polemica. L'economista-filosofo Amartya Sen: non è il maestro dei profittatori di Maurizio Assalto

polemica. L'economista-filosofo Amartya Sen: non è il maestro dei profittatori polemica. L'economista-filosofo Amartya Sen: non è il maestro dei profittatori Liberisti, non tradite Adam Smith «L'egoismo fa male agli affari, meglio la morale» f\I HI lia detto che l'egoismo è I 'la molla dello sviluppo ecoI nomico? Adam Smith, ri1 i sponderanno le schiere di \A I liberisti che si riproducono con ritmo direttamente proporzionale ai successi elettorali delle destre. E citeranno il passo, famosissimo, dell'indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni: «Non è certo dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dal fatto che essi hanno cura del proprio interesse. Noi non ci rivolgiamo alla loro umanità, ma al loro egoismo». Vi pare di averlo già sentito, vero? Infatti ò r«aforisma più citato fra gli economisti», ripetuto «con tale insistenza da indurre a chiedersi se vi sia qualcos'altro di Smith che venga ancora letto»: chi avanza il perfido sospetto e- Amartya Rumar Sen, economista bengalese trapiantato negli Stati Uniti, in un articolo su «Codici morali e successo economico» che compare sull'ultimo numero della rivista II Mulino. «11 macellaio, il birraio e il fornaio - spiega lo studioso, dando voce alla \wlgata - vogliono guadagnare del denaro da noi, e noi, consumatori, vogliamo la carne, la biira e il pane che essi vendono. Lo scambio è di beneficio per tuttiNon sembra che vi sia necessità dalcun codice morale per porre in atto vantaggi a favore di tutti i partecipanti. E' sufficiente soltanto un po' di "egoismo" da parte nostra, e poi si può affidare al mercato icompito di realizzare degli scambreciprocamente vantaggiosi». Tutto molto semplice: troppo. Semplicistico, e pure fuorviarne, secondo Sen. Adam Smith ne esce stravoltoPossibile che «un infaticabile professore di filosofia morale» come lui fosse «un accanito denigratore» dell'etica? Impossibile, è la risposta, tanto più se ci si volge all'intera opera del classico economista scozzese, e in particolare alla fondamentale Teoria dei sentimenti morali, in cui è esaltata la necessità che nelle relazioni sociali prevalgano atteggiamenti squisitamente antiegoistici come la simpatia, la generosità e il senso della collettività. Questo l'avevate già sentito citare? Difficile, perché la scienza economica moderna, dice Sen, sembra dare per scontato che «le buone prestazioni sul piano degli affari si basinsul tenace perseguimento del proprio interesse», e che osservare ucodice morale possa essere di giovamento per la propria anima, pernon contribuisca punto e anzi ostacoli il successo economico. Ma davvero così? Amartya Sen - doppicattedra a Harvard, nel dipartmento di Economia e in quello dFilosofia, da sempre impegnato necercare un collegamento dellscienze economiche con la moraleAdam Smith e per questo insignito quattro anni fa del prestigioso «Premio Giovanni Agnelli per la dimensione etica nelle società contemporanee» - è convinto del contrario. In primo luogo le attività economiche non si riducono alla sola forma dello scambio: e la produzione? Qui si impongono valori cooperativi tipicamente antiegoistici come «una coscienziosa operosità, l'affidabilità in assenza di controllo e la cura per l'efficienza»: i successi del capitalismo giapponese si spiegano proprio con il particolare ethos di quella nazione, con l'eredità dell'etica confuciana e l'osservanza di regole che non tendono soltanto alla massimizzazione del profitto. In secondo luogo, ammesso l'interesse individuale come movente dello scambio, resta il fatto che anche in questo ristretto ambito l'egoismo rischia di essere controproducente, perché il suo esclusivo perseguimento minerebbe la fiducia delle parti: e «se le attività commerciali si basassero esclusivamente sul ricorso alla legge, diventerebbero estremamente costose e penosamente lente». In conclusione: i codici morali non