il tilt del cervellone in Piazza Affari la fuga dei Ciano da Roma

Il «vescovo LETTERE AL GIORNALE // tilt del cervellone in Piazza Affari, la fuga dei Ciano da Roma Le soluzioni geniali della Consob Quando il sistema telematico è entrato in funzione nella Borsa di Milano, si è affermato che ormai l'Italia si era messa al passo con le più grandi Borse del inondo. E' vero, sono stati subito numerosi gli intoppi, le difficoltà di funzionamento, i guasti. Ma le autorità di Borsa hanno spiegato che ciò era dovuto alla soverchia quantità di ordini e, con fulminea decisione, hanno raddoppiato i «quantitativi minimi di trattazione», con ciò eliminando dal mercato i piccoli azionisti. Purtroppo si è peccato, per bontà, di eccessiva moderazione. E ieri (2 maggio) il sistema (detto anche cervellone) si è completamente bloccato, tanto da costringere alla sospensione delle contrattazioni per un'intera giornata. Cosa, evidentemente, di enorme gravità, ammissibile soltanto in caso di conflitti mondiali, di spaventose calamità. Ma, possiamo esserne certi, Consob e Consigli di Borsa sapranno subito reagire con l'abituale genialità. Per prima cosa, pensiamo, decuplicheranno i quantitativi minimi di contrattazione, con ciò liberando il povero cervellino da un'altra grande quantità di ordini. Riuscendo cosi, inoltre, con la collaborazione dei politici, a far calare il prezzo delle azioni e ad allontanare gli investitori stranieri. E allora anche il nostro sistema telematico, alleggerito dall'insostenibile carico, potrà forse funzionare quasi regolarmente. avv. Vincenzo Giglio, Milano E ora tessono le lodi di Pinochet La stampa italiana ha riferito con troppo distacco i propositi del signor Giancarlo Pagliarini, leghista, ministro del governo Berlusconi, secondo il quale il sistema pensionistico italiano andrebbe ridisegnato secondo lo schema del generale cileno Pinochet. Per coloro che non lo ricordano, il suddetto generale Pinochet nel 1973 fu il principale protagonista del colpo di Stato che travolse il governo democratico cileno, il responsabile della morte del presidente legittimo Salvador Allende, l'autore di una repressione che - secondo il rapporto della Conferenza episcopale cattolica ■ significò oltre 60.000 persone arrestate, 10.000 rinchiuse in campi di concentramento, 50.000 costrette a riparare all'estero, un numero ancora imprecisato, ma certamente dell'ordine di migliaia, assassinate. Franco Antonicclli e Norberto Bobbio rivolsero allora un appello agli italiani, che definiva «fedifraga e criminale» la giunta Pinochet. La profonda emozione che colpì il Paese non rimase senza conseguenze: l'Italia di fatto ruppe le relazioni diplomatiche, commerciali e finanziarie con il governo golpista di Pinochet, l'Alitalia soppresse i voli su Santiago, il nostro Paese, assieme al Messico, alla Spagna e alla Francia, divenne uno dei principali punti di riferimento della resistenza cilena. Sono passati pressoché vent'anni e molta acqua è passata sotto i ponti dei fiumi cileni e italiani: tanta da consentire a un membro del governo «nuovo» di tessere gli elogi di un criminale, senza suscitare reazioni, se nou «d'ufficio». Nerio Nesi, Torino I partigiani non dimenticano Su La Stampa del 27 aprile scorso è apparsa una lettera a firma del signor Alasia di Villastellone il quale descrive un fatto d'armi della Guerra di Liberazione («Il sangue dei Partigiani scorreva nei vigneti»). La descrizione è abbastanza esatta tenendo conto che trattasi di una narrazione «per sentito dire» in quanto il signor Alasia non era presente. Ci permettiamo riportare le seguenti precisazioni: 1) I Partigiani non si arresero tutti. Si arresero, illudendosi di avere salva la vita, in 32 ma 14 di essi rimasero nel bosco, sul far della notte ruppero l'accerchiamento, attraversarono il fiume Tanaro e si misero in salvo. 