Herling il pianeta della morte rossa

// pianeta della morte rossa // pianeta della morte rossa «Da Dzerzhinskij a Conrad: solo i polacchi conoscono davvero il popolo russo» A R N U M mensione letteraria tutta polacca, una singolare e atipica «via polacca alla saggistica», riccamente illustrata dall'introduzione di Francesco M. Cataluccio al più recente libro «italiano» di Herling, Gli spettri della rivoluzione (Editrice Ponte alle Grazie, Firenze). E' in questa particolare tradizione che s'inserisce anche il prodigioso filone della russistica polacca, che ebbe il suo antesignano nel grande marxista eretico Stanislaw Brzozowski, quasi ripudiato in patria e morto esule in Italia nel 1911, che ammoniva i suoi compatrioti renitenti alla comprensione del vasto universo russo insieme così vicino e così lontano: «Chi pensa al futuro della Polonia, deve comprendere la Russia, deve capirla meglio di quanto essa non faccia con sé medesima». Lo stesso Herling, che con le sue opere e la sua esperienza rientra a pieno titolo in questo tempestoso fiume culturale interslavo, allargherà con forza e convinzione l'ammonimento mezzo secolo dopo: «Ho sempre creduto, senza ombra di pregiudizio nazionale, che soltanto gli intellettuali polacchi possono dar lezione all'Europa sulla Russia. Lo sguardo del polacco verso la Russia è duro e severo, poiché tocca l'essenza stessa dell'esistenza biologica. Raccontare cosa hanno patito milioni di uomini nella Lubjanka, nei campi di prigionia e morte dell'arcipelago Gulag, nelle centinaia di fosse di Katyn, deve essere il compito di uno scrittore polacco degno di questo nome». 1 E' stato il poeta e sovietologo britannico Robert Conquest (nel cui classico testo sul terrore staliniano, The Great Terror, l'opera concentrazionaria di Herling è spesso citata come testimonianza inconfutabile) a osservare con pertinenza di causa che il complicato rapporto d'odio e simpatia fra polacchi e russi è molto simile a quello che lega e oppone gli irlandesi agli inglesi. Talora è difficile stabilire, sia nel bene che nel male, la linea del confine etnico e culturale tra un polacco e un russo. Se si grattano più a fondo le radici genealogiche di Dostoevskij, a cominciare dal cognome, non si finisce per scoprire che globuli non tanto lontani di polonità erano presenti nel sangue di quel grande russo sprezzatore dei polacchi? Fra i massimi costruttori e complici del terrore sovietico non troviamo due piccoli nobili polacchi, come Dzerzhinskij, il fondatore della Ceka antenata del Kgb, o come lo spietato procuratore dei processi di Mosca Vishynskij? Prendiamo addirittura uno dei massimi scrittori di lingua inglese, Conrad, anche lui d'origine polacca: chi meglio di questo romanziere incandescente e visionario, paragonabile per tanti aspetti psicologici a Dostoevskij, ha saputo descrivere e penetrare con tanta profetica lucidità le mostruose ambiguità del mondo rivoluzionario e prerivoluzionario russo? Capire quindi «il pianeta a parte» Russia, sviscerare dall'interno la «questione russa», rivoltarla nelle sue pieghe contraddittorie, presentarla così anatomizzata allo «sguardo dell'Occi- footbalese), si va incontro al portiere e alla fine si cerca in qualche modo di uccellarlo. Una perfidia psichica: perché hai molto più tempo per pensare «Lo tiro alto, lo tiro basso, a sinistra, no a destra, tanto lo sbaglio perché sono un pirla» ed è chiaro che poi lo sbagli. Sbagliano due volte, i finlandesi, e sembra fatta. Ma sbagliano due volte anche i canadesi e alla fine dei cinque rigori regolamentari il tabellone dice 3-3: un'agonia. Affogata nella sovrana indifferenza di un'Italia a cui non gliene frega niente, quelli stanno facendo una cosa tipo Italia-Germania 4-3: roba da mito. Si va avanti a oltranza: chi sbaglia per primo, perde. Il giornalista di fianco a me, finlandese, stacca curiosi mugolìi di sofferenza constatando con occhi da bovino triste che ha finito le unghie da mangiare. Sotto di me, in panchina, il coach canadese, tal Kingston, assi-

Persone citate: Cataluccio, Dostoevskij, Dzerzhinskij, Herling, Robert Conquest, Stanislaw Brzozowski