solo possono contribuire al successo economico, ma anzi ne sono una condizione essenziale. La loro osservanza semplificherebbe le procedure del sistema produttivodistributivo, migliorandone le prestazioni complessive e tagliando le basi ai fenomeni di mafia e corruzione. Con la celebre osservazione sul macellaio-birrario-fornaio, Adam Smith si riferiva unicamente allo scambio e ai suoi aspetti motivazionali (non a quelli organizzativi e comportamentali). Altro che «supremo sostenitore dell'egoismo»; il maestro del liberismo rimanda i suoi allievi troppo precipitosi. Che ne pensa un liberista di vecchia data come Sergio Ricossa, autore qualche mese fa per Rizzoli di un provocatorio pamphlet (apparentemente egoistico) contro 1 perì coli della solidarietà! «Sono perfettamente d'accordo con Sen. Chi ha letto Smith sa che non esalta l'egoismo, ma si limita a constatare che e una componente della natura umana e può non essere nocivo. A tutti è chiaro che nel mondo degli affari contano anche l'onestà e la reciproca fiducia, ma l'abbiamo dimenticato». Per colpa dei liberisti? Per vari motivi, secondo Ricossa. «In primo luogo - spiega - perché gli economisti non hanno fatto il loro dovere: hanno inventato Yhomo oeconomicus, un'astrazione che non esiste nella realtà, un robot che non conosce la complessità dei sentimenti umani, che serve solo a applicare ossessivamente gli strumenti matematici e a conquistare le cattedre. In secondo luogo per colpa del marxismo, che ha introdotto l'idea della lotta fra le classi senza tenere conto che i lavoratori sono i migliori clienti dei produttori, e che nel lungo periodo non c'è contrasto di interessi: Henry Ford lo aveva capito, tanto è vero che raddoppiò le paghe ai suoi operai. Infine la fiducia sociale è stata distrutta dallo Stato, che è intervenuto nella sfera della libertà contrattuale fra le parti senza più limitarsi a vigilare sul rispetto degli accordi, ma pretendendo di stabilirne il contenuto, di decidere quale è la parte debole e quale quella forte. Come nel caso dei fitti bloccati: alla lunga ò stato snaturato non solo il diritto, ma anche i buoni rapporti fra le parti contraenti». Alla fine ci risiamo: tutta colpa dello statalismo. Ma non ogni forma di intervento pubblico è da condannare, stando a Smith: appropriarselo senza distinzioni, come fanno oggi molti liberisti, è una scorrettezza. E' quanto fa notare l'economista Paolo Sylos Labini, I che su <(Adam Smith e l'etica» ha Amartya Kumar Sen appena pubblicato un saggio nel volume collettivo L'economia della corruzione, curato per Laterza da Luciano Barca e Silvano Trento: «Il guru dei Chicago Boys, Milton Friedman, giustamente dal suo punto di vista, ha messo in guardia da Smith, consapevole che il suo è un liberismo condizionato: oltre che nella difesa e nella giustizia, prevedeva l'intervento statale anche nelle opere pubbliche e nell'istruzione elementare. Per un liberista sono idee difficili da digerire...». Adam Smith non era un vero liberista? «Lo era nel senso di smantellare tutti quei vincoli di tipo feudale - monopoli, privilegi - che impedivano l'ingresso sul mercato di nuovi soggetti. In lui non c'è il laisser faire, laisser passer: il suo liberismo non era un liberismo selvaggio, ma un fattore di progresso sociale». Proprio quello che vorrebbe promuovere, fra mille esitazioni, la nuova sinistra che ha abbandonato le ideologie? Oggi in Italia, da che parte starebbe Smith? «Diciamo che sarebbe un lib-lab: all'80% lib e al 20% lab. Fra l'altro, la sua lotta contro i monopoli ispira in qualche modo le leggi anti-trust, e anche una eventuale normativa che preveda maggiore apertura e trasparenza nelle società per azioni sarebbe coerente con le sue teorie. Ma i liberisti che ora sono andati al governo, da questo punto di vista, non sembrano troppo smithiani». Maurizio Assalto Sylos Labini: lontano dalle idee di destra, «padre» dell'antitrust Adam Smith Amartya Kumar Sen

Luoghi citati: Chicago, Italia, Stati Uniti