Al Quirinale la parata del Cavaliere di Paolo Guzzanti

Ansie e tic dei ministri «debuttanti» alla cerimonia del giuramento Ansie e tic dei ministri «debuttanti» alla cerimonia del giuramento Al Quirinale la parata del Cavaliere Ma Scalfaro concede solo sorrisi di circostanza ROMA. Berlusconi ha sorriso sempre. Scalfaro non ha sorriso mai. Salvo, s'intende, quando doveva stringere la mano e fare i dovuti giri di bellin-bellino fra i nuovi ministri, i nuovi fotografi, i nuovi cronisti, i nuovi corazzieri. Quanto alla cerimonia, sembrava più davanti al dentista che davanti al registro protocollare. E il presidente del Consiglio invece era evidentemente felice. Era talmente felice, Silvio Berlusconi, che in due o tre occasioni, mentre se ne stava là, dritto in piedi, con quella giacca che gli cadeva eccessivamente bene vestendolo come un guanto, ha dovuto trattenersi come un bambino alla messa. E bisogna dire che tutta la mattina al salone delle feste del Quirinale si è tesa come una corda fra quelle due facce: l'euforico Silvio e il tetro Oscar. Se avessimo potuto mettere un fumetto con i pallini che indicano pensiero nascosto (mumble-mumble, per intendersi) sopra la testa augusta del primo cittadino dello Stato, avremmo scritto senz'altro: «E' andata così, ma me la pagherete». Chi ha seguito in televisione ha visto che come cerimonia in sé, quella di ieri mattina non era e non poteva essere altro che la ripetizione delle altre analoghe. E questo è sembrato un segno apparente di continuità, anche noiosa. Ma si tratta di un giudizio affrettato. Ieri il clima era sinceramente diverso. Intanto, i neo-ministri erano maggioranza, erano emozionati e leggevano la formula del giuramento tutti in modo non banale: tra chi recitava per prendere distacco (la giallissima professoressa Adriana Poli Bortone, missina e latinista) e chi, come Giuliano Ferrara, ne faceva una questione di dizione netta e drammatica. E poi, chi e come potrà dire che la cerimonia è stata come tutte le altre, dopo aver ammirato Antonio Guidi, il ministro portatore di handicap, già divo televisivo da Funari, medico e psichiatra, che ha affrontato il cerimoniale, il foglio del giuramento, la penna e le mani di Scalfaro e di Berlusconi, come una scommessa eroica? La galleria umana era vasta e degna d'interesse, anche se è difficile e improprio ricondurre la politica alla ritrattistica. Però, va notato che il senatore Speroni procedeva dalla sedia al microfono con passo da Musichiere e cravatta color aragosta arrogante, alla moda di Busto Arsizio; il professor Giuliano Urbani appariva impupazzato, cioè un po' manichino. E il nuovo titolare degli Esteri, Martino Figlio, correva cercando inutilmente di allacciarsi la giacca. Con Martino ci è sembrato che Oscar l'Ombroso fosse ancora più ombroso. Ha stretto le labbra. Ha socchiuso l'occhio presidenziale con effetto di basetta prolungata. E se Oscar piangeva, dietro di lui Silvio sembrava una pasqua: ridacchiava, sorrideva da crampo. Berlusconi ieri sembrava il sovrintendente, o anche il giovane re dietro il vecchio ciambellano che fa ancora il burbero, ma che dovrà ben arrendersi all'evidenza dei nuovi tempi. Berlusconi non aveva soltanto l'aria (e probabilmente l'animo) lieta e soddisfatta. C'è di più, secondo noi il presidente del Consiglio, con il suo atteggiamento esprimeva ieri il principio d'autorità che sembrava invece gradualmente sbiadire nell'espressione e negli atteggiamenti di Scalfaro. Guardava i «suoi» ministri come i giocatori della sua «squadra» e li covava con lo sguardo, soddisfatto e orgoglioso; e anche visibilmente padronale: nel senso che appariva, fra tutti, l'uomo che è padrone della situazione, dà la sansazione di saperla governare e dirigere e sa anche proteggere i giocatori dagli attacchi esterni. Chissà perché il neoministro dell'Interno, Roberto Maroni, con una grisaglia che non gli andava a pennello ed era anche chiaretta, è partito dalla sedia tirando su un sospiro che si è sentito nei microfoni? E chissà perché, quando Maroni firma, Oscar ha uno scatto di sopracciglia? Alfredo Biondi, liberale toscanaccio e libertario, legge alla pisana la formula con bella voce e torna a sedersi. E' un veterano, e sembra uno di quei vecchi sergenti che sanno comportarsi alle cerimonie. Ed ecco uno di questi personaggi da «Combat film», il truce Tatarella, l'uomo dal pericoloso accento di Foggia, talvolta sorpreso con occhiali sulla fronte, uno che cammina in modo squadristicamente