La troika della scommessa

Da Pagliarini, Dini e Tremonti dipende nelle prossime settimane la fortuna o la rovina del governo Da Pagliarini, Dini e Tremonti dipende nelle prossime settimane la fortuna o la rovina del governo La troika della scommessa L'economia, prima sfida del premier ; m NSEGNEREMO anche alle I cuoche a governare lo Stato, H proclamava stentoreo Majakovskij dopo la rivoluzione d'Ottobre. Ma Lenin ne potè fare a meno, dal momento che gli ex funzionari zaristi, dopo qualche manfrina, accorsero lesti. Proprio com'è capitato adesso al presidente Berlusconi che, onore al merito, non è stato da meno rispetto a Vladimir Ilic. Non che non ci sia un bel numero di collaboratrici culinarie nel nuovo ministero, come peraltro si conviene a un esecutivo che si propone con una - sia pure un po' sbiadita - cifra rivoluzionaria; ma alcuni dignitari zaristi presidiano saldi i capi più esposti ai venti. Prendiamo l'economia, sulla quale si celebrerà, per non più di cento giorni, la luna di miele del nuovo governo, effimera fase di dolcezze che non si protrarrà oltre Ferragosto. Una volta, in epoca zarista, c'era la troika. Ricordate i decretoni di Colombo, le note aggiuntive di La Malfa, gli anatemi di un'intera legione di ministri delle Finanze - da Preti a Tanassi, fino a Reviglio e Foimica - che si succedevano senza soluzione di continuità nella presunta sanguinosa guerriglia contro l'evasione fiscale? Se non fosse per Giancarlo Mimmo Pagliarini, l'unico un po' ruspante, sembrerebbe di trovarsi ancora di fronte a una delle antiche trojke, capisaldi - tolti i socialdemocratici di passaggio - di snobbissima e rassicurante autorevolezza. Pagliarini - diciamolo - aiuta a spogliare un po' di quell'ingiustificata (visti i risultati) sacralità il governo dell'economia, quando nel suo milanese stretto racconta che, come ministro del Bilancio, lui non vuol proprio saperne di note aggiuntive e tomi di numeri. Basta fare come in Nuova Zelanda, una paginetta di conti: tot di entrate, tot di uscite, tot di deficit. Se non fosse per lui, che sbatte gli occhi quando gli ricordano che in Cile - suo modello per la riforma delle pensioni - rinchiudevano gli oppositori negli stadi prima di farli scomparire, che differenza ci sarebbe - fatte le debite proporzioni rispetto ai tempi del Padreterno e della Wandissima? Per carità, Lamberto Dini, neoministro del Tesoro, non è La Malfa, il Padreterno, e Giulio Tremonti, neoministro delle Finanze, non è di certo Colombo, la Wandissima. Ma chi meglio di loro incarna l'elite zarista al servizio del nuovo? Badate, non è un pregiudizio negativo Dio ce ne scampi - il fatto che Dini ricopra uno dei più alti incarichi della tecnocrazia nazionale e che Tremonti sia fin dalla pubertà acuto suggeritore ministeriale. Al contrario, se non ci fosse stata la rissa di Interni e Giustizia, dovuta presumibilmente a motivi poco commendevoli, la troika economi- ca sarebbe stata la miglior prova che mai il nuovo presidente del Consiglio ha pensato di collocare le sue cuoche in posti chiave. Ma come questi tre, più qualche comprimario, si giocheranno il semestre di luna di miele che si apre oggi e che non durerà oltre Ferragosto? In questi cento giorni saranno loro a fare la fortuna o la rovina del governo Berlusconi. Se Dini accantonerà i suoi sentimenti di rivalsa nei confronti della Banca d'Italia, la tecnostruttura più prestigiosa d'Italia, che non l'ha mai pienamente digerito come direttore generale, anche per la sua consuetudine con il sistema andreottiano; se Tremonti dimenticherà la sua stessa massima secondo cui la gente vota non con la matita ma con il portafoglio; se Pagliarini si farà spiegare da qualcuno - non dal suo leader di partito, per favore - chi è Pinochet, al di là della riforma delle pensioni «per capitalizzazione», e magari cos'è il senso dello Stato, cioè quella cosa che impedisce di dire che gli italiani dovrebbero sottoscrivere titoli del debito pubblico tedesco invece dei cari, maledetti, nostrani Bot. Se, se, se... Se, come speriamo, si potessero cancellare tutti questi se, i prossimi cento giorni potrebbero perfino scandire il nostro Rinascimento, come vagheggiava una volta il sociologo ottimista Francesco Alberoni. Ecco, ansiosi di risultati, alla prima troika della Seconda Repubblica ci permettiamo di fornire gratuitamente un piccolo decalogo, dovuto naturalmente non a noi - modesti cronisti - ma ad autorità autentiche dell'economia, professori e perfino