Lo yacht di Elisabetta e i banchieri «invisibili»: così destra e sinistra inventarono un mistero che non c'è di Mirella Serri

Lo yacht di Elisabetta e i banchieri «invisibili»: così destra e sinistra inventarono un mistero che non c'è Lo yacht di Elisabetta e i banchieri «invisibili»: così destra e sinistra inventarono un mistero che non c'è ACCANTO al mistero di Ustica un'altra vicenda mediterranea sta agitando le acque torbide della vita politica italiana. Che cosa accadde il 2 giugno 1992 lungo le coste del Tirreno? Che cosa faceva il Britannia, yacht della regina Elisabetta, nel porto di Civitavecchia? E quell'incrociatore inglese che manovrava elegantemente in mare aperto mentre il panfilo reale saliva dolcemente lungo le coste toscane in direzione di Livorno? E quegli anziani signori sportivamente vestiti che si scambiavano cenni d'intesa e strette di mano? E perché Mario Draghi, direttore generale del Tesoro, salì a bordo brevemente, mentre il Britannia era attraccato a una banchina del porto di Civitavecchia, per illustrare agli ospiti il problema delle privatizzazioni che il governo Amato avrebbe affrontato nei mesi seguenti? E chi erano infine i «British Invisibles» che avevano affittato lo yacht della regina per organizzarvi un incontro a cui parteciparono i maggiori esponenti delle partecipazioni statali italiane e della finanza internazionale? Se del «caso Ustica» ignoriamo tutto, sul «caso Britannia», in apparenza, abbiamo molte informazioni. Conosciamo il nome del proprietario della nave Elisabetta II, regina di Gran Bretagna - e quelli degli ospiti che salirono a bordo la mattina del 2 giugno per una «crociera di lavoro» nelle azzurre acque del Tirreno. Ma non sappiamo che cosa si siano detti e perché l'avvenimento venga a galla ogniqualvolta lo Stato italiano mette sul mercato uno dei propri «gioielli». Torna alla mente una famosa battuta delle Furberie di Scapino di Molière: ma che cosa ci sono andati a fare su quella nave? Paolo Signorelli, «ideologo nero», non ha dubbi. In Pagine Libere del febbraio 1994 («In difesa di Ghino di Tacco») sostiene che «il 2 giugno 1992 a bordo dello yacht Britannia i signori dell'usura e della finanza decidessero la strategia d'attacco contro gli "Stati" europei per privarli della sovranità monetaria dopo averli, da lungo tempo, privati della sovranità nazionale». La parola d'ordine, continua Signorelli, è «privatizzazioni e annientamento di — ROMA RENDETE la statale 50 e vi troverete su una specie di cintura che corre sulla pancia dell'America fino alle Flint Hills, la fibbia che unisce l'Est all'Ovest. Lì finiscono le foreste del Missouri e inizia la prateria del West, dove soffia il vento tutto l'anno e l'erba bluestem può superare i tre metri. Un manzo aumenta di due chili al giorno e i centoventimila buoi che vi pascolano ingrassano complessivamente di 10 milioni di chili. Siamo nella regione più orientale del Far West, nel Kansas, dove c'è la Chase County, uno dei luoghi più monotoni e desolati d'America. Ma William Least Heat-Moon, l'autore di «Strade blu» (uscito da Einaudi), nelle cui vene scorre sangue indiano, non la pensa così. Lo scrittore, il cui primo libro, nato sulle strade più polverose d'America, è divenuto un classico della letteratura di viaggio e ha avuto un enorme successo di pubblico, ha ricominciato a viaggiare. Questa volta ha cercato di ripescare una fetta del passato ripercorrendo il mito della Frontiera e rifacendo le piste dei suoi antenati pellirosse sulle tracce degli finanza internazionale per distruggere il patrimonio industriale pubblico creato da Giolitti, Nitti, Mussolini, e consolidato dalla democrazia consociativa degli ultimi trent'anni. E i nemici nell'ombra sono quelli di sempre: l'imperialismo della grandi potenze, gli «interessi forti», il «grande capitale», la finanza ebraica, la massoneria. Le cattive analisi producono sempre cattive politiche. Meglio sarebbe constatare con franchezza che le privatizzazioni ci furono imposte dalla gestione antieconomica e clientelare delle partecipazioni statali. Meglio sarebbe ammettere che l'Italia non ha né gli strumenti né l'esperienza per collocare sul mercato nazionale e internazionale le azioni dei suoi «gioielli». Abbiamo una sola banca d'affari e una Borsa in cui le contrattazioni dipendono dai capricci di un sistema informatico tardivamente installato. Siamo privi di fondi pensioni e costretti, per controllare i conti di un'azienda, a invocare i servizi di una società inglese o americana. E' davvero sorprendente in queste circostanze che le grandi banche internazionali abbiano deciso di venderci i loro servizi e il loro know-how? Ma chi sono, si chiederà il lettore, quei «British Invisibles» che hanno affittato il Britannia per la crociera del 2 giugno? Una loggia massonica? Un incappucciato consesso di «KuKlux-Klan» della finanza internazionale? «Invisibili», in inglese come in italiano, sono quelle partite della bilancia dei pagamenti che derivano dall'esportazione di servizi: noli, assicurazioni, royalties, diritti d'autore, commissioni bancarie. Grandi produttori ed esportatori di servizi gli inglesi hanno creato un'associazione di categoria fra le aziende interessate e l'hanno chiamata, per l'appunto, «British Invisibles». Ne contesteremo l'influenza e il prestigio soltanto il giorno in cui anche noi avremo grandi banche d'affari e società di servizi su scala internazionale. Non sono il populismo e il complottismo le armi da usare contro i British Invisibles: sono gli Italian Invisibles. Sergio Romano Per fare un esempio, gli incendi nella cultura occidentale sono visti come qualcosa di dannoso, per gli indiani sono invece un elemento rigeneratore che dà vita. Questo in parte avviene anche nel Kansas. Anche io mi sento sempre al centro di due culture, con mia madre di origine irlandese e mio padre che discendeva dalla tribù degli Osage. In me c'è la capacità di vedere il lato razionale delle cose, ma anche la fiducia nel sogno, nel mistero, nella premonizione, che viene dall'eredità paterna. Così, per esempio, nella lingua di mio padre la parola Dio non esiste ma si usa il "Grande Misterioso". Nella natura c'è proprio questo mistero». E Moon racconta che la mattina, prima di mettersi a tavolino, alza le braccia al cielo per caricarsi di tutta l'energia positiva e poi tiene alcuni minuti nella mano destra una pietra trovata nel Wyoming che è appartenuta a un capo indiano. E le due anime, quella di Trogdon e quella di Moon, si ricongiungono sulla pagina. Mirella Serri