scombiccherato. Davanti a Oscar, sono costretti a piegarsi letteralmente in due: la firma implica la genuflessione. E il ministro delle Poste firma e va. Berlusconi fa un sorriso d'ordinanza. Il Presidente della Repubblica assume l'espressione detta «poffarbacco», che è una via di mezzo. Scattante, chierica allegra a circondare una pelata da studioso, arriva Pagliarini, ministro del Bilancio dalle idee chiare. Almeno così sembra. Bossi punta molto su di lui e magnifica questo ministero che ai tempi lontani del varo del centro-sinistra si dimostrò inutile e inconsistente. Ed ecco Tremonti, il pattista transfuga, l'intellettuale fiscaiolo, anche lui alla sua prima volta, come quasi tutti gli altri. E i grossi calibri proseguono con Lamberto Dini, con cravatta verdona a cerchi bianchi, pronto per il ministero del Tesoro. Dini piace a Oscar che gli lancia uno dei suoi rari sorrisoni. E poi l'uomo della contesa: Cesare Previti, l'avvo¬ cato che è dovuto passare alla svelta dalle toghe alle milizie, perché ha provocato una sollevazione nelle opposizioni, una palese emicrania nel Presidente della Repubblica e un torcisorriso nel primo ministro. Se Previti infatti si è accostato al microfono con una camminata insieme decisa e interlocutoria (minuscoli segni di sbando, su una rotta comunque stabile), Berlusconi è stato attentissimo a bloccare in un piccolo crampo il suo sorriso, essendosi imposto di non offrire le sue emozioni al pasto delle telecamere. Tutt'altra cosa il deciso Francesco D'Onofrio, titolare dell'Istruzione pubblica mentre tira un'aria da istruzione privata, che va, declama, firma e stringe mani a tempo di record, con la sua pettinatura scolpita nel legno e ripassata col lucido da scarpe. Del resto lui, come cossighiano da sbarco, è stato un antesignano del nuovo quando ancora Maroni spazzava la sezione. Il ministro (nuovo di zecca) Roberto Maria Radice, titolare dei Lavori pubblici, non si segnala quasi per nulla, il che gli va ascritto a titolo di merito. Ma grazie a una sua mossa al momento della firma, ecco che riusciamo a vedere ben ingrandita da una telecamera quella prece- dente di Tatarella che, lo diciamo anche per facilitare i colleghi della stampa estera, ci è sembrata mussoliniana, almeno nelle intenzioni. Nulla da dire su Vito Gnutti, neoministro dell'Industria, che sa mantenere sul viso l'espressione concreta e sognante che hanno i chimici, gente non distante dall'alambicco. E sempre affrettato e imbronciato ci è sembrato Clemente Mastella da Ceppaloni (paese cui lui ha dato i natali e non viceversa), ministro del Lavoro e delle grane sindacali: occhi svegli, passo da chi ha lasciato De Mita. Ineccepibile e inosservato il tecnico professor Giorgio Bernini, neoministro del Commercio con l'estero, così come il vecchio leone Raffaele Costa, l'uomo che rimetteva in riga i ministeriali, ora ministro della Sanità. Ha detto subito che non metterà in competizione la pubblica con la privata. E siamo al professor Domenico Fisichella, stimato professore amato anche dagli alunni di sinistra (almeno così ha detto l'altra sera a Mixer) e che succede ad Alberto Ronchey, al quale ci sembra che vada reso l'onore delle armi e qualcosa anche di più. E la sfilata prosegue con Matteoli all'Ambiente, Podestà alla Ricerca («l'unico nostalgico qui è Podestà, soltanto per il suo nome», scherzava sinistramente Tatarella alla fine), la Adriana Poli Bortone che invadeva il campo col suo colore un po' troppo solare; l'ex de Publio Fiori che si prese le revolverate dalle Br, e si va verso la conclusione. Oscar il presidente firma i verbali e si rimette frettolosamente la penna in tasca, come se temesse qualche sorpresa da tutta quella gente nuova, Silvio si sdogana dalla sua posizione statuaria di fauno ammiccante e torna fra i vivi in mezzo alla folla. Inatesso, fuori rituale e come un parente non invitato arrivato dall'Australia, è arrivato in finale di cerimonia Umberto Bossi, per partecipare alla festa. Anche lui in grisaglia chiara, è andato ad abbracciare Bobo Maroni e ci è sembrato orgoglioso e commosso. Ma ci è sembrato anche che con la sua presenza volesse contendere e contenere proprio il modo proprietario con cui agiva, guardava e si muoveva Silvio Berlusconi. Paolo Guzzanti E a sorpresa arriva anche Bossi per contendere a Berlusconi la «paternità» della nuova compagine h Berlusconi e Scalfaro A destra Lamberto Dini In basso Cesare Previti

Luoghi citati: Australia, Busto Arsizio, Ceppaloni, Mixer, Roma