi della termodinamica. Chi possedeva una Vespa sapeva di trovare una compagna per la gita al mare, passava davanti ai vari «muretti» disseminati nei pressi delle scuole italiane certo di contare sull'invidia dei suoi coetanei. Solo a metà degli Anni 50 la Vespa fu anche mezzo di trasporto, arrivò a sostituire, per molti lavoratori, la bicicletta, in qualche caso li dispensò dai faticosi viaggi familiari in corriera. La moglie? Due bambini? Tutti sul motorino e via. «Meglio una Vespa oggi che un'automobile domani», diceva lo slogan della Piaggio. Anche perché nessuno avrebbe osato pensare, in quella Italia delle 30 mila lire al mese, all'automobi¬ utilizzare un motore commissionato dal ministero dell'Africa Italiana, rimasto, con la fine della guerra e delle colonie, a riempire i magazzini della Piaggio». Costava meno di 100 mila lire quando per una Topolino ce ne volevano 700 mila. Arrivò sulle strade nel 1947, raffinato gadget per pochi benestanti. Nel '48 era già diventata il regalo della maturità per i rampolli le. Quel «domani» venne, più presto di quanto gli autori del manifesto avessero pensato. Ma la Vespa rimase, nell'immaginario dei giovani, che se ne facevano emblema, luogo privilegiato per riti di gruppo. «Chi Vespa mangia la mela», diceva il nuovo slogan degli Anni 70, strizzando l'occhio agli iniziati delle due ruote. Il club si faceva esclusivo, ritornava, a poco a poco, altolocato. Gli ultimi utenti della Vespa sarebbero stati famosi giornalisti, uomini politici senza complessi, titolari dell'unico blasone redditizio nella Roma degli Anni 80: status symbol alla rovescia per muoversi più speditamente nel traffico ed esibire, insieme, la propria spregiudicatezza. Fino a Nanni Moretti, che recupera la Vespa nel suo «Diario». Brr brr, come gira, quel regista. Giorgio Calcagno

Persone citate: Corredino D'ascanio, Gian Luigi Falabrino, Nanni Moretti, Vespa

Luoghi citati: Africa Italiana, Italia