Ruanda, anche l'onu si arrende di E. St.

I miliziani l'avevano avvertito: se resta nell I miliziani l'avevano avvertito: se resta nell Ruanda, Si combatte a Rigali, l'inviato di Ghali rinuncia RIGALI. Il primo tentativo dell'Onu di fermare il massacro in Ruanda è fallito in poche ore. Iqbal Riza, inviato speciale delle Nazioni Unite, ha interrotto la mediazione appena inziata tra il quartier generale dei ribelli tutsi (fronte patriottico ruandese, Fpr) a Mulindi (Nord) e la capitale Kigali, dove avrebbe dovuto incontrare i capi dell'esercito governativo (a maggioranza hutu). Poche ore dopo giungeva notizia di colpi di mortaio sparati sul quartier generale dell'Onu a Kigali. Riza se ne è tornato in Uganda, da dove era partito di buonora. Giunto a metà strada, i rappresentanti dei due schieramenti in guerra gli hanno infatti comunicato che non avrebbero garantito la sua incolumità. Eppure i ribelli e i governativi avevano garantito l'altro ieri, al momento di proclamare una tregua di 34 ore, che avrebbero fatto di tutto per facilitare la missione dell'Onu. Ma a Kigali infuria la battaglia. A Mulindi l'inviato dell'Onu ha incontrato il segretario generale Kanyarengwe, ma non ha visto il capo militare Kagamè. «Colloqui infruttosi», ha detto Riza. E' stata solo virtuale la tregua concordata dall'Onu: in Ruanda si è ripreso a sparare immediatamente dopo l'entrata in vigore del cessate-il-fuoco. Ieri la capitale risuonava sinistratamente dei colpi di mortaio e delle mitragliatrici. Dopo la conquista dell'aeroporto e della base militare governativa di Kanombe, la milizia del Fronte Patriottico Ruandese ha segnato un altro punto di grande valore simbolico: ha preso possesso del palazzo occupato L'ULTIMA TRAGEDIA AFRICANA SSUD-EST DEL RUANDA ONO là, a qualche decina di metri dalla strada, dietro una casa. Alcuni sono coricati, altri riposano contro i banani. Tutti hanno le braccia legate dietro la schiena. Non si muovono. I loro visi non esprimono nessuna paura. Sono trenta, quaranta, forse cinquanta. Le larghe foglie dei banani, cullate dal vento, li ricoprono come un lenzuolo mortuario. A volte un raggio di sole rivela un dettaglio: un pugno contratto, una testa posata su una spalla, l'ultima genuflessione del condannato al supplizio che chiede la graziaImmobili, pietrificati, i loro sguardi fissano uno stesso orizzonte. Quello della morte. La più indegna, la più insopportabile, la più rivoltante delle morti. Sono bastati pochi secondi. Un colpo di machete, una raffica di mitragliatrice, le lance: le teste sono state decapitate, i corpi piegati, i fianchi aperti. Ci sono stati dei gemiti poi, dolcemente, prima ancora dell'ultimo rantolo, la terra ha cominciato a bere il sangue versato. Sono là, immobili da giorni. La loro pelle secca si tende sugli scheletri. Non parlano, non si muovono. Non hanno più occhi, soltanto orbite spalancate. I loro sguardi sono abissi vertiginosi. Tutti raccontano la stessa storia. Una storia indicibile... Il villaggio si chiama Birenga. Una strada asfaltata lo attraversa da un capo all'altro. A sinistra, Kigali. A destra, la Tanzania. Un tempo, qui, si rideva, si parlava, si scherzava con i viaggiatori di passaggio. C'erano dei chioschi per bere. I bambini inseguivano le macchine, i cani abbaiavano, le mani si alzavano per salutare. Birenga non è che una tomba. I corpi stesi all'aria aperta cuociono sotto il sole. Qualche panchina è rimasta in giro. Le porte delle case sbattono al vento. In ogni casa, decine di cadaveri marciscono lentamente. Donne, uomini e bambini ammucchiati alla rinfusa. Alti nel cielo azzur- fino al 6 aprile dal presidente Juvenal Habyarimana. L'aereo su cui viaggiava si schiantò, per cause ancora imprecisate, quasi nel cortile del palazzo, e la sua morte ha scatenato la nuova ondata di violenza tra hutu e tutsi che sta insanguinando il paese centro-africano. Intanto si fa l'inventario i danni all'aeroporto, che sono assai ingenti. La base di Kanombe che i governativi hanno abbandonato ieri è piena di cadaveri di soldati, come si era temuto. Nella base sono stati trovati una dozzina di batterie anti-aeree e molti mortai. Il capo della milizia del Fpr, il generale Paul Kagame, ha imputato alle truppe governative la rottura della tregua: «Stamattina le forze del governo ruandese hanno infranto la tregua e noi abbiamo risposto». Trecentomila persone. Tante vivono al campo profughi di Benaco in Tanzania, uno dei luoghi dove si ammassano i civili del Ruanda: il confine tra i due paesi è solo a 16 chilometri. Lì, a dirigere la distribuzione del cibo, c'è un operatore italiano della Croce Rossa, Marco Onorato: «E' un lavoro duro», spiega, e racconta che l'organizzazione logistica per provvedere del minimo vitale questa enorme massa di persone disperate ha avuto bisogno di uno sforzo organizzativo enorme: centinaia di camion, aerei e navi. L'affluenza al campo continua nell'ordine di diverse migliaia di nuovi profughi al giorno. E' un intero Paese che si sta muovendo in una migrazione biblica, per sfuggire ad un mattatoio che ha già fatto mezzo milione di morti. [e. st.]

Persone citate: Donne, Ghali, Iqbal Riza, Juvenal Habyarimana, Kagamè, Kanyarengwe, Marco Onorato, Paul Kagame, Rigali