Il lingotto diventa un libro

Nuovo atto della guerra tra il Comune e gli automobilisti indisciplinati Presentato ieri Il lingotto diventa un libro Da Matte Trucco a Benzo Piano, da Gobetti a Le Corbusier, quella del Lingotto, il più importante edificio industriale del nostro Paese, è la storia di un simbolo, come racconta una bella monografia presentata ieri nel Centro Congressi della ex fabbrica Fiat: Il Lingotto. L'architettura, l'immagine, il lavoro, a cura di Carlo Olmo, editore Umberto Allemandi, trecentocinquanta pagine, frutto di due anni di lavoro, ricche d'una splendida sezione fotografica. Con il curatore dell'opera hanno partecipato alla presentazione di ieri gli storici Luisa Passerini e Giuseppe Berta e gli architetti Manuel de Sola Murales e Francesco Dal Co. In sala erano presenti quasi tutti gli autori dei vari capitoli, i quali sono Daniela Ferrerò («La scena urbana del Lingotto: soggetti e comportamenti»), Anna Maria Zorgno («Un grande cantiere»), Cristiano Buffa e Peppino Ortoleva («Lingotto. Luogo. Simbolo»), Duccio Bigazzi («Strutture della produzione»). Simbolo della potenza dell'industria automobilistica, quando la Fiat progetta nel 1915 la nuova fabbrica, affidandola all'ingegner Matte Trucco. Simbolo dell'americanismo, nella concezione modulare dello stabilimento e nell'organizzazione a catena della produzione. Piero Gobetti, visitandolo nel 1923, lo descrisse come il luogo dove gli operai potevano realizzare una gramsciana «civiltà dei produttori». Le Corbusier nel 1925 usò la metafora della «nave da guerra con ponti e fumaioli, corti e passerelle». Come ha detto Giuseppe Berta, lo stabilimento non era solo un esempio della modernità capitalistica, bensì rappresentava «la reinvenzione di un ordine». Ma l'immagine del Lingotto «è stata costruita e tramandata anche da altri osservatori, collettivi e anonimi», come ricordano nelle loro pagine Buffa e Ortoleva. Diventa un pezzo della skyline torinese, come la Mole, come il Gasometro. Soprattutto diventa un simbolo della vita e della disciplina operaie, al punto da ricevere un malevolo soprannome di eredità fascista: «Portolongone», vale a dire una lunga galera. Come ha detto Luisa Passerini, il Lingotto rappresenta una «soggettività scissa» fra l'orgoglio di appartenere alla grande fabbrica ma anche la sofferenza che ciò significava: «Intreccio di auto, conflitto, sistema Bedaux, fascismo», il Lingotto è lo specchio di una memoria collettiva. Ed oggi è il simbolo di una politica di riuso dell'archeologia industriale, come ha detto lo spagnolo Morales, proponendo che si scriva un nuovo capitolo «sulla grande sfida della Fiat e della cultura italiana nel progettare il riuso del Lingotto». Ma Dal Co si è chiesto se il recupero di edifici obsoleti non rifletta una rinuncia a progettare ex novo che affliggerebbe l'Italia: «Dobbiamo sempre subire gli effetti dell'accumularsi del mito?» [a. p.].

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