« Un urlo contro il silenzio » di Daniela Daniele
« QUELL'ITA' DEL MALESSERE « Un urlo contro il silenzio » Gli psicologi: in casa manca il dialogo ON soltanto l'età del malessere. L'adolescenza, nel paradosso di un futuro che si dovrebbe sentire a portata di mano, è il periodo più difficile della vita. E chi non trova appigli sicuri nel mare in tempesta alla ricerca di un'identità, finisce con una siringa nel braccio, o con una corda intorno al collo. Il suicidio della ragazzina di Bitonto è il nono, dall'inizio dell'anno. Tutti gli altri, tranne uno, sono stati messi in atto con lo stesso sistema: l'impiccagione. Il primo, a gennaio, è stato quello del «pastorello» di Oristano. Aveva 14 anni e non ce la faceva più a studiare e a lavorare. Ha cercato la pace in un vecchio cinema in disuso, impiccandosi. Nello stesso mese, un coetaneo di un paese in provincia di Milano si è appeso a una sciarpa nella sua cameretta. Aveva un anno di meno la ragazzina che, lo scorso febbraio, a Firenze, si è impiccata con una corda per saltare. Alla sua stessa età un ragazzo di Napoli ha voluto una fine orrenda, infilando la testa nello zainetto legato al letto a castello: aveva litigato con la mamma. La catena si allunga a marzo, quando una tredicenne si impicca a una porta di casa. Segue il caso del sedicenne di Matera che sceglie un altro terribile mezzo: si dà fuoco. Ad aprile è la volta di un diciassettenne che s'impicca a un albero perché 0 padre gli ha sfasciato il motorino, comprato con i primi guadagni. Il penultimo è un tredicenne catanese: si è impiccato, pochi giorni fa, perché la madre l'aveva sgridato per lo scarso rendimento a scuola. Ma che cos'è questa adolescenza che finisce in tragedia? La psicologa Maria Rita Parsi la interpreta come un disperato bisogno di comunicare: «Un momento di autoaffermazione, indispensabile alla crescita. La crisi con i genitori deve esserci, per consentire ai ragazzi di staccarsi, di avere una propria identità e, quindi, in seguito una vita propria». Così come una mela si stacca dall'albero, quand'è matura, per evitare di marcire sul ramo. E il suicidio? «E' una risposta urlata contro chi non dà segno di voler sentire». Perché l'impiccagione? «Sembra quasi un'esecuzione di se stessi. E' doloroso dirlo, ma certi epiloghi hanno lo scopo di colpire i genitori e nascondono una storia che affonda le radici nell'infanzia e nella mancanza di abitudine al dialogo». Gli errori che i genitori possono fare sono molti: per esempio, quello di essere permissivi al massimo e poi mettere freni improvvisi. A certe regole (orari, spiegazioni, dialogo a trecentosessanta gradi) occorre abituare i figli poco alla volta. «Inoltre - osserva la psicologa Tilde Giani Gallino -, vietare di vedere gli amici, a quest'età, è come far crollare il mondo addosso ai ragazzini che nel gruppo s'identificano, trovano forza, condividono il mondo». Permissivi o severi, dunque? Lo psichiatra Raffaele Morelli ammonisce: «Questi ragazzi sembrano adulti e non lo sono. Parlano da adulti, ragionano, da adulti, forse anche grazie alla televisione, ma sono fragili, bambini. E, stranamente, hanno bisogno di limiti: senza confini non riescono a identificarsi. Le regole e i modelli, però, occorre darli fin dalla prima infanzia. Se il divieto è improvviso, si rischia di suscitare in loro il desiderio di passare in un altro mondo, idealizzato, dove tutto è migliore». Sarà per questo che la piccola Carmela, nel suo biglietto, ha scritto: «Me ne andrò». Come se sapesse «dove». Daniela Daniele
Persone citate: Maria Rita, Raffaele Morelli, Tilde Giani Gallino
Luoghi citati: Bitonto, Firenze, Matera, Milano, Napoli, Oristano
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