2) I Partigiani che si finsero morti e caddero sotto i corpi dei compagni fucilati non furono due ma tre (di cui uno ancora vivente). 3) Il fatto d'armi di La Morra non è caduto nell'oblio. Noi Partigiani Autonomi del 1° Gruppo Divisioni Alpine del Corpo Volontari della Libertà lo ricordiamo, sempre nel cuore, ufficialmente ogni 25 aprile e 4 novembre deponendo corone alle Lapidi di tutte le guerre. Rendiamo noto inoltre che nel cimitero di Cherasco esiste una Cappella mausoleo ove riposano i resti con foto, nomi e date dei Caduti Cheraschesi di quel fatto d'armi. I morti di Cherasco, in quel solo giorno, furono 13; mentre i Caduti in tutta la guerra di Liberazione sono stati 32 su circa 90 ragazzi (la quasi totalità) che salirono in montagna. Cogliamo l'occasione per portare a conoscenza che quest'anno, ricorrendo il cinquantesimo anniversario, il combattimento di La Morra verrà solennemente ricordato domenica 4 settembre (il fatto avvenne il 29 agosto 1944) in una cerimonia particolare che si svolgerà sulla piazza del Belvedere di La Morra con il patrocinio dello stesso Comune di La Morra assieme a quello di Cherasco, Alba, Bra e altri Comuni delle Langhe. L. Incisa di Camerana Presidente Sez. A.V.L. di Cherasco Il trucco di Priebke In riferimento ai vostri articoli su La Stampa dell'8 maggio, pag. 11, posso riferirvi che il capitano delle SS Erich Priebke in effetti partecipò attivamente alla fuga della famiglia Ciano da Poma il 23 agosto 1943 in base al libro di Eugen Dollmann Roma nazista uscito presso Longanesi &• C. nel 1951 (Piccola Biblioteca). Scrive Dollmann a pag. 197 nel capitolo «Vili. Ciano»: «Presi opportuni accordi, pochi giorni dopo un giovane ufficiale delle SS, il capitano Priebke, in borghese ed armato di un gigantesco mazzo di fiori, si presentò nella casa già teatro di allegre feste, per felicitarsi con la contessa (Ciano) di una ricorrenza familiare rapidamente escogitata per eludere la sorveglianza, e in realtà per fare sparire nelle capaci tasche del suo cappotto, mediante una stretta di mano intesa ad esternare gratitudine, gli oggetti preziosi che i Ciano, volendo metterli al sicuro, pregarono venissero consegnati a donna Lola Giovanelli Berlingieri; al che fu provveduto senz'altro». La versione fu confermata, bensì senza nominare Priebke, da Erich Kuby nel suo libro Verrat auf Deutsch, Hoffmann und Campe, Hamburg 1982. Rolf Gallus, Roma giornalista Fra Dante e il genocidio Scrivo a proposito di quello che è il punto chiave della polemica Coppellotti-Segre Amar, e cioè se Coppellotti, come ha scritto Segre Amar, neghi il genocidio degli ebrei d'Europa. Senza entrare nel merito della questione, vorrei limitarmi a fare una nota di metodo. Dopo aver lanciato a Coppellotti un'accusa tanto infamante quanto quella di essere «negazionista», Segre Amar non può limitarsi a ribattere alla rettifica di Coppellotti trincerandosi dietro due versi di Dante (che possono voler dire tutto e, perciò, non dicono nulla). Qui i casi sono due. O Segre Amar ritiene le delucidazioni di Coppellotti non sufficienti - o ha motivo di non credere a esse -, ma allora dovrebbe spiegarcene il perché. Oppure, se Segre Amar, dopo la rettifica di Coppellotti, ha ragione di pensare di essersi sbagliato (in fin dei conti, nessuno è infallibile), sarebbe solo una questione di normale correttezza se facesse le sue scuse nello stesso pubblico e inequivocabile modo in cui ha fatto la sua accusa. Michelguglielmo Torri Università di Torino Dipartimento di studi politici Risponde Sion Segre Amar: «State contenti, umana gente, al quia: / che se possuto aveste veder tutto, / mestier non era parturir Maria». (Dante, Purgatorio, III, 37).