Spadolini nel consiglio?

Spadolini nel consiglio? Spadolini nel consiglio? ROMA. Giovanni Spadolini nel consiglio d'amministrazione della Mondadori? La notizia ò rimbalzata ieri nell'aula di Palazzo Madama poco dopo l'intervento di Silvio Berlusconi. L'ex presidente del Senato diverrebbe amministratore della casa editrice - che oltre all'attività libraria pubblica fra l'altro Panorama ed Epoca con la funzione di garante e di controllore della separazione tra gli interessi privati di Silvio Berlusconi e la sua nuova carica di presidente del Consiglio. Giovanni Spadolini interpellato sulla questione non ha né confermato né smentito la notizia: «No comment» ha risposto a chi gli chiedeva conferme. La questione delle garanzie era stata posta dal presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro nell'affidare l'incarico al leader di Forza Italia. In materia di norme antitrust Berlusconi ha già nominato tre saggi. [r. i.] notizie che mi riguardano - spiega -: il mio atteggiamento lo annuncerò oggi. Sicuramente, non voterò la fiducia». No secco, invece, da Francesco De Martino. Per la maggioranza qualche speranza arriva dal gruppo misto. Voterà contro Roland Riz (Svp) mn Cesare Dujany, senatore della Val d'Aosta, lascia la porta aperta: «Ho preso atto che uno dei principi a cui intende ispirarsi il governo è quello di una migliore articolazione dello Stato attraverso l'autogoverno locale». Però, continua, «non vengono fomite indicazioni su come realizzare questo obiettivo. Tanto più che non si fa alcun cenno al rapporto e al collegamento istituzionale con le regioni». C'è quel «però» a cui dare risposta ma un piccolo margine di manovra c'è. Poi arriva dai corridoi di Palazzo Madama la notizia che 6 dei 19 componenti del gruppo misto usciranno dall'aula al momento del voto. Un piccolo passo avanti per il Cavaliere. Ma alle 20,30 arriva la doccia fredda. La direzione dei popolari ! creto, filmato e visto dagli italiani, per giurare solennemente che non accadrà mai più, con enunciazione di misure anche draconiane nei confronti dell'eversione e del disprezzo per la democrazia, nei confronti del razzismo attivo che ieri ha sozzato i nostri occhi, inquietato i nostri animi, armato la nostra dignità di uomini pacifici ma non inermi. Conoscendo un po' l'uomo, possiamo dire con certezza che Berlusconi è un sincero democratico liberale. Ma ieri, proprio ieri in quella posizione cosi sognata, così straordinaria, avrebbe potuto dire di più e forse avrebbe dovuto. Nel suo discorso la parola «fascismo» compare un'unica volta. In compenso, se non ci siamo distratti, la parola «comunismo» non compare mai. Però, nell'unica citazione Berlusconi l'ha usata a proposito e con efficacia quando ha detto che questo governo «si riconosce senza l'ombra del sia pur minimo dubbio nella base giuridica e di principio rappresentata dalla Carta costituzionale del '48». E poi ha aggiunto che «dopo la sconfitta del fascismo in Europa, la scelta della democrazia co: ne regola vincolante e come supremo valore dell'azione liberale» è «l'orizzonte comune» di tutta la maggioranza, dunque ex missini compresi. Questo è stato tutto e non è stato, a parer nostro, affatto poco. Ma l'obiettivo mancato è stato quello che ogni destra liberale e conservatrice deve risolvere nella sua area, marcando per suo conto la distanza dalla destra eversiva. E ritorce al pds l'intervista che Massimo D'Alema ci dette su questo giornale prima delle elezioni, quando accettò la piena legittimità sia degli ex missini che dei neocomunisti in una divisione bipolare della politica. E cita le parole: «Abbiamo rimesso in circolo forze più radicali, come ci sono in tutte le democrazie, e preparato le condizioni per un futuro bipartitismo. E' una dinamica virtuosa». Se la logica ha un senso, argomenta aristotelicamente Berlusconi, l'opposizione «non ha alcun diritto di proporsi l'obiettivo di impedire che il Paese sia governato», in l'orza di una delegittimazione pe; la presenza dei «postfascisti». Silvio Berlusconi ha realmente tratteggiato con coraggio ed efficacia le linee generali di un governo liberale ed ha più d'una volta citato, fra le piaghe, razzismo e antisemitismo, tessendo l'elogio della tolleranza politica e della tutela di ogni minoranza. Ed ha giocato con accortezza l'impegno antimafia del governo, citando il sacrificio dei giudici Falcone e Borsellino, ciò che ha costretto l'opposizione, molto riluttante e annuncia il voto contrario. Lo fa con un comunicato molto duro: «Il discorso di Berlusconi costituisce una elencazione di argomenti, una somma di promesse in tutte le direzioni e a tutti i soggetti sociali, senza indicare gli strumenti attraverso cui il suo governo intende realizzare il programma. Si tratta di un discorso a forti tinte propagandistiche, che non scioglie nessuno dei nodi sollevati criticamente dal ppi». Una decisione che il capogruppo del Senato Nicola Mancino confermava prima dell'inizio della riunione del gruppo - a cui ha partecipato anche Giulio Andreotti - e che anche il «dissidente» Guido Folloni ratificava. Porta in faccia invece dai progressisti. Stefano Passigli senatore di Ad annucia il voto contrario del suo gruppo. Achille Occhetto spiega: «E' stato un discorso molto vago, anche se non privo di una certa sapienza nella costruzione volta esclusivamente a tentare di risolvere in chiave retorica le contraddizioni politiche e programmatiche della sua maggioranza». In incerta, ad alzarsi in piedi. E' stata una scena memorabile che forse le televisioni non hanno potuto mostrare nella giusta sequenza. Erano le 16,15 quando il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi cita per la quinta volta la parola «mafia», subito dopo aver indicato il rischio che il «pentitismo» possa trasformarsi «in una violazione flagrante delle regole del diritto». Poi dice: «Fra gli altri, due grandi magistrati di questa Repubblica hanno dato la vita nel segno della battaglia per la legalità e contro la mafia; è nel loro nome, nel nome di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino...». Non finisce la frase perché a destra e al centro, sui banchi della maggioranza, scoppia l'applauso. Sui banchi della sinistra si vede perplessità: che facciamo, ci accodiamo? Meglio di no. Teste chine e basta. Ma ecco che dai banchi del governo il sottosegretario Memmo Contestabile, taglia forte in grisaglia chiara, improvvisamente si alza in piedi. Perplessità anche nel governo. Che facciamo? Lo costringiamo a sedersi da solo? Risolve la Fumagalli Carulli., uie scatta in piedi. Passa la linea dello scatto e scattano tutti, Previti, Ferrara, D'Onofrio, Letta, sono tutti in piedi e anche la maggioranza è in piedi. Masticando amaro, l'opposizione è costretta a fare altrettanto, ma pochi se la sentono di aggiungere il loro applauso a quello delle destre. E' un momento, se possiamo dirlo da cronisti schiacciati come sardine in una specie di vecchio palco della Scala, di pena e tristezza per la sinistra, che sombra, anzi appare così povera di leader, di grandi vecchi, se si eccettua Francesco de Martino. Ma non ci sono più i Macaluso, i Chiaromonte, e così questo omaggio ai nomi di Falcone e Borsellino sembra quasi una sottomissione. Sulla questione del suo doppio ruolo, di padrone di reti televisive e di capo dell'esecutivo, Berlusconi è stato ruvido e frontale: «Tutto e possibile in termini di garanzie e di controlli, tranne una cosa: stabilire che un imprenditore non detiene gli stessi diritti politici di ogni altro cittadino». In altre parole: se non c'è una legge che mi impedisca di svolgere il mio ruolo politico, non potete accusarmi in alcun modo di agire fuori della legittimità. E' stato il punto più delicato e controverso, anche se l'uomo che ha fatto il sogno sostiene che per la fine di settembre porterà al Parlamento un disegno di legge per disciplinare i rapporti fra proprietà privata di strumenti di comunicazione e politica. Paolo Guzzanti

Luoghi citati: Europa, Falcone, Roma, Val D'aosta