FIAT romanzo di Alberto Papuzzi

L'uomo religioso dall'antichità al medioevo [di sabatino moscati] o* Satira e politica: tra Rai Tre e Cuore ^11 referendum (lf/bestsellersO*/giochi dì bartezzaghi L'uomo religioso dall'antichità al medioevo [di sabatino moscati] o* Satira e politica: tra Rai Tre e Cuore ^11 referendum (lf/bestsellersO*/giochi dì bartezzaghi FIAT Romanzo CHI è «il Wattman»? E che cos'è il Bibendum! Chi inventò i «romanzi Fiat»? E perché ci affascina «il Vanguard»? Interrogativi che rimbalzano da un mondo ancora poco esplorato: quello dei rapporti fra letteratura e industria, fra scrittura e officina. Nella realtà italiana è un intreccio che si annoda agli inizi del secolo, con la comparsa dell'automobile, o della «vettura automobile», come si diceva a quel tempo, simbolo della modernità, immagine della velocità. A quel primo incontro seguono due stagioni: negli Anni Trenta e Quaranta, con la grande industria che promuove la sperimentazione linguistica e narrativa, e negli Anni Cinquanta e Sessanta, con i romanzi degli olivettiani, dal Donnarumma di Ottieri al Memoriale di Volponi. Mentre oggi ci si chiede che cosa potrà sostituire il mito della macchina e dell'officina nei cantieri dei nuovi scrittori. Su questo mondo accenderà i riflettori, da domani a giovedì al Lingotto di Torino, il XV Congresso internazionale dell'AisUi (Associazione internazionale per gli Studi di Lingua e Letteratura italiana, fondata e diretta da Vittore Branca). Tema appunto «Letteratura e industria». Quattrocento i partecipanti, da tutti i continenti. Dieci relazioni - fra cui quelle di Jean Starobinski e Alien Mandelbaum, che riceveranno lauree honoris causa -, circa 150 comunicazioni, tre tavole rotonde. Per l'occasione esce una eccezionale raccolta di documenti in gran parte inediti: Scritture di fabbrica, edita da Scriptorium, a cura dell'italianista Carlo Ossola, con saggi esplicativi di numerosi collaboratori. Più si ristampano due rarità: La nuova arma (la macchina) di Mario Morasso {Centro Studi Piemontesi) e La strada e il volante di P. M. Bardi (Scriptorium). Il Wattman è una figura che s'incontra proprio nella Nuova arma, pubblicato nel 1905 dal genovese Morasso, storico del diritto, teorico déU'Egoarchia, cioè della «assoluta sovrapotenza dell'individuo integro di fronte alla collettività». Il Wattman è il condottiero della civiltà elettrica, il campione del dinamismo tecnologico. «Anima di ferro», come l'automobile. Morasso anticipa «il prodigioso connubio fra la carne e l'acciaio» un decennio prima del Manifesto dei Futuristi. Ma il neologismo Wattman non ebbe successo e galleggia fra i relitti dei tanti naufragi che punteggiano l'incontro fra letteratura e industria. Buffa invece la storia di un altro di questi relitti, il citato Bibendum, vocabolo che compare in un Manuale pratico dell'au¬ tomobile edito da Mondami nel 1911, di cui dà conto la raccolta Scritture di fabbrica. Già nelle prime pubblicità della Michelin appariva il suo famoso colosso fatto di pneumatici, che beveva una coppa di chiodi dicendo: «Nunc est bibendum». Perciò quel gerundio latino stava a indicare l'uomo della Michelin, «per tutti gli automobilisti una personalità reale». Nel nostro lessico il termine è caduto, ma è rimasto nei vocabolari francesi come sinonimo gergale di ciccione o grassone. Curiosità di un fenomeno, il Wattman o il Bibendum, che era agli albori, ma che crebbe sotto la pelle della rondista cultura italiana: l'impulso neologistico dato dall'industria alla nostra lingua. «L'unificazione linguistica prima di essere fatta dalla Tv - dice Ossola - era stata tentata dall'industria». Quale sarà infatti il suggestivo titolo della relazione di Gian Luigi Beccaria? «L'automobile: un'officina di parole». Fra le due guerre, uno straordinario episodio, pochissimo conosciuto, è il tentativo di creare una «letteratura Fiat». Nel 1929 l'ingegner Gino Pestelli, già legato a «Rivoluzione liberale», presentava a Valletta un documento programmatico dell'Ufficio Stampa che segnava una svolta: «Il mondo Fiat non è soltanto un mondo di fatti meccanici ed economici, ma un mondo intellettuale e morale». Perciò bisognava «creare una vera e propria letteratura Fiat», capace di proporre «il romanzo Fiat, la novella Fiat, la storia Fiat, ecc.». Da queste premesse nascono due romanzi commissionati dalla casa torinese: Racconto di una giornata di Massimo Bontempelli (1931), dedicato alla «522» (ristampato da Lucarini nel '91), e La strada e il volante ter De Meijer, rettore dell'Università di Amsterdam, avrà per titolo «Letteratura e Industria: un tema italiano». Con tale eredità alle spalle trent'aimi dopo è inevitabile domandarsi: e oggi? Oggi che non siamo più nell'epoca dei motori e della meccanica, ma dei robot e dell'informatica, da che cosa è