Berardinelli contro i giovani poeti

Berardinelli contro i giovani poeti Berardinelli contro i giovani poeti cazione, con il descrivere con il raccontare. La poesia non doveva dir niente per principio e di fatto ha finito, nella seconda metà del Novecento, col non dire quasi niente». Ma facciamo un esempio, chi sono i poeti che hanno avuto un rapporto con la prosa? «Baudelaire è ancora molto ancorato alla prosa. Inventa la poesia moderna, ma è ancora legato alla tradizione classica. Descrive Parigi con una precisione da narratore. Però è stata più influente la sua teoria della poesia, che derivava da Edgar Poe. E' da questa teoria che è nato il simbolismo, che è nata la "poesia pura". Le avanguardie come il futurismo e il surrealismo sembrava che volessero compromettere il linguaggio con la realtà e gli oggetti. Invece hanno prodotto e incoraggiato un uso sempre più astratto e vuoto della scrittura letteraria. In tutta la cultura d'avanguardia c'è il rifiuto della narrazione, della rappresentazione, dei nessi discorsivi». In Italia chi si è perso in questo uso astratto e vacuo della parola poetica? UN mare di polline, un mare di parole. Poesia come intrico selvaggio, come vegetazione soffocante. Poesia che dice tanto e non dice niente. Antologie che dovrebbero essere sterminate tanto grande è la quantità della poesia italiana. Poesia effimera e volatile come polline, come polvere. Poesia, dunque, che, al massimo, fa sternutire. Non viaggiamo verso la catastrofe poetica, già ci viviamo. Alfonso Berardinelli nella sua ultima raccolta di saggi La poesia verso la prosa che uscirà a giorni da Bollati Boringhieri lancia la sfida per una poesia migliore. Il male della nostra poesia è la lirica, sostiene il cinquantaduenne saggista romano, non nuovo alle provocazioni con i suoi libri e interventi molto discussi come «L'esteta e il politico». Un eccesso di visioni e di suggestioni, di immagini inutili e inafferrabili occupa una larga parte della nostra produzione poetica. Berardinelli si interroga come mai i maggiori poeti del secolo, compresi Pasolini e Montale, abbiano dato il meglio di sé quando sono stati antilirici e prosastici. E stila anche pagelle con giudizi severi sugli scrittori contemporanei che hanno contribuito a far annegare nel virtuosismo tecnico, nell'astrazione ogni tentativo di esprimersi in versi. Ma quali sono i limiti del «lirismo», che affligge il linguaggio della poesia moderna? «La mia in sostanza è una critica del gergo lirico. Intendiamoci: la lirica classica non era affetta da lirismo. Il lirismo è un fenomeno di aureole poetiche artificiose, di maniera. In Italia il fenomeno si è enormemente potenziato con tutta la fase ermetica. Ma era uno stile europeo, veniva dal simbolismo. Ad un certo punto, dai simbolisti agli ermetici e a tutti i fenomeni di poesia pura, orfica e misteriosofica, c'è una moltiplicazione dell'aura, una sovrapproduzione di incanti e fascinazioni. Col tempo e il minore genio degli autori tutto questo finisce in dolciastre o pretenziose vacuità». E il rapporto con la prosa? Quando e venuto meno? «Tutto questo è accaduto perché il genere lirico è stato tenuto a igienica distanza dalla prosa. Si allontanava, dalla prosa. Come se la lingua della poesia fosse una lingua assoluta e speciale, senza rapporti con la lingua d'uso, con la comuni¬ h In alto, a destra: Alfonso Berardinelli Qui accanto: Saba e Caproni «Le poesie dei Novissimi, per esempio. A parte Elio Pagliarani, gh altri, Giuliani, Sanguineti, Porta, Balestrini, sono informali e astratti, enigmatici per partito preso. In alcuni casi sono letteralmente illeggibili. L'avanguardia è l'altra faccia del "purismo" lirico. Naturalmente ci sono state eccezioni: come Palazzeschi e Majakowskij che usavano la poesia per dire quello che pensa¬ vano, e per questo i loro strabilianti giochi verbali sono così divertenti e intensi». E venendo ai nostri giorni, cosa è successo? «Molte responsabilità negli ultimi decenni sono di tipo teorico. Dagli Anni Cinquanta in poi, con libri come quello di Umberto Eco sull'"Opera aperta" fino alle avanguardie del tipo "Tel quel" in Francia (influenti in tutto il mondo) scrivere poesia voleva dire mettere in fila parole che dovevano assolutamente sfuggire al senso. Questa pratica doveva, nelle intenzioni, essere giocosa e eccitante. In realtà era prevedibile e noiosa. Tra l'altro in questo modo chiunque, con un po' di scaltrezza semiculturale, poteva farsi passare per poeta o antipoeta». Insomma non si salva quasi nessuno? «Nel libro cerco di far vedere che la poesia moderna è molto diversa dall'idea che ne hanno dato i teorici avanguardisti e strutturalisti. Nella poesia migliore del Novecento, la prosa circola molto. Già Baudelaire, più che un poeta "puro" era un poeta allegorico, era un satirico, un moralista. Poi molti dei maggiori poeti di questo secolo sono poeti che partono dalla prosa: Elhot, Brecht, Majakowskij, Saba, Machado, Kavafis, Williams, hr,

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