premi Nobel. Punto primo: attenzione, i governi Amato e Ciampi non sono poi da archiviare per indegnità, tutt'altro. Hanno fatto quasi il loro dovere. Lasciano un'eredità finanziaria assai pesante, ma chi pensasse di trascurarla non farebbe il suo interesse. Le condizioni sono tali che non si possono neanche ipotizzare gli alleggerimenti fiscali proposti da Berlusconi in campagna elettorale. Non è stato, del resto, proprio il professor Giuliano Urbani a rivelare l'altra sera in televisione a uno stupefatto Enrico Deaglio che le promesse elettorali si fanno soltanto per prendere voti? L'aliquota unica, il tetto fiscale, diciamolo, tutte vellicazioni elettorali di cui il popolo, come si diceva una volta, chiederà conto al leader. Tempo tre mesi. Tremonti ha buone idee, forse riuscirà a far fronte alle sciagurate promesse mancate. C'è soltanto da sperare che coltivi la moderazione che gli suggerisce, non si sa quanto amorevolmente, il suo ex capo Rino Formica. Vuole una sola imposta e più bassa, Tremonti, maggiori deduzioni, l'autonomia dei Comuni, la cancellazione dei balzelli inutili, forse 200 o pochi di meno. Sacrosanto, niente di rivoluzionario, un programma da bravissimo funzionario dello Zar scelto da Lenin, an¬ che se certo non creerà folle di Riccuti al posto di quelle dei Cipputi. Ma c'è una trappola che attende dietro l'angolo l'elegante professore di Pavia: si chiama condono. Come resistere alla tentazione di gratificare l'elettorato berlusconiano di yuppies e di imitatori borghesi piccoli-piccoli con un ristoratore condono tombale? Non sap- piamo se il professor Tremonti lo farà - speriamo non lo faccia, almeno in odio al suo predecessore Formica -, ma conosciamo l'argomento che utilizzerà se deciderà mai di farlo, oltre a quello del gettito immediato di almeno 10 mila miliardi, che servono come il pane per tappare i buchi: quando in un sistema fiscale si fa una rivoluzione, è giusto cancellare il passato. Giusto, giustissimo. Sennonché la voglia di condono che aleggia intorno al nuovo governo va ben al di là delle irregolarità fiscali. Sapete che cosa si gioca sul condono fiscale? Nientemeno che la pietra tombale su Tangentopoli. Che cosa si accoppia normalmente al condono? Naturalmente, l'amnistia per i reati societari, che significherebbe anche la soluzione più semplice per Tangentopoli. Pensate che i borghesi piccoli-piccoli l'accoglierebbero con entusiasmo? Dini, Tremonti, Pagliarini, che stupenda trojka divisa tra alta burocrazia, professioni borghesi e popolo sovrano. Chissà che poi non abbia ragione l'incazzatissimo presidente dei deputati democristiani ed ex ministro degli Esteri Nino Andreatta: «Se vogliamo sperare nella continuazione del rigore finanziario di Amato e Ciampi - divisa scuotendo la testa - non resta che contare sulla Lega». L'economia al governo vorrebbe che vi riferissimo anche di Radice, Poli Bortone, Gnutti e Mastella, titolari, rispettivamente, dei Lavori Pubblici, delle Politiche Agricole ci risultava peraltro un ministero abolito con referendum -, dell'Industria e del Lavoro e Previdenza Sociale. Cosa volete che vi riveliamo sull'onorevole Vito Gnutti? Dirà che Cuccia è un pirata, com'è abituato a fare sulla piazza di Lumezzane (Brescia), e che il «tessuto connettivo» dell'Italia è la piccola industria. La signora Poli Bortone è una bella, antica signora, che, nonostante l'aspetto, l'ex ministro degli Esteri Andreatta giudica difficilmente spendibile a Bruxelles, visto che si dichiara post-fascista. Il buon Radice costruisce motoscafi in Brianza. Rimane il vecchio caro amico Clemente Mastella, ex giornalista della Rai, quello con la piscina a forma di cuore a CeppaIoni (Benevento), un intellettualino della Magna Grecia, come direbbe l'Avvocato Agnelli. A Clemente, neoministro del Lavoro, che vediamo da tanti anni cosi zelante, prima con De Mita, poi con Berlusconi, vogliamo un bene dell'anima. Ma tremiamo per lui, povero Clemente. Perché verrà il giorno in cui un qualsiasi Pagliarini, a dispetto del milione di posti di lavoro promessi da Berlusconi, gli dirà: «t/è Clemen, basta dopar danè, i lavuratur sono a Milani). Alberto Staterà Il più ruspante è il leghista Da non dimenticare la strada già tracciata da Amato e Ciampi Foto grande il leghista Giancarlo Pagliarini qui a destra Giulio Tremonti Roberto Radice ministro «comprimario» ai Lavori Pubblici

Luoghi citati: Benevento, Brescia, Bruxelles, Cile, Grecia, Italia, Lumezzane, Nuova Zelanda, Pavia