Diario di un parà italiano «La mia guerra di Somalia» di Aldo Cazzullo

Diario di un para italiano «La mia guerra di Somalia» DA INDOSSATORE ASOLDATO Diario di un para italiano «La mia guerra di Somalia» ALLE sfilate di moda nelle discoteche italiane alla spiaggia di Mogadiscio, l'unica cosa che resta la stessa è il frastuono. Solo che nel primo caso lo fa il deejay, nel secondo le pale dei Cobra, gli elicotteri dei marines. Il resto è fame, miseria, corvée e sangue. Ti ricordi quella notte che il tuo amico americano fumava, durante la guardia, e il cecchino somalo, guidato dalla fiammella, l'ha centrato in mezzo agli occhi? Ti ricordi con quali occhi gli affamati ti ringraziavano per i viveri che gli portavi? Per non dimenticarselo, Vincenzo Ciancio, 23 anni, indossatore in Italia, para in Somalia, ha scritto il diario di cinque mesi da «combattente per caso». Che ora è il titolo del suo libro (edito dal manifesto), e presto sarà un film. «Ottavo giorno di servizio militare. Da volontario, nella Folgore. C'era un'esercitazione a Grosseto. Interrotta. Si torna nella caserma a Pisa. Ci dicono: "Dovete partire, si va in Kenya". Quando ci spiegano che la meta è la Somalia, è tardi per tirarsi indietro». La prima immagine della missione è un fotogramma di Hollywood. «Tutti quegli elicotteri, i blindati, le divise, i marines: ho pensato, questa è Apocalypse Now». Il film finisce presto. Comincia la vita, e ha la faccia di un bambino somalo gettato nella spazzatura. «Morto di fame, forse da poco. Eppure gli altri non l'avevano degnato di uno sguardo. Continuavano a tentare di venderci le catenine d'avorio». Il primo soccorso feriti. «Non ne avevo mai visti. Uno dei guerriglieri ha alla bocca una bava gommosa. Sull'elicottero sale anche lo stregone. Gli spruzza addosso un po' d'acqua e una cantilena». La prima volta che picchiammo i somali. «Maledetta quella volta. Ma abbiamo dovuto farlo. Volevano rubarci il cibo. Mi sono sentito male, mi sono chiesto: qual è la nostra parte? Noi siamo i buoni o i cattivi? Siamo qui per aiutare questa gente? O per procurargli altro dolore?». Il primo morto italiano, un ragazzo sventrato da un proiettile di Mg sparato da un commilitone, per sbaglio. E gli americani. Marines. Un mito. Un po' di soggezione a avvicinarli, all'inizio. «Poi il nostro Canfora batte alla lotta libera quel nero grande e grosso che chiamano Halloween, come la festa». Comincia un rapporto alla pari. No, non alla pari. Tra gli italiani c'è un maniaco delle armi, «Rambo», per tutti. Un giorno, un marine lo apostrofa: «Perché ti fai chiamare così? Hai già ammazzato qualcuno? No? Solo animali? Bene. Sai chi sono i Rambo nell'esercito americano? Quelli che hanno ucciso. Io sono un Rambo. Ho ammazzato ima donna incinta, dei bambini, a Panama. Un incidente. E ti assicuro che non è una bella cosa. Dammi retta, scegliti un altro soprannome». Gli americani. L'umanità e la potenza tecnologica. «Fu come un terremoto, il giorno che i Cobra spianarono un quartiere di Mogadiscio». I giornalisti. Come Carmen Lasorella, «che quando arrivò con una troupe della Rai le mostrarono solo una parte dell'accampamento, bella e ben sistemata, mentre noi stavamo in otto in una tenda». Questo almeno dice il diario di Vincenzo. Che però non è un libro antimilitarista; piuttosto un album di vita, una sfilata di facce e di uomini. Come i compagni d'arme. Canfora, Rambo, Caputo, «l'autista che vedeva sempre nero ma ogni volta ci portava fuori dai casini», e «quell'altro che una volta abbiamo fermato per un pelo, quando era uscito di testa per lo stress e aveva caricato il fucile contro il commilitone che fissava i turni delle corvée». E poi il Rossi, il somalo con la cittadinanza italiana che odiava la Somalia, forse perché non la sentiva più sua. Ma ora che le pale degli elicotteri sono ferme, e il frastuono è di nuovo quella della discoteca, cosa pensa Vincenzo? «Da bambino credevo che ognuno dovesse avere la sua guerra. A mio nonno è toccata la prima guerra mondiale, mio padre è cresciuto negli anni della seconda. Quasi tutti i ragazzi della mia generazione non lo immagineranno mai, però adesso so che anche a una guerra si può pensare, oltre che con rabbia, con nostalgia». Aldo Cazzullo

Persone citate: Caputo, Carmen Lasorella, Rambo, Vincenzo Ciancio