rappresentato il lavoro nella letteratura? Che cosa ha sostituito la fabbrica e il calibro? «L'industria fondamentalmente è il mondo della tecnica, ma con lo spostamento della fabbrica dai colletti blu ai colletti bianchi, da Mirafiori a Melfi, tutto si è livellato - dice lo scrittore Oddone Camerana, autore del racconto Le vacanze di Matte Trucco, l'ingegnere del Lingotto, e creatore se così si può dire di numerosi nomi delle automobili Fiat -. Di conseguenza il mondo della tecnica ha invaso la nostra vita: la scandisce, la condiziona. Ma la tecnica di per sé è fatta di conformismo, per cui il nostro linguaggio è diventato profondamente conformista. Allora che rapporto può avere lo scrittore con la tecnica? Ci ho pensato. Ci ho pensato... Se non vuole fare del giornalismo o della storia, deve scegliere delle vie parodistiche. Deve difendersi dal conformismo della tecnica. No, io non credo che i robot e i computer possano sostituire l'officina meccanica nell'universo letterario: non c'è più l'odore dell'olio, non c'è più il rumore del tornio. Ci sono invece i controllori di processo, che rendono tutto così uguale. Prima c'erano due mondi contrapposti, prima c'era una differenza da scoprire». Saranno d'accordo Starobinski e Mandelbaum, un Ottieri, un Raimondi, e gli altri quattrocento, sulla fine di un topos letterario nella società post-industriale? Da domani se ne discute. di Pietro Maria Bardi (1936), dedicato alla «1500». Una sfida che diremmo prometeica, nei primissimi Anni Quaranta, è il progetto di Ugo Gobbato, direttore dell'Alfa Romeo, di riordinare tutta la terminologia dell'officina in un universo nomenclatorio razionale e unificato, attraverso l'Enios (Ente nazionale per l'organizzazione scientifica del lavoro). Si trattava di ehminare le «brutture» che impedivano una comunicazione trasparente dalle Alpi al Lilibeo: i dialettismi come lardone, nome piemontese di una morsa, o i tecnicismi come postergarsi, detto d'una voce dì bilancio. Il progetto si saldava con le direttive fasciste per una lingua autarchica, che obbligavano a dire «telaio» invece di chassis, cosa che in effetti si fa, o «trasformabile» invece di cabriolet, rimasta una pia intenzione. L'interesse dei romanzieri per il mondo dell'industria, passati i furori futuristi, era invece tiepido. L'unico caso, se si toghe l'eccezione di Bontempelli e Bardi, fu Tre operai, 1934, di Carlo Bernari. E' soltanto dopo il ritorno della democrazia, attraverso le esperienze del Politecnico di Vittorini e di Civiltà delle macchine di Leonardo Sinisgalli, che si sviluppa la grande stagione della letteratura indù- striale italiana. Ed eccoci al Vanguard, mitico motore americano, emblema di un tragico destino, che compare nel romanzo A proposito di una macchina, di Giovanni Pirelh, pubblicato da Einaudi nel 1965. Siamo già al culmine di un lungo percorso cominciato con Tempi stretti, di Ottiero Ottieri, ambientato nelle fabbriche metalmeccaniche milanesi, che apparso nel 1957 sarà ora ripubblicato da Giunti. Formatosi alla scuola di Adriano Olivetti, lo scrittore ci riprovò con Donnarumma all'assalto (1959), storia di una battaglia sindacale, e con un Taccuino industriale (1961) sul Menabò di Vittorini e Calvino. Ottieri parteciperà al convegno del Lingotto, in una tavola rotonda su «Poeti e narratori dell'età industriale», con Paolo Barbaro, Oddone Camerana, Giovanni Giudici e Luigi Davi. Quest'ultimo rappresentò nel 1959 il primo caso di operaioscrittore, con il racconto Uno mandato da un tale, apparso anch'esso sul Menabò. Non vedremo al convegno invece un altro famoso olivettiano: Paolo Volponi, autore nel 1962 dell'affascinante Memoriale. Ritornando ai motori, la più bella descrizione che se ne abbia, nella letteratura italiana, è forse quella di un enorme Diesel in Una nuvola d'ira di Giovanni Arpino, romanzo del 1962 sulla Torino operaia. Quella folgorante stagione si esaurì in pratica con il Sessantotto (di lì scaturirono il Vogliamo tutta di Balestrini e la Tuta blu dell'operaio Di Ciaula). Nella storia della letteratura europea è un caso unico, infatti la relazione conclusiva del convegno, affidata a Pie- fi] |1 premio grinzane cavour II Premio Grinzane Cavour e la Seal Divisione STET 1 d'imesa eon il Minisiero dcgli AITari Esteri, promuovono al Salone del Librp il Convcgno: LETTERATURA E PUBBLICITA': IL TESTO E IL MESSAGGIO Relatori: Achcng Bernard Henri Levy Christian Bourgois Llligi Malerha Mauri/in D'Adda Leonardo Mondadori Ciillo Doilies Ben Okri Jean D'Orniesson Giuseppe Pontiggia ;! Gianluigi Falabrino Emilio Tadini Inge I'elirinelli Annamaria Testa Morion L. Janklow Fernando Vega plmos :', Alberto Vilale i Coordlnaiori: ! Gjumpaolo I-'abris e Stelano Rolando Torino. 20 maggio I9W Alberto Papuzzi

Luoghi citati: Grinzane Cavour, Melfi, Ossola, Torino