Con i ricchi festival paralleli il concorso ha i rivali in casa

24 In concorrenza rassegna principale, Quinzaine e Certain regard Con i ricchi festival paralleli il concorso ha i rivali in casa CANNES. La notizia buona è che, grazie al gran numero delle reti televisive e alla diffusione delle videocassette, la produzione di film è aumentata; la notizia cattiva è che in proporzione è purtroppo diminuita la qualità, le storie si sono banalizzate e c'è un appiattimento generale. Questa almeno è l'opinione di Pierre-Henri Deleau, ma di fronte al preoccupante fenomeno della «normalizzazione degli spiriti» il delegato generale della «Quinzaine des Réalisateurs» ha reagito da par suo cercando di «identificare i talenti unici e sottolineare il primato degli autori sugli schemi convenzionali». Nelle sue stesse acque ha pescato Jacques Poitrenaud, curatore di «Un Certain Regard»: la sezione del Festival intitolata a un romanzo di Frangoise Sagan, un allargamento del programma ufficiale creato a suo tempo proprio per contrastare l'egemonia della Quinzaine con le sue velleità sessantottine di un cinema sganciato dal mercato. Sicché oggi come oggi entrambe le sezioni cosiddette «minori» (ma si tratta in realtà di festival paralleli) rivaleggiano apertamente con il Concorso, che inglobando opere prime e film di qualsiasi tipo tende a fare da asso pigliatutto. Dal canto loro, per tutta risposta, Regard e Quinzaine non disdegnano certo i nomi affermati. Infatti Poitrenaud inaugura domani con «Il sogno della farfalla» di Marco Bellocchio (che sta uscendo nei cinema italiani) e chiuderà il 22 maggio con «Les roseaux sauvages» di André Téchiné, un regista apprezzato in Francia (meno da noi) che l'anno scorso aveva addirittura aperto la Competizione con «Ma saison preferée». Ambientato in provincia, fra un gruppo di diplomandi del '62, il film di Téchiné mette in scena un «pied noir» rifugiato dall'Algeria, un giovane che si scopre omosessuale, un politico che se la cava male con le donne e altre storie di ragazzi e ragazze. Alla Quinzaine è invece molto atteso «Mangia bevi uomo donna» di Ang Lee, l'autore di successo di «Banchetto di nozze» in una nuova commedia che fa forse il verso a «Re Lear», con un famoso cuoco di Taiwan alle prese con le tre figliole. Per non parlare dell'ultraottuagenario maestro portoghese Manoel de Oliveira, che continua a produrre infaticabilmente un film dopo l'altro: stavolta presente con «La cassa» tratto da un dramma di Prista Monteiro, la disavventura di un vecchio cieco derubato del suo denaro come «L'avaro» di Molière. Dichiarazioni di intenti e contraddizioni a parte, queste sono comunque le sezioni del Festival dove è più facile trovare film di Paesi emarginati, meditazioni sulla Storia, sulla brutalità della repressione o della guerra. Né poteva mancare un tema scottante come quello della ex Jugoslavia: al Regard BernardHenri Lévy si presenta per la prima volta in veste di co-regista con un acceso pamphlet sul martirio della «Bosnia», girato fra il settembre '93 e il gennaio '94 e già anticipatamente stroncato per faziosità ideologica, inabilità e compiacimento nelle scene di violenza da «Première». La rivista gli preferisce l'analogo film della Quinzaine, «L'uo- mo, il Dio, il mostro», tre episodi firmati da altrettanti autori bosniaci che offrono una sfaccettata immagine della dolorosa realtà di Sarajevo assediata, seguendo le vicissitudini di un cineasta alle prese con la quotidianità del conflitto. Dal Sud America giungono ulteriori riflessioni sul destino interrelato degli individui e delle nazioni: con «I naufraghi» il veterano Miguel Littin immagina un esule che torna in patria per ritrovare la pro¬ pria identità, ma in Cile si preferisce seppellire il marcio nell'oblio. Ugualmente politicizzati si annunciano l'algerino «Bab el-oued city» realizzato da Merzak Allouache nel clima repressivo della primavera del '93; «Dalla neve» di Sotiris Goritsas sui rifugiati albanesi in Grecia che imparano a conoscere sulla loro pelle le difficoltà del sistema capitalistico; «Xime» di Sama Na N'Hada della Guinea Bissau che rievoca l'epoca della dominazione coloniale porto- ghese attraverso le vicende di due fratelli che reagiscono in maniera diversa all'oppressione; «La storia di Xinghau» di Yin Li che mostra una Cina popolare sconvolta dal nuovo corso economico. Presenti come sempre le opere d'ispirazione letteraria: in «Senza compassione» il peruviano Francisco J. Lombardi si rifa per l'ennesima volta a «Delitto e castigo», il ceco Jan Svankmajer rielabora il mito di «Faust», adattandolo a un uomo senza qualità; e c'è un «Sogno» norvegese basato sul dramma di Strindberg molto caro a Ingmar Bergman. Oltre ai già citati Bellocchio, Oliveira e Téchiné sono tanti i nomi in programma che ogni cinefilo ben conosce. L'americano Hai Hartley in «Amateur» ha scelto Isabelle Huppert per interpretare una ex suora convinta di avere una missione da compiere ma non sa quale; il tedesco Jan Schutte in «Arrivederci America» conduce a zonzo i suoi personaggi fra Brighton Beach e Danzica; il sulfureo Aki Kaurismaki nel road movie «Prenditi cura della tua sciarpa Tatiana, Tatiana» narra un'avventura picaresca nella Finlandia degli Anni Sessanta, protagonisti due giovanotti scandinavi e due fanciulle sovietiche: quando l'incomunicabilità cede il posto ai sentimenti. Alessandra Levantesi Henri Lévy si presenta con un pamphlet sul martirio della Bosnia. Le riflessioni del Sudamerica e la politica dall'Africa A sinistra: «Mister Hula Hoop» di Joel Coen Sotto: una scena di «The Browning version» Isabelle Adjani e Vincent Perez in «La reine Margot» di Chéreau