Un «Urlo» arrabbiato contro i miti del progresso di Claudio Gorlier

Un «Urlo» arrabbiato contro i miti del progresso i diritti della follia Un «Urlo» arrabbiato contro i miti del progresso m t| EL 1956 due esplosioni W mandarono per la prima m volta in frantumi l'illu1 sione di un ordine monk 11 diale fissato dai codici di Yalta e di Potsdam. I carri armati sovietici schiacciarono la rivolta di Budapest; l'attacco anglo-franco-israeliano a Suez venne bloccato dall'avvertimento perentorio del presidente Eisenhower. Bene: in quell'anno appare negli Stati Uniti Howl, Urlo, il poemetto-manifesto di Alien Ginsberg, e a Londra si rappresenta Look Back in Anger, Ricorda con rabbia, di John Osborne. Ma il terreno di coltura di ciò che doveva chiamarsi in America beat generation e Angry Young Men, i giovani arrabbiati, in Inghilterra, si collocava più indietro. Nel secondo caso, era il crollo del mito imperiale; nel primo, l'eco ancora ben presente della vam- pata nucleare che aveva incenerito Hiroshima e Nagasaki. Nella sua prefazione a I sotterranei di Jack Kerouac, Henry Miller, l'autentico nume tutelare non dichiarato, la pietra di paragone dei beat, scelse proprio questo bersaglio: «Questa è l'era dei miracoli... quando i nostri scienziati, aiutati e spalleggiati dai grandi sacerdoti del Pentagono, forniscono istruzioni gratis per la tecnica della reciproca, ma totale, distruzione». I due versanti speculari del fenomeno beat sono ben presenti nelle affermazioni dell'autore un tempo «maledetto» dei Tropici. Uno è il processo al mito cruciale e taumaturgico di progresso, che percorre almeno due secoli di storia americana, e che si incarna in uno dei Padri Fondatori, Benjamin Franklin, colui che invitava a andare a letto presto e ad alzarsi presto per essere «sani, ricchi e saggi», o proclamava che essere puliti fuori significa essere puliti dentro. Alcuni degli atteggiamenti più caratteristici, anche sul piano del costume corrente, dalla trascuratezza nel vestire all'esibire chiome lunghe e arruffate, alla «disaffiliazione», cioè al rifiuto di accettare i codici sociali, si riconducono a questa ricusazione, e più concettualmente al ripudio del feticcio della ragione. Sotto questo profilo, i beat portano agli estremi le categorie romantiche di Coleridge («deliberata sospensione dell'incredulità») e sollecitano una via di fuga irrazionale intrisa di spiritualismo non codificato e composito, di un ricorso quasi mistico alla droga, ricollegandosi ai grandi «maledetti» dell'800 (incollati a un vecchio frigorifero, nella cucina della casa di Ginsberg, mi capitò di vedere due vecchi ritratti di Poe e di Baudelaire). Aggiungiamo, proprio in antagonismo rispetto alla ragione, la rivendicazione della follia: Urlo è dedicato a un uomo rinchiuso in un ospedale psichiatrico. L'altro versante, quello più propriamente letterario e che vale la pena di riesaminare oggi in prospettiva, si innerva, per dirla un poco genericamente, su una rivolta anti-formalistica, anti-accademica, anti-istituzionale. Qui i granai sacerdoti da battere in breccia sono T. S. Eliot e Ezra Pound o, meglio, la loro canonizzazione. «Il guaio della poesia degli ultimi vent'anni è che non diceva nulla di importante se non per gli altri poeti. Era poesia sulla poesia», scrive Lawrence Ferlinghetti, e istituendo un nuovo rapporto poeta-lettore conclude: «Vi faremo dire: "Non avevo mai visto il mondo così prima di ora"». Ancora Miller, epigrammaticamente, a proposito di Kerouac: «Ha fatto qualcosa alla nostra prosa immacolata da cui forse non guarirà più». «Uno stato di grazia secolare», ha definito l'esperienza beat Thomas Parkinson in un saggio cruciale. Ma ha aggiunto, acutamente, che forse di uno «spasmo» si è trattato, più che di una generazione. Credo che questo possa essere ancora il commento più appropriato. Claudio Gorlier Ferlinghetti, Corso & C Per tutti un nume tutelare, Henry Miller Qui a fianco Gregory Corso, sotto William Burroughs. Al centro un'immagine della «beat generation», a sinistra Lawrence Ferlinghetti

Luoghi citati: America, Budapest, Hiroshima, Inghilterra, Londra, Nagasaki, Potsdam, Stati Uniti, Yalta