«Il nuovo ministero della Famiglia si occupi di risparmio e fisco» di Mario Salvatorelli

-~1 IL PUNTO «Il nuovo ministero della Famiglia si occupi di risparmio e fisco» ON mi stupisce, né mi suona sgradita, la creazione del nuovo ministero per la famiglia. Mi disturba, invece, l'uso della parola «famiglia» al singolare e l'aggiunta «... e solidarietà sociale». Così fa pensare a una via di mezzo fra la Conferenza di San Vincenzo e la Famiglia Cristiana, tanto più che è «senza portafoglio». Così scrive, da Padova, il lettore Antonio Zanon che, dopo altre considerazioni, in complesso favorevoli alla «novità», conclude: «Avrei preferito una definizione che per evitare equivoci, tanto meno illazioni, sul carattere "protettivo" (o di controllo) del ministero, mettesse più in rilievo l'aspetto economico-finanziario dell'Operatore famiglia». 1 Sono sostanzialmente d'acI cordo con il signor Zanon, in particolare sull'importanza che le famiglie hanno come «operatrici», economiche e finanziarie. I loro consumi sono pari ad oltre il 61 % del prodotto interno lordo, e al 52% delle risorse disponibili, le loro attività finanziarie (più «conosciute» come risparmio), superano di oltre il 55% il debito pubblico. E ciò nonostante l'anno scorso, come ci ha confermato in questi giorni il Rapporto Istat, si sia avuto «un costante aumento della pressione fiscale e contributiva sulle famiglie stesse e, per la prima volta, un calo dei loro redditi in termini nominali, corrispondente ad una perdita di potere d'acquisto pari al 5,2%». Questo spiega, in parte, la caduta della domanda interna, in particolare in alcuni settori, come l'acquisto di mezzi di trasporto. Rimane il fatto che la famiglia è il vero «operatore misterioso» di questo Paese, di cui ci si occupa, e di sfuggita, o quasi, solo due o tre volte l'anno, in occasione di tre «rapporti»: del governo, dell'Istat e della Banca d'Italia (in ordine di tempo), e, volentieri, mettendone in rilievo i lati consumistici. Anche il risparmio delle famiglie si preferisce citarlo addirittura in senso negativo; quello in Bot e altri titoli di Stato è stato a lungo criminalizzato quando gl'interessi dei 1 Stati I lizzò titoli di Stato erano «troppo alti», (perché si adeguavano all'inflazione e alla necessità di trattenere il risparmio all'interno). Oggi che gl'interessi sui titoli di Stato sono ridiscesi al più basso livello degli ultimi vent'anni, l'offensiva anti-risparmio si è acquietata. 2In sostanza, si ripropone, per le famiglie e i loro consumi (anche le spese per la salute sono considerate consumi e, a proposito, chi è informato che i prezzi dei farmaci in prontuario nel '93 sono scesi, sia pure appena dello 0,1%, ma quelli fuori prontuario sono saliti ben del 26,3 per cento?), si ripropone, dicevo, l'immagine del bicchiere colmo a metà: per il pessimista (o il malizioso) è mezzo vuoto, per l'ottimista (o l'osservatore imparziale) è mezzo pieno. Così, per le famiglie si parla più volentieri di propensione al consumo, anziché al risparmio. 3La pressione fiscale, diretta e indiretta, negli ultimi 14 anni ha ridotto da quasi il 76 a meno del 72% delle loro entrate complessive il reddito disponibile perle famiglie. Di conseguenza, «l'andamento della propensione al consumo - osserva l'Istat - che per tutto il periodo 1980-'91 sembrava rispecchiare essenzialmente decisioni autonome delle famiglie sulla destinazione del proprio reddito, oggi non può essere considerato del tutto volontario, ma piuttosto determinato dalla difficoltà di ridimensionare rapidamente i livelli di spesa. In parole povere, adesso è il fisco a decidere se si può fare una certa spesa». C'è da sperare che, prima di decidere, il ministro delle Finanze si consulti con il collega ministro per la Famiglia. SONO possessore di un Buono postale fruttifero "a termine", emesso il 17 giugno '85. Per maggiore chiarezza dei lettori, è uno di quei Buoni che alla scadenza di 6 anni raddoppiano di valore e dopo 9 anni lo triplicano. Recandomi presso l'ufficio postale di emissione del Buono per chiedere informazioni sulle modalità per la sua riscossione, con meraviglia ho appreso che non sanno se sulla somma da corrispondermi devono fare delle trattenute o no. Ed è questo che mi tormenta. Temo che nel dubbio mi venga fatta una trattenuta non dovuta». Condivido la meraviglia, non il timore del lettore S. P., che mi scrive da Palermo. La meraviglia, perché un ufficio postale dovrebbe essere munito del libretto «Il risparmio postale», emesso dalla Direzione generale dei servizi Bancoposta e dato a tutti i 14.500 sportelli. Non condivido il suo timore perché l'Ufficio postale al quale il nostro lettore si appoggia non potrebbe mai agire senza essersi informato prima del come deve comportarsi. E i Buoni postali «sia ordinari che a termine emessi prima del 21 settembre 1986 non sono soggetti ad imposta», com'è sottolineato in quel libretto. Il suo, caro lettore, rientra nei Buoni esenti. Se fosse stato emesso, invece, dopo quella data sarebbe soggetto alla trattenuta fiscale del 12,50%, che viene applicata solo all'atto della riscossione. Il rendimento dei Buoni, però, è stato «aggiornato» cioè ridotto, anche per quelli emessi prima di quella data. Così, il tempo perché raddoppino è passato da 6 a 7 anni, e perché triplichino da 10 a 11. Ma a questo punto i conti dovrà farli il suo ufficio postale, a meno che non vogliate rivolgervi alla direzione centrale dei servizi Bancoposta, viale Europa 190, 00144 - Roma Mario Salvatorelli elli |

Persone citate: Antonio Zanon, Zanon

Luoghi citati: Padova, Palermo, Roma