Bossi: questo è solo l'inizio di Giovanni Cerruti

«Previti, nuovo caso Tower» Il Senatur partecipa al giuramento e spiega ai suoi: Berlusconi è la bistecca, e noi il pestacarne Bossi: questo è solo l'inizio «Io resto sempre l'uomo del Winchester» ROMA. La mano destra che liscia il mento, labbra serrate, appoggiato al tendone di velluto rosso quirinale. Giurano i ministri della Lega e Umberto Bossi se li guarda da cinquanta metri, commosso come lo può essere un Guerriero. Il protocollo vuole che il primo sia Domenico Cornino, «il mio Schwàrzenegger». Fa proprio effetto a Bossi ma solo un attimo: «La Lega va al governo, però non c'è da preoccuparsi. C'è sempre l'uomo del Winchester, l'uomo della frontiera. Cioè io». Laggiù Berlusconi sorride, stringe la mano di Speroni e poi Maroni, e Pagliarini e Gnutti. Quando Scalfaro saluta e se ne va, Bossi ritorna Bossi. «Dove sono i miei uomini?», si fa largo. Berlusconi può attendere. Uno per uno se li coccola e se li bacia. Dopo, ma solo dopo, ci saranno due bacetti anche per Berlusconi. «Va tutto benissimo», annuncia divertito, per nulla imbarazzato dal salone e dalla cerimonia, dagli altri ministri che lo omaggiano di strette di mano e da Berlusconi che esce di scena: «Ora proviamo un po' questa macchinetta della Lega e tra due o tre mesi cominciamo il cambiamento vero. La nostra è stata un'operazione politica sopraffina». A sentir Bossi, e c'è da credere, «questo e solo l'inizio». Ma sarà anche il seguito di quel che si ò visto e sentito in questi mesi. Ai suoi ha spiegato la nuova strategia detta «della bistecca»; «Berlusconi è la bistecca, e noi il pestacarne». La partita «sopraffina», che ha «consegnato alle Lega il Viminale su un piatto d'argento», avrà certamente il suo secondo tempo di rancori e diffidenze. Bossi comincia su- bito: «Nel governo noi rappresentiamo l'area progressista». Speroni apre a sinistra. Maroni che rompe il cerimoniale, si alza, e va a salutare solo la giornalista de «il Manifesto». «Adesso state attenti, perchè chiamo la polizia...», scherza Bossi e si abbraccia il suo Maroni. Anche Maroni lo dice, a metà pomeriggio, quando si presenta alla riunione dei deputati della Lega. Riunione, dicono «causa inagibilità di altre sedi», che si celebra nel salone dell'Hotel Plaza dopo l'entusiastico «benvenuti!» della direttrice dell'albergone. Gianni De Michelis aveva lasciato un grande vuoto: «Cos'è, il Plaza torna a rivivere?», domanda un Ugo Intini di passaggio. «Ostia!, poprio qui dovevamo venire!?», protesta in bergamasco il senatore Massimo Dolazza. Al Plaza si scopre che Maroni, il più corteggiato, il più atteso, si è già messo al lavoro. E' già stato al Viminale, accolto con tutti gli onori e da tutti i capi di servizi e settori. Li ha tranquillizzati: «Non sono un barbaro e non sono venuto qui con lo spadone. Voglio distinguermi per umiltà, sono pronto ad arrivare alle nove del mattino e ad andarmene alle due di notte...». Fin qui tutto bene, ma poi c'è il post-Viminale: «Non sarò un ministro che copre, ma il ministro che scopre. Ci sono troppo misteri d'Italia ancora irrisolti. Voglio essere un ministro di garanzia democratica». In volo da Malpensa a Roma, alle sette del mattino, accompagnato fin sulla scaletta dal questore di Varese e ricevuto dal questore di Roma («Vi ringrazio per l'attenzione, ma fino a quando non ho giurato preferisco la macchina della Lega»), Maroni aveva lasciato capire la sua prima intenzione: «Voglio andare subito a Palermo»: incontri in «forma strettamente privata» con il procuratore Caselli e il sindaco Orlando, ma nessun summit e nessun vertice, «per l'amor di Dio». E sui fondi riservati del Sisde: «Cercherò di tagliare dove è possibile tagliare». Al bar del Plaza, Maroni e Bossi si sono rivisti il film della trattative di governo, quella notte del venerdì con «Berlusconi sicuro al mille per mille che Di Pietro avrebbe accettato il ministero degli Interni. Diversamente, perché convocarlo a Roma nello studio di Previti?». Ma proprio in quel momento, quando sul nome di Di Pietro era arrivato il via libera della Lega, si è decisa la partita Viminale: «Berlusconi e gli altri erano talmente sicuri, o stanchi, che hanno lasciato dire a Bossi: "Se non accetta Di Pietro va Maroni, d'accordo?". Sin, tutti d'accordo...». Dal Plaza se ne vanno alle sette di sera, con la lista dei leghisti che saranno sottosegretari aperta da Franco Rocchetta che andrà agli Esteri. Speroni, lasciata la bicicletta al Senato, messa una lattina d'olio nel motore della sua Croma («io non la voglio l'auto blu»), corre a Fiumici.io e vola a Busto Arsizio. Pagliarini va a scegliersi il «capo di gabinetto», Gnutti chiede all'autista ministeriale se può sedersi accanto, «dietronon mi va». Cornino ha superato lo choc della mancata elezione a sindaco di Torino. Maroni s'infila in una blindata con cinque antenne e tre telefoni: «Vado a lavorare». Giovanni Cerruti Maroni: non sarò un ministro che copre E Speroni: rinuncio all'auto blu A sinistra il vicepresidente del Consiglio Roberto Maroni A destra, Gipo Farassino e il leader della Lega Nord Umberto Bossi

Luoghi citati: Busto Arsizio, Italia, Palermo, Roma, Torino, Varese