Sposate & sconfitte

sconfitte Vita, lavoro, affetti: il matrimonio penalizza ancora le mogli. Da uno studio francese dati e proposte sorprendenti Sposate sconfitte DA 20 anni con il divorzio, da 6 giorni con un ministero della Famiglia. Del divorzio gli italiani hanno di I mostrato di servirsi con saggia libertà; della nascita del nuovo ministero un notevole numero di italiani, come risulta dai primi sondaggi, sembra essere soddisfatto. Reazioni contraddittorie, confusione, una pericolosa tentazione a tornare indietro, a mettersi nelle mani non più dello Stato sociale, traballante sin che si vuole, ma di una sorta di «autorità»? Ci sarà da stare attenti, come con molta pacatezza invita, per esempio, Miriam Mafai, e ci sarà molto lavoro per gli studiosi forti, gente come Chiara Saraceno in testa, per capire e far capire quali reazioni il mutamento di rotta politica potrà provocare tra le pareti domestiche; quale tipo, imprevedibile, di «evoluzione» potrà avere il matrimonio, istituzionale o di fatto; di quante nuove rose e di quante nuove spine (Berlusconi docet...) sarà lastricato il cammino del mondo femminile, tutt'altro che vicino alla soluzione dei suoi problemi. Attente, signore. Più che mai. Perché se TaQeyrand, come ci ricorda Thomas Mann nella sua attualissima «lettera» Sul matrimonio, definiva la coabitazione un evento disastroso per entrambi i contendenti, «deux mauvaises humeurs pendant le jour et deux mauvaises odeurs pendant la nuit» (dove al secondo inconveniente si può ovviare, ma al primo difficilmente c'è scampo), il buon Engels nell'Origine delia famiglia, della proprietà e dello stato sostiene che in casa «l'uomo è il borghese mentre la donna incarna il ruolo del proletariato». Roba vecchia d'un secolo, profumo di marxismo sepolto? Non tanto, secondo Francois de Singly che al problema ha dedicato l'ultimo suo saggio Fortuna e sfortuna della donna sposata Ma la ptropponon il'affetto artner colta spira maschile in imminente uscita da Dedalo. Fatta salva una differenza sostanziale tra la cultura francese della famiglia dove la donna si propone prima di tutto come «moglie» e quella italiana nella quale il primato è della «madre», la ricerca del sociologo della Sorbona appare utile anche al di qua delle Alpi: magari con qualche sorpresa. Singly sa bene che alcune frange femministe anche del suo Paese ritengono impossibile riformare la vita coniugale, almeno del quadro della famiglia monogamica. Ma non si avventura su questo terreno, si pone invece la domanda fondamentale: se il matrimonio oggi arricchisca, o impoverisca, allo stesso modo la donna e l'uomo. «Nessun gruppo sociale osa affermarlo - scrive l'autore -, ma esiste più d'un sospetto che, sotto la maschera dell'amore e in nome delle differenze dei sessi, si continui a privilegiare l'interesse del maschio identificandolo con quello della famiglia». Altro che sospetto, e ciò avviene a tutti i livelli sociali. Statistiche relative agli Anni 70-85 indicano che l'uomo sposato ha, nella carriera, molte più chances dello scapolo mentre in campo femminile avviene il contrario. Nel matrimonio il bagaglio «culturale» femminile rischia ancora oggi perdite secche o, nel migliore dei casi, uno status quo che a poco a poco diventa inevitabile decadimento. Esemplari due situazioni di piccola borghesia, tra le tante proposte dal libro, spie di disagi ben noti ai «courrier du coeur»: la confessione di una stenodattilografa che dopo le nozze ha lasciato il lavoro per il ménage: «Mio marito ha avuto successo, io invece mi sento ai margini della società, mi trovo brutta, stupida, giro a vuoto, è vita questa?», e il rapporto un po' ragionieresco ma efficace di un'altra moglie diventata casalinga: «Quando lavoravamo tutti e due io guadagnavo 4000 franchi al mese e mio marito 6000, adesso lui ne guadagna da solo 10.000. La famiglia ha lo stesso budget, ma la mia "immagine" è distrutta...». Se il nodo del lavoro, e quindi dell'indipendenza economica femminile, è ritenuto da Singly centrale per i rapporti di coppia, non meno difficile gli sembra anche oggi il ruolo della donna-madre la cui angoscia sottolinea servendosi del lamento, quasi un urlo, della protagonista d'un romanzo di successo di Marie Cardinal Une vie pour deux: «Non conosco tenaglie più vincolanti, pinze più taglienti, cesoie più mutilanti. Ammirata, riconosciuta, rispettata, amata perché amputata di me stessa dallo spadino dell'amore, dalla lima dei baci, dal succhiello della maternità. Che assurdità!». La difficoltà del compito materno in un'organizzazione della vita femminile che chiede sempre più spazio per una compiuta realizzazione nel «pubblico» si ingigantisce, diventa quasi drammatica, di fronte all'importanza determinante, e Singly lo ribadisce, dell'appor¬ to culturale della madre nell'ascesa del figlio: «Uno studente delle superiori figlio di padre con alto grado di istruzione e di madre inferiore ottiene punteggi più bassi ai test d'intelligenza rispetto a uno studente in condizioni familiari opposte». Quindi, madri-zoccolo duro della famiglia, ma continuamente sacrificate, donne che diventano «invisibili» di fronte a uomini il cui unico sforzo è stato, negli ultimi 15 anni, di dedicare ogni giorno 15 minuti in più del loro prezioso tempo al tran-tran familiare. Peggio che andar di notte quando poi si esamina quello che viene comunemente definito, per la donna, «il bel matrimonio» poiché esso «genera in lei un sentimento di esclusione e l'unione rischia di diventare una fabbrica di George Dandin alla rovescia». La «sorpresa» nel saggio di Singly deriva dall'immagine che lo studioso ci offre delle donne «troppo» acculturate, quelle che i francesi ora chiamano «gonne-pantaloni» (ex «bas bleu» si presume) e che i continuerebbero ad avere forti dif¬ ficoltà nell'attrarre l'attenzione e l'affetto maschili, almeno nell'ambito di un matrimonio tradizionale. Stupore, oltre che sorpresa. Perché non saranno proprio loro, queste nubili per destino crudele, a voler fortemente, ad amare la propria condizione? Ci ripensi Singly poiché sembra proprio così e la conferma viene dall'analisi, da lui stesso compiuta, delle coppie che, sempre più numerose, si uniscono nella «convivenza» e nell'ambito della quale la vita dell'uno non «può» per definizione prevaricare quella dell'altro (quando poi la convivenza fin.; ce nel matrimonio le regole di comportamento sono state non solo gettate ma collaudate). Si tratta, insomma, di mettere in pratica quello che a metà dell'800 già era l'obiettivo di John Stuart Mill: «Avere una moglie visibile in un matrimonio invisibile». Un traguardo goloso: piace al sociologo della Sorbona, richiederà il placet del nostro ministero della Famiglia? Mirella Appiotii Ma la partner troppo colta non ispira l'affetto maschile La psicologa Silvia Vegetti Finzi e, a destra, l'avvocatessa Tina Lagostena Bassi. Sotto il filosofo e antropologo Umberto Galimberti