La geografia impazzita

Europa unita, contro il caos Europa unita, contro il caos La geografia impazzita Nazione e nazionalità in Italia è il titolo del volume, curato da Giovanni Spadolini, che sta per uscire da Laterza. Riunisce gli atti del convegno di Trieste del settembre '93, cui parteciparono fra gli altri Ernesto Galli della Loggia, Renzo De Felice e Gian Enrico Rusconi. Anticipiamo parte della prefazione di Giovanni Spadolini. « IA generazione che aveva ot| to-dieci anni al momento !;; dell'avvento esplosivo e 1 i sconvolgente del nazismo MAI germanico ha visto una totale scomposizione e poi ricomposizione della carta topografica dell'Europa attraverso l'emersione e sommersione di nazionalità, prima clamorosamente affermate (la guerra del '15-'18 fu appunto la guerra delle nazionalità) e poi altrettanto clamorosamente smentite o cancellate o sopraffatte. Cinquantanni di una storia che merita di essere ripercorsa solo come apporto della memoria a uno dei grandi problemi del nostro tempo: nazioni e nazionalità. Carta geografica e carta politica: l'intrecciarsi di vari sismi. Nel 1937 - parto dall'esperienza di uno studente di seconda ginnasio, quale era l'autore di queste note - l'Europa di Versailles cominciava a sfaldarsi. Nel 1938 scompariva dalla carta geografica del vecchio continente un nome che era ritornante, e quasi ossessionante, nei nostri testi di storia falsamente «risorgimentali»: il nome dell'Austria, annessa da Hitler con un Anschluss faticosamente e stancamente benedetto da Mussolini che l'aveva prima combattuto. LAustria fu il prologo della fine della Cecoslovacchia, fra 1938 e 1939: con la riduzione a Monaco dello Stato Céko prima, la sua abolizione poi nel marzo '39 e la creazione di uno Stato nuovo, la Slovacchia, motivo per tutti di meraviglia perché guidato da un sacerdote cattolico, alleato dell'«anti-Cristo» (monsignor Tiso, al fianco di Hitler). Fra 1939 e 1940 la fine degli equilibri della prima guerra mondiale. Distrutta, con un'intesa fra due dittatori, la Polonia, risorta nel 1918 e simbolo del nuovo ordine mondiale. Cancellate di colpo le tre Repubbliche baltiche, la Lettonia, la Lituania, l'Estonia, dalla carta degli Stati europei (era così difficile, per uno studente di ginnasio, azzeccare le capitali vere, facile scambiare Riga per Tallinn, un rompicapo la Lituania dove la capitale non era Vilnius ma una sconosciuta Kaunas e un porto, Memel, risultava assorbito dalla Germania nazista in base al diritto di preda). Modifiche che ormai non si riuscivano più a registrare in tempo per i nuovi testi né di geografia né di storia. Nel 1939 l'Italia, che già esercitava una specie di incontestato protettorato su Tirana, arricchiva la corona del re (e già imperatore: di un impero prossimo alla liquefazione) con una nuova gemma, sfidava insieme la geografia e la storia. Quell'Albania «una e mille», come diceva Montanelli: e poi ci meravigliamo se gli albanesi, affamati e abbrutiti dallo stalinismo, cercano riparo in Italia. Fra 1941 e 1943 nuovi cambiamenti effimeri, tragici, dei confini nazionali: la Slovenia assorbita nel Regno d'Italia, con Lubiana prefettura come Milano, la Dalmazia ex croata portata con qualche ampliamento sotto la sovranità dell'Italia, coi titoli storici della Repubblica di San Marco di secoli prima. E una ipotetica monarchia sabauda su un regno mai nato, quello di Croazia (teatro solo delle atrocità di Ante Pavelic). Sugli altri fronti un'ipoteca gettata sui confini francesi, ma senza violarli (salva la minuscola sacca di Mentone). E un complesso di Stati, dal Belgio alla Danimarca, «prigionieri» di Hitler (anche fisicamente: con i due re nelle mani del dittatore). E un embrione di Stato nuovo nazista in Norvegia, lo Stato-Quisling. E la Russia alleata di Hitler che prima del fatale giugno 1941 riesce a modificare a suo vantaggio le frontiere con la Romania: la famosa annessione della Bessarabia nel giugno '40 e l'odierna vendetta della Moldavia, nome mutato per la stessa sostanza. La febbre della stagione hitleriana fu devastante ma rapida. I testi geografici invecchiavano. Mancavano i mezzi per aggiornarli. Solo con la liberazione del '45 la carta dell'Europa cambiò rapidamente e radicalmente. I giornali, tornati liberi, contarono più dei libri di testo. Un punto apparve chiaro e determinante: la divisione della Germania in due, per un periodo che parve illimitato. Uno Stato tedesco tutto a Ovest; uno Stato tedesco tutto a Est. Al di qua e al di là di una cortina di ferro destinata a dividere inesorabilmente il vecchio continente. L'espiazione tedesca spinta fino a incarnare sul proprio territorio i due opposti modelli di vita e le due opposte visioni del mondo. E' la carta di Yalta. Con una Polonia risorta: ma su un territorio per un terzo diverso dal vecchio e con una preventiva e immensa migrazione di popolazioni (otto milioni di polacchi dell'Est vittime della Russia, spostati di colpo in regioni ex tedesche come la Slesia e la Pomerania). E un punto sempre fermo: l'Europa dell'Est era legata alla Russia. L'Europa occidentale restava aperta all'alleanza con gli Stati Uniti. E i casi incerti, Grecia, Italia, furono risolti: il primo dalla spada inglese, il secondo dalla volontà americana congiunta a quella degli elettori italiani (il 18 aprile del '48). Cinquantanni dopo lo scoppio dell'infame guerra di Hitler contro la Polonia, e la contestuale firma del patto Molotov-Ribbentrop, il ciclo, su cui si era retto l'insegnamento di storia e geografia, si è spezzato. In pochi mesi la Germania è tornata unita; la Polonia ha raggiunto un patto di non-aggressione col vicino sempre minacciante; le Repubbliche baltiche sono insorte e hanno riguadagnato la loro storica indipendenza. La Jugoslavia si è smembrata. Il genocidio - si veda la Bosnia - è tornato a gravare sull'Europa. La balcanizzazione dell'Est è una realtà. In mezzo a tanti sconvolgimenti la «nazione» italiana - nella sua millenaria costituzione, prima culturale che politica - riesce a salvarsi dall'esito disastroso della guerra fascista del '40-'43, con i correttivi della cobelligeranza e della guerra partigiana. L'integrità dello Stato era nelle linee fondamentali preservata e sia pur con i sacrifici territoriali sulle frontiere orientali che costituiranno il prezzo delle violenze e delle aberrazioni fasciste. La Repubblica si fondava sull'Italia una e indivisibile, retaggio dei nostri padri. Fu quella nazione risorta dalle macerie della guerra la stessa del Risorgimento? Fino a che punto il nesso Risorgimento-Resistenza era in grado di rimettere in circolo il primo, già così lontano dalle generazioni che avevano vissuto il fascismo? E lo stesso 8 settembre 1943 quale peso avrebbe avuto nella coscienza della rinata nazione italiana? Fino alla fine degli Anni 80 il problema rimase accademico. Ma all'indomani del muro di Berlino e del riesplodere delle etnie-nazioni e delle nazionalità nell'Europa centrale e orientale - dalla Slovenia alla Slovacchia - l'Italia fu percorsa da un moto di ripensamento e anche di rifiuto che si tradusse in suggestioni separatiste e al limite secessioniste e in fermenti di diverso e complesso localismo, assai duri a morire. Italia ed Europa. Unità nazionale e unità sovrannazionale. Ecco la vera e massima eredità del Risorgimento che riaffiora contro tutti gli spettri della dispersione e della frantumazione. Una volta di più l'unica via per neutralizzare le tentazioni alla disgregazione del tessuto nazionale è quella di richiamarsi al complesso dei valori di libertà e di cultura che hanno caratterizzato il primo e il secondo Risorgimento italiano e che uniscono Risorgimento e Resistenza - al di là di tutti i legittimi scavi del revisionismo storiografico - in un complesso fondativo dal quale la Repubblica non può svincolarsi nella fase di ristrutturazione istituzionale in atto. Il Risorgimento - sia pure il gobettiano «Risorgimento senza eroi» - costituisce un titolo di legittimità nazionale che riunisce tutte le generazioni concorrenti all'unità e alla libertà d'Italia. La firma del Trattato di pace del 1946 fu un atto provvidenziale per reinserire l'Italia fra i Paesi che avrebbero poi partecipato in piena parità alla costruzione atlantica e alla costruzione europea. Noi vediamo nell'edificazione dell'unità politica dell'Europa l'antidoto a tutte le possibili forme di secessionismo e insieme il coronamento del sogno risorgimentale che unì nazione ed Europa. E' più valido che mai il principio di Mazzini: l'idea di nazione si identifica con l'idea di umanità. Giovanni